Referendum: CATTOLICI DIVISI Accenti diversi dopo il richiamo dei vescovi
al «dovere civico» delle urne. Il cardinale Tettamanzi: niente
scomuniche reciproche
Strappo della Compagnia delle opere In una nota tutte le ragioni dell’astensione.
Appello Follini-Mastella-Cossiga per il no
MILANO - Chi vota no alla devolution perché
dice che poi vuole una riforma finalmente «condivisa», chi
vota sì per la stessa ragione, chi sotto sotto vota sì o
no perché guai a cambiare una virgola. Il mondo è bello perché
è vario e i cattolici, sul referendum costituzionale del 25 e 26
giugno, non fanno eccezione. Se possibile, anzi, tra i movimenti la faccenda
si complica. Da ultimo, ieri, la Compagnia delle opere, costola imprenditoriale
di Comunione e Liberazione, ha proposto la variante numero cinque: «Oltre
il referendum! L’astensione non conta, ma vincerà». Il che,
si premura di precisare il presidente Raffaello Vignali, non significa
di per sé un invito all’astensione, «diciamo che è
una constatazione, non un’indicazione: noi siamo cattolici e, se i vescovi
dicono di andare a votare, andiamo a votare» dice. Non che il volantino
della Cdo, per la verità, sprizzi entusiasmo. L’agenzia Sir, pur
confermando che i vescovi non daranno indicazioni per il sì o il
no, esortava a votare come «dovere civico ancor più rilevante»
in quanto espressione di «fedeltà alla Repubblica» ovvero
di «cura e attenzione per le istituzioni, che sono di tutti».
Per la Cdo, tuttavia, è «la classe politica», cioè
«in questo caso gli oppositori della riforma voluta dal Polo, divenuti
nel frattempo maggioranza di governo», a «chiedere al popolo
italiano un ennesimo voto che rischia di allontanare ulteriormente la gente
dalla politica». Lo dice lo stesso Vignali, «sono temi che
non si possono risolvere con un no o un sì».
Quello che in realtà sta succedendo
è che «la classe politica, e una nutrita schiera di intellettuali
con essa, sta spingendo per trasformare il voto in un referendum pro o
contro i partiti che hanno fatto del sì o del no le proprie bandiere»
scrive la Cdo: un pretesto, anzi «l’ennesimo pretesto». Così
«prendere posizione per il sì o il no equivale a entrare in
questo gioco». Morale: «Non bisogna avere paura di essere uniti
per costruire, al Meeting lo diciamo da anni: si deve aprire una nuova
fase costituente» comunque vada. «E nessun monosillabo, certamente
il no ancor meno del sì» potrà «fermare questo
desiderio». Insomma: sì e no non servono, «ma se vincessero
i sì sarebbe forse più facile che si aprisse un dialogo sulle
regole fondamentali, la maggioranza dovrebbe rimettere le mani alla Carta»
spiega Vignali.
Il no, di conseguenza, diventa l’opzione
peggiore. L’esatto contrario di quanto accade altrove nel vivacissimo mondo
cattolico. Sempre ieri, il presidente emerito della Repubblica Francesco
Cossiga, il ministro udeur Clemente Mastella più Marco Follini e
Bruno Tabacci dell’Udc hanno firmato un appello trasversale per un «no
costituente al referendum» tanto per distinguersi «da chi come
Scalfaro vota no perché non cambi nulla della Carta del ’48»
considera Tabacci. Mentre il «giù le mani» dalla Costituzione
sale dall’appello per il no diffuso dall’agenzia Adista ( adistaonline.it
), già 43 testate cattoliche dai padri gesuiti di Aggiornamenti
sociali ai comboniani della Misna, ai paolini. E poi ci sono le Acli che
hanno aderito al referendum «Salviamo la Costituzione», l’Azione
cattolica che «raccomanda vivamente una partecipazione informata
e responsabile al voto» e che a Milano e a Modena si è espressa
chiaro e tondo per il no.
Le gerarchie, chiaro, stanno in silenzio.
«I preti facciano i preti e non diano indicazioni di voto, mica sono
in ballo questioni legate alla morale o alla fede» chiarisce il vescovo
di Como Alessandro Maggiolini, che peraltro andrà a votare, «e
certo che ci andrò!». Quanto ai laici cattolici, padronissimi
di «illuminare le coscienze». Il «no» dell’Azione
cattolica ambrosiana sul settimanale diocesano, peraltro, ha creato polemiche.
L’altra sera il cardinale Dionigi Tettamanzi era ospite d’onore di un incontro
organizzato dal gruppo Etica e Finanza presieduto da Angelo Caloja, nella
sede di Banca Intesa, ad ascoltarlo c’erano tra gli altri Giovanni Bazoli,
Corrado Passera e il sindaco Letizia Moratti. Quando gli hanno accennato
alle discussioni, l’arcivescovo ha sorriso: «Non posso che ripetere
quanto dissi l’anno scorso: tanto più ora, i cattolici evitino di
scomunicarsi a vicenda».