La sinistra e la partita del Senato:
niente voti udc, meglio la fiducia
Il Prc: rischiamo il neocentrismo. Il
ds Salvi nel gruppo dei contrari al rifinanziamento
«Ora la palla passa a Prodi»:
al termine di un defatigante comitato politico del suo partito il leader
di Rifondazione comunista Franco Giordano fotografa la situazione così
com’è, nuda e cruda. L’Udc di Pier Ferdinando Casini ha annunciato
che voterà a favore del decreto che proroga la missione in Afghanistan:
generosità bipartisan, generosità sprecata, forse. I senatori
centristi sono 21, quelli che minacciano di non votare quel provvedimento
sono all’incirca una trentina, parlamentare in più, parlamentare
in meno. Ma non è solo questo il problema. E’ che il presidente
del Consiglio deve scegliere se esordire sul primo voto importante spaccando
la sua maggioranza e conquistando, però, un pezzo dell’opposizione,
oppure se tenersi stretto la sua coalizione, nell’unico modo possibile,
cioè chiedendo la fiducia.
Ufficialmente Rifondazione comunista è
contraria a entrambe le strade, ma, al di là delle dichiarazioni
pubbliche, i dirigenti del Prc preferiscono di gran lunga la fiducia a
un voto con l’Udc che, come dice un autorevole esponente di quel partito,
rischierebbe di «prefigurare una nuova maggioranza» e «derive
politiche neocentriste». E’ una via, questa su cui il Prc non vuole
incamminarsi. Ma non lo vogliono neanche il Pdci di Oliviero Diliberto
e i verdi. Dunque, tocca a Prodi. Il quale, del resto, era stato preavvertito
da Fausto Bertinotti: «Il rischio - aveva ammonito il presidente
della Camera - è che ci troveremo alla fine di fronte a un bivio:
fiducia o voto con la Cdl». Mai profezia fu più vera.
D’altra parte più di un anno fa,
esattamente nel febbraio del 2005, Piero Fassino, con estrema lucidità,
aveva disegnato lo scenario futuro dell’Unione: «Se non avremo la
maggioranza su alcune questioni - aveva osservato il segretario dei Ds
riferendosi alle divergenze in seno all’Unione sulla politica estera -
andremo in parlamento convinti che l’opposizione voterà nell’interesse
del Paese». Peccato, però, che non tutta l’opposizione è
disposta a seguire questa strada e, perciò, se la disponibilità
della Casa delle Libertà si limita alla sola Udc i problemi del
centrosinistra non sono risolti. Ma c’è di più: anche nel
partito di Fassino c’è già chi preannuncia il suo «no»
alla missione e in Afghanistan. È il presidente della Commissione
giustizia del Senato, Cesare Salvi, che spiega: «Così com’è,
quella missione non la voto, come ho sempre fatto, e, tra l’altro, mi pare
che la situazione a Kabul stia peggiorando».
Ma Salvi lascia una strada aperta ed è
quella che, alla fine, Prodi potrebbe essere costretto a imboccare, se
non vorrà far fibrillare ancor di più la sua già fibrillante
maggioranza. «Se c’è un caso - sottolinea infatti il presidente
della Commissione giustizia del Senato - in cui il governo può chiedere
la fiducia è proprio questo. Il tentativo del Prc di trovare una
soluzione comune è apprezzabile, ma il ritorno dei tavoli dell’Unione
e delle conseguenti trattative defatiganti non mi sembra la via giusta».
Giordano ribatte che con la fiducia si «rischiano ambiguità,
mentre sarebbe bene, una volta per tutte, chiarire le cose nella maggioranza».
Ma lo stesso segretario del Prc sa bene che se Prodi ponesse la fiducia,
nel suo partito, alla fine della festa, vi sarebbero meno problemi.
Ieri il comitato politico di Rifondazione
si è chiuso con cento «no», cinquantasette «sì»
e un astenuto sulla mozione delle minoranze che proponeva di opporsi al
«rifinanziamento della missione nel caso in cui resti inalterata
rispetto a quella approvata dal governo Berlusconi, oppure nel caso preveda
un aumento di mezzi militari italiani». Ma questo non significa che
dentro il Prc non monti il malumore. «Non era meglio - chiede Claudio
Grassi, il leader di "Essere comunisti", che è stato eletto al Senato
- essere più chiari in fase di elaborazione del programma dell’Unione?
La questione qui non è la tenuta del governo Prodi, ma che le missioni
di guerra non si votano, altrimenti si rompe con il movimento pacifista».
E Salvatore Cannavò, il leader dell’altra componente di minoranza
di Rifondazione, «Sinistra critica», osserva: «È
indubbio che c’è una difficoltà, ma la deve gestire il presidente
del Consiglio, non possiamo votare la missione così com’è,
perché dobbiamo marcare un segno di discontinuità».
E allora, come dice, Giordano, «la
palla passa a Prodi»: tocca al premier venire a capo di questa delicatissima
vicenda.