Riforme Istituzionali
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Prove tecniche di malcostume parlamentare
   
Corriere della sera 18-06-2006
 
La sinistra e la partita del Senato: niente voti udc, meglio la fiducia
 
Il Prc: rischiamo il neocentrismo. Il ds Salvi nel gruppo dei contrari al rifinanziamento
 
«Ora la palla passa a Prodi»: al termine di un defatigante comitato politico del suo partito il leader di Rifondazione comunista Franco Giordano fotografa la situazione così com’è, nuda e cruda. L’Udc di Pier Ferdinando Casini ha annunciato che voterà a favore del decreto che proroga la missione in Afghanistan: generosità bipartisan, generosità sprecata, forse. I senatori centristi sono 21, quelli che minacciano di non votare quel provvedimento sono all’incirca una trentina, parlamentare in più, parlamentare in meno. Ma non è solo questo il problema. E’ che il presidente del Consiglio deve scegliere se esordire sul primo voto importante spaccando la sua maggioranza e conquistando, però, un pezzo dell’opposizione, oppure se tenersi stretto la sua coalizione, nell’unico modo possibile, cioè chiedendo la fiducia.
Ufficialmente Rifondazione comunista è contraria a entrambe le strade, ma, al di là delle dichiarazioni pubbliche, i dirigenti del Prc preferiscono di gran lunga la fiducia a un voto con l’Udc che, come dice un autorevole esponente di quel partito, rischierebbe di «prefigurare una nuova maggioranza» e «derive politiche neocentriste». E’ una via, questa su cui il Prc non vuole incamminarsi. Ma non lo vogliono neanche il Pdci di Oliviero Diliberto e i verdi. Dunque, tocca a Prodi. Il quale, del resto, era stato preavvertito da Fausto Bertinotti: «Il rischio - aveva ammonito il presidente della Camera - è che ci troveremo alla fine di fronte a un bivio: fiducia o voto con la Cdl». Mai profezia fu più vera.
D’altra parte più di un anno fa, esattamente nel febbraio del 2005, Piero Fassino, con estrema lucidità, aveva disegnato lo scenario futuro dell’Unione: «Se non avremo la maggioranza su alcune questioni - aveva osservato il segretario dei Ds riferendosi alle divergenze in seno all’Unione sulla politica estera - andremo in parlamento convinti che l’opposizione voterà nell’interesse del Paese». Peccato, però, che non tutta l’opposizione è disposta a seguire questa strada e, perciò, se la disponibilità della Casa delle Libertà si limita alla sola Udc i problemi del centrosinistra non sono risolti. Ma c’è di più: anche nel partito di Fassino c’è già chi preannuncia il suo «no» alla missione e in Afghanistan. È il presidente della Commissione giustizia del Senato, Cesare Salvi, che spiega: «Così com’è, quella missione non la voto, come ho sempre fatto, e, tra l’altro, mi pare che la situazione a Kabul stia peggiorando».
Ma Salvi lascia una strada aperta ed è quella che, alla fine, Prodi potrebbe essere costretto a imboccare, se non vorrà far fibrillare ancor di più la sua già fibrillante maggioranza. «Se c’è un caso - sottolinea infatti il presidente della Commissione giustizia del Senato - in cui il governo può chiedere la fiducia è proprio questo. Il tentativo del Prc di trovare una soluzione comune è apprezzabile, ma il ritorno dei tavoli dell’Unione e delle conseguenti trattative defatiganti non mi sembra la via giusta». Giordano ribatte che con la fiducia si «rischiano ambiguità, mentre sarebbe bene, una volta per tutte, chiarire le cose nella maggioranza». Ma lo stesso segretario del Prc sa bene che se Prodi ponesse la fiducia, nel suo partito, alla fine della festa, vi sarebbero meno problemi.
Ieri il comitato politico di Rifondazione si è chiuso con cento «no», cinquantasette «sì» e un astenuto sulla mozione delle minoranze che proponeva di opporsi al «rifinanziamento della missione nel caso in cui resti inalterata rispetto a quella approvata dal governo Berlusconi, oppure nel caso preveda un aumento di mezzi militari italiani». Ma questo non significa che dentro il Prc non monti il malumore. «Non era meglio - chiede Claudio Grassi, il leader di "Essere comunisti", che è stato eletto al Senato - essere più chiari in fase di elaborazione del programma dell’Unione? La questione qui non è la tenuta del governo Prodi, ma che le missioni di guerra non si votano, altrimenti si rompe con il movimento pacifista». E Salvatore Cannavò, il leader dell’altra componente di minoranza di Rifondazione, «Sinistra critica», osserva: «È indubbio che c’è una difficoltà, ma la deve gestire il presidente del Consiglio, non possiamo votare la missione così com’è, perché dobbiamo marcare un segno di discontinuità».
E allora, come dice, Giordano, «la palla passa a Prodi»: tocca al premier venire a capo di questa delicatissima vicenda.

Maria Teresa Meli


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