Riforme Istituzionali
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Corriere della sera 20-06-2006
 
Dopo Referendum - Unione divisa sulla strategia del 27 giugno L’Ulivo: trattiamo. La sinistra: no al dialogo
 
Si fa presto a dire no. Perché c’è il no di chi dice che la Costituzione è sacra e intoccabile; quello di chi pensa a qualche ritocchino, nulla più; il no aperturista, perché le riforme «si fanno insieme»; e il no di chi ha già in testa che tavolo apparecchiare con la Cdl, e quali portate servire. È insomma un no variegato, complicato, quello dei politici che hanno deciso di votare no al referendum. Di centrosinistra quasi tutti, ma non solo. Perché anche chi nella Cdl si muove in dissenso, ha poi idee opposte su cosa fare dopo. Marco Follini , Udc, è stato tra i primi a sostenere che serve il no proprio per fare dopo «riforme condivise, non a colpi di maggioranza». Giorgio La Malfa invece, che per questo si è dimesso da presidente del Pri, vota no perché «non c’è bisogno di nessuna riforma della Costituzione», e tantomeno di bicamerali, costituenti o via discorrendo.
Ma è nel centrosinistra che la differenza di posizioni è più eclatante. Se è vero che si va da quella rigida del presidente dei comitati per il No Oscar Luigi Scalfaro («Nel momento in cui oggi si vive superando anche i 90 anni con una certa tranquillità, noi diamo per vecchia una Costituzione che ha 60 anni? Ma è ai primi passi!»), a quella di grande disponibilità verso l’opposizione del dipietrista Pino Pisicchio , secondo il quale si deve già pensare «a un Costituente», fino a Franco Debenedetti che ha chiesto ai leader dei due poli di impegnarsi a fare insieme le riforme indipendentemente dall’esito del voto.
Fra gli estremi, tante le sfumature, con Romano Prodi in persona a garantire che se il no prevarrà, si aprirà il dialogo con l’opposizione. Un discorso che non piace per niente alla sinistra radicale della coalizione. A usare i toni più duri è Marco Rizzo , del Pdci: «Perché mai - protesta - si dovrebbe dialogare dopo che gli italiani hanno detto no, con chi è stato fautore di un modello sbagliato? Non c’è ragione per perseguire sulla via dell’inciucio. Suggeriamo questo anche a Prodi». Sulla stessa linea, anche il verde Paolo Cento: «Se vince il no, la questione delle riforme esce dall’agenda politica, prima di tutto perché si sono espressi gli elettori, e poi perché non è una priorità. Al massimo, posso pensare ad interventi limitati sul titolo V, ma lo strumento è l’articolo 138, altro che bicamerali che servono solo ad altro, a "dialogare" per arrivare alle larghe intese».
Freddissimi anche in Rifondazione: «Non esistono assolutamente le condizioni per il dialogo, e comunque serve un consolidamento del testo costituzionale, non un suo cambiamento. Semmai, cambiamo il quorum previsto dal 138 per modificare la Carta: alziamolo, aumentiamo le garanzie», dice il capogruppo alla Camera Gennaro Migliore, ripetendo il leit-motiv di Bertinotti: «Serve una lunga pausa di riflessione».
Altra musica spostandosi verso il centro della coalizione: «Non condivido chi dice che la Costituzione è sacra e della Carta non si cambia nulla: bisogna invece renderla viva, con alcune modifiche fatte con largo consenso», dice il diessino Gavino Angius, ipotizzando come strumento possibile per operare la Convenzione proposta da Barbera, sempre se «c’è la volontà comune, sennò...». La sinistra radicale non ci sta? «Beh, sbagliano, è una posizione ingiusta la loro, e anche contraria a quanto scritto nel programma dell’Unione: sì a nuove riforme fatte a larga maggioranza». In sintonia Renzo Lusetti , Margherita: «Certo che si deve aprire la trattativa, e su tutto: in particolare su forma di stato e forma di governo. Lo strumento? Il 138 rischia di portare ancora a riforme a colpi di maggioranza, la Costituente dividerebbe i poli, meglio una bicamerale più "agile". E ricordo agli alleati che si oppongono, che aprire al dialogo non è inciuciare, ma fare un regalo al Paese».
«È autolesionistica una campagna del no che sceglie Scalfaro testimonial e si appella alla sacralità della Costituzione», attacca Daniele Capezzone per la Rosa nel Pugno. Da cambiare c’è eccome, va fatto assieme, ma solo se l’obiettivo è chiaro: «Dobbiamo andare verso una riforma anglosassone, all’americana o all’inglese, delle nostre istituzioni e della legge elettorale: al Paese serve un sistema bi o tri-partitico».
Insomma, il centrosinistra è pronto a dialogare? Mauro Fabris, Udeur, non solo lo auspica ma non ha dubbi: «Dall’altra parte un sacco di gente aspetta solo il voto per aprire un nuovo discorso con il centrosinistra, e parlo dell’Udc ma non solo: certo che si finirà per dialogare...».

Paola Di Caro


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Speciale "Referendum costituzionale" 2006
 
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