La favola è finita
Ida Dominijanni
La partita più bella l'Italia non
l'ha vinta in Germania con un rigore all'ultimo minuto, l'ha vinta in casa,
con un punteggio straordinario, dopo svariati ed estenuanti anni di gioco.
Quel perentorio 61,7% di No alla controriforma costituzionale che avrebbe
dovuto suggellare l'era berlusconiana acquista tanto più valore
con quell'inatteso 53,6% di partecipanti al voto, che dopo dieci anni di
quorum mancato riabilita, proprio sulla Carta fondamentale, l'istituto
referendario e la vigilanza popolare sulle scelte politiche. Il No c'era
il rischio che perdesse, ma c'era anche il rischio che vincesse di misura,
con una partecipazione svogliata che avrebbe indirettamente autorizzato
il ceto politico, di destra e di sinistra, a continuare a trattare la Costituzione
come cosa propria, disponibile allo scambio politico. Così non è
stato e i numeri parlano chiaro: la Costituzione è di tutti, e nel
momento di massimo rischio i suoi titolari se la sono presa in mano per
presidiarla e confermarla.
L'inatteso e non necessario quorum raggiunto oggi riporta alla mente il mancato quorum, altrettanto inatteso ma necessario, del referendum del '99 sull'abolizione della quota proporzionale dal «Mattarellum». Quel quorum mancato di allora pose fine alla favola bella del maggioritario come panacea di tutti i mali che aveva accompagnato i primi dieci anni della transizione italiana. Il quorum raggiunto di oggi mette fine alla favola bella della riforma costituzionale come protesi indispensabile di una modernizzazione senza qualità che ha accompagnato anche gli anni successivi. Allora come oggi ne viene travolto e sepolto lo schema semplificato vecchio-nuovo di cui si accontenta una politica immiserita negli obiettivi e nelle pratiche.
Posto di fronte a un quesito fondamentale sulla legge fondamentale, il paese «spaccato in due» della retorica postelettorale di poche settimane fa ha ritrovato una sua fondamentale unità, irrispettosa del bipolarismo coatto. Ha detto No all'egoismo sociale, al mito del Capo e alla servitù volontaria che nelle intenzioni dei riformatori avrebbero dovuto sostituire i principi della solidarietà, dell'uguaglianza, della rappresentanza scritti in Costituzione. Anche la divisione territoriale artatamente costruita fra un'Italia moderna e produttiva e un'Italia passatista e dipendente ne esce ridimensionata: trionfante al Sud il No alla devolution vince anche al Nord, e il 51,8% che conquista a Milano parla chiaro quanto e più del 68,4% che incassa a Palermo o dell' 82,5% in Calabria. Spiace per Bossi e per Speroni,ma se andranno in Svizzera pochi li seguiranno. Spiace per Berlusconi e Fini, ma tre sconfitte in tre mesi, e quest'ultima più di tutte, dicono che il vento del '94 ha smesso di soffiare. Sulla posta in gioco cruciale e ultimativa, quella del sovversivismo costituzionale della destra estranea al patto del '48, il paese ha messo l'alt.
Ma l'ha
messo anche sul vizio di giocare col fuoco della revisione che incanta
al centro e a sinistra anche gli eredi di quel patto. Che i loro leader
provassero a incassare la vittoria del No come un'autorizzazione a procedere
sulla strada delle riforme perseguita in passato era del tutto scontato;
e tuttavia suona oggi del tutto stonato. Quel No ha un altro suono. Rilegittima
una Costituzione che anche loro hanno colpevolmente contribuito a delegittimare.
E obbliga anche loro a sottostare alla sua autorità. Come tutte
le leggi umane, la Carta del '48 non è intoccabile, ma nell'ambito
dei suoi principi e delle sue procedure. Dopo il voto di ieri, fantomatiche
commissioni, convenzioni e assemblee costituenti sono diventate improponibili,
come pure ipotetiche riscritture complessive. La revisione costituzionale
possibile torna a essere puntuale, affidata al parlamento, sottratta al
capriccio delle maggioranze e, si spera, assicurata a un 138 al più
presto riformulato.
Mailing List di Riforme istituzionali |