Serve un limite per il ricorso alla
fiducia di Cesare Salvi
Chi opera sulla linea del fronte, cioè
al Senato, sa che Anna Finocchiaro ha posto in modo chiaro e trasparente
il tema politico vero per il centro sinistra, che non è se fare
o meno il Partito desocratico, ma la sopravvivenza della maggioranza e
del governo nella situazione di quasi parità numerica nel Senato,
derivante dal risultato elettorale.
Che fare? Andare avanti a colpi di fiducia?
Non è la risposta, non solo per ragioni. di democrazia ma anche
per ragioni tecniche che gli addetti ai lavori conoscono. Quanto alla soluzione
più facile, è anche la meno adatta alla crisi Mi riferisco
alla grande coalizione, e non motivo ulteriormente. Veniamo all'allargamento
della maggioranza, di cui si parla. Se riferita al rapporto con singoli
parlamentari mi pare che nei fatti del Senato almeno per ora si stia rivelando
perdente anche perché Silvio Berlusconi dispone probabilmente di
argomenti più persuasivi. Se riferita a partiti o gruppi politici
del centro destra, mi pare in anticipo di almeno un anno, al di là
di ogni altra considerazione. E non solo nel lungo ma anche nel medio periodo,
nella politica italiana si rischia la fine di cui parlava Keynes.
Scartate queste soluzioni, la mia tesi
è che il problema può essere anche un'opportunità,
come nell'ideogramma cinese, che a quanto pare, e identico per i due concetti.
Voglio dire che l'occasione va colta e non solo per motivi di necessità
(i numeri sono quelli che sono e si sa che la matematica non è un'opinione).
L'occasione va colta per riformulare positivamente l'assetto di un maggioritario
che da un decennio viene vissuto in Italia in modo assolutamente integralista,
e anche anomalo rispetto alle esperienze delle democrazie contemporanee.
Il fondamentalismo del maggioritario ha
fatto molti danni al nostro paese. Concepire le elezioni politiche come
una finale di Coppa del mondo, nella quale la vittoria anche per un rigore
consente al vincitore di prendere tutto, non fa parte né della storia
politica e istituzionale delle democrazie, né della tradizione teorica
del liberalismo, da sempre attentissima ai limiti del governo e ai rischi
della "tirannia della maggioranza". Il governo e la maggioranza decidano
invece quali sono i temi e le proposte che considerano decisive per l'attuazione
del proprio indirizzo politico: fissino, insomma un'agenda di maggioranza.
Per i temi fuori da questa agenda, riconoscano apertamente l'autonomia
della dialettica parlamentare e delle decisioni che ne derivano.
Propongo, in breve, una centralità
dei Parlamento rinnovata e ritrovata.
Ritrovata perché le condizioni
della vita parlamentare - come denunciò l'attuale capo dello Stato,
inorridito a quel che vedeva dopo il suo ritorno in Parlamento come senatore
a vita - sono di avvilente mortificazione. E rinnovata - rispetto a quando
fu teorizzata da Pietro Ingrao - perché non cancella ma anzi rafforza
l'unità della maggioranza la dialettica maggioranza-opposizione;
e al tempo stesso lascia al Parlamento quelle scelte che maggioranza e
Governo decidono (tutti insieme e unilateralmente) di affidare a Camera
e Senato.
Un esempio di applicazione immediata:
l'Afghanistan. Se il Governo ritiene decisivo per la propria sopravvivenza
il consenso di tutti ì parlamentari della maggioranza (perché
al Senato autosufficienza della maggioranza vuol dire questo), come Massimo
D'Alema ha affermato più volte nei giorni scorsi, allora ha non
solo il diritto ma il dovere di porre la questione di fiducia, riportando
questo istituto alla logica sua propria dai tempi di Cavour. Questo è
un caso di ricorso corretto alla fiducia, su un tema considerato decisivo
per l'indirizzo politico di maggioranza, e non - come è accaduto
finora - su tutti i provvedimenti del governo: esami di maturità,
spacchettamenti, milleproroghe e via elencando.
Se invece il Governo ritiene preferibile
sulla politica estera un'intesa più ampia, che comprenda in tutto
o in parte l'opposizione, allora non criminalizzi il. dissenso di quei
parlamentari della maggioranza che non sono d'accordo. Ci sono svantaggi
e vantaggi in entrambe le ipotesi: il Governo scelga quale preferibile.
Ma averle entrambe mi pare una pretesa eccessiva, oltre che poco cauta.
Se c'è una spontanea e libera unanimità in Parlamento su
qualche provvedimento ben venga. Pretenderla sa più di Bulgaria
dei vecchi tempi che di democrazia liberale. O, per dirla in modo più
elegante, un'agenda di maggioranza bipartisan non si è mai vista.
«Se mettono la pistola alla tempia potrei ribadire il no»
«Se poi Prodi mi metterà una pistola alla tempia, deciderò
se mantenere ancora in piedi questo governo». Per Luigi Malabarba,
il più determinato tra i pacifisti in guerra contro il disegno di
legge sull’Afghanistan, la fiducia è un «ricatto irricevibile».
Tanto irricevibile che il senatore di Rifondazione potrebbe anche non votarla.
Per lui l’unica via percorribile è quella del dialogo. «Voglio
discutere fino all’ultimo minuto perché voglio vincere. Rimango
sulla questione di merito che è un no chiaro e netto alla guerra».
Il governo è a rischio? «Non credo che Prodi cadrà
sull’Afghanistan. Ma io chiedo il rispetto della mia posizione di parlamentare
eletto, chiedo che non venga posta la fiducia e che io possa adempiere
al mio mandato parlamentare su un caso di coscienza come questo».
L’intervista del premier al Corriere non gli è piaciuta. «Prodi
vuole la capitolazione sulle posizioni della destra in politica estera.
Modifichi il suo orientamento, se no è come il governo Berlusconi».