Riforme Istituzionali
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Riforme.net  07-11-2006
 
Da un vecchio Editoriale: Lunga vita a Saddam
 
Con la condanna a morte di Saddam Hussein si è di fatto conclusa una vicenda "giudiziaria" che, indipendentemente dalle "qualità" dell'imputato, ha sollevato e sta ancora sollevando molte perplessità circa la legittimità e la regolarità delle procedure adottate.
Il timore, purtroppo, è con ogni probabilità non si andrà molto più in là delle perplessità, così come è già avvenuto circa le cause indimostrate con le quali USA e Inghilterra motivarono la necessità di una guerra preventiva e unilaterale.
A soffrire di questa situazione, ovviamente, la credibilità del diritto internazionale e degli organismi chiamati a regolare questo diritto.
 
 
L'editoriale
2 giugno 2004 
 
Nessuno parla più del processo a Saddam Hussein. Come se fosse la cosa più normale di questo mondo, un Capo di Stato è sparito nel nulla senza che si sappia se e come potrà avere la possibilità di difendersi di fronte ad un tribunale legittimo. 
Con ogni probabilità, l'eventuale processo a Saddam Hussein potrebbe riservare brutte sorprese proprio a chi oggi lo tiene nascosto da qualche parte; e chissà, forse si sta già pensando a qualche soluzione di ripiego. 
Tra il serio e il faceto, alcuni spunti di riflessione sulla tragica situazione del diritto internazionale. 
 
Franco Ragusa 


  
Lunga vita a Saddam 
 
Che fine ha fatto Saddam Hussein? 
Ma soprattutto, come, quando e da chi verrà processato? 

Inutile nasconderlo, il fine di queste domande non è tanto quello di mostrarsi garantisti anche nei confronti di Saddam Hussein, quanto quello di riuscire a beccare due, anzi no, tre piccioni con una fava. 
Per essere chiari, “garantisti per forza”: 
    per riuscire a processare chi merita di essere processato; 
    per processare chi merita di essere processato con il massimo delle garanzie, e questo per non ritrovarsi, un domani, a “dover incrociare” controverse interpretazioni del diritto interno ed internazionale che potrebbero ledere i nostri diritti; 
    per costringere la comunità internazionale, infine, ad occuparsi di TUTTI i crimini di guerra e contro l'umanità. 
 
Ma per meglio capire la sostanza del problema, è il caso di procedere con un esempio, o meglio, è il caso di procedere con quanto avvenuto in Iraq cambiando alcuni nomi. 

Per semplicità ed assonanza sostituiremo l’Iraq con l’Italia e Saddam Hussen con Silvio Berlusconi. 
Sostituire gli USA è un po’ più difficile, per cui lasciamo a Cesare quel che è di Cesare: la guerra preventiva. 

Ma per quale motivo gli USA dovrebbero avercela con l’Italia al punto di fargli una guerra preventiva? 
Non lo so, ma visto e considerato che i presupposti per la guerra all’Iraq si sono dimostrati tutti fasulli e che nessuno si è scandalizzato più di tanto, non è il caso di fare troppo i difficili. 
Anche perché, una volta partiti, l’importante è continuare ad avere qualche buona scusa per proseguire e per auto assolversi. 
Per cui: non ci sarà alcun problema a riconoscere che sì, è vero, probabilmente l’Italia non possedeva armi di distruzione di massa e che neanche sosteneva il terrorismo internazionale; ma vuoi mettere l’aver liberato gl’italiani da Silvio Berlusconi? 

Ma come, direte voi, Silvio Berlusconi? Quello che chiamava per nome Bush e Putin con tanto di pacche sulle spalle?! 
E sì, proprio lui. 
Del resto, se tutto ciò è già successo a Saddam Hussein (che, non dimentichiamolo, ha avuto un trascorso da statista di tutto rispetto, al punto da potersi permettere il lusso di gasare iraniani e curdi mentre l’amministrazione USA correva in Iraq per stringergli la mano), perché mai non potrebbe succedere anche al Silvio nazionale? -----------------  Iraq anni '80: Saddam Hussein aveva le armi di distruzione di massa e ... le usava  ---------------------- 
Fatta quindi la guerra e catturato Silvio Berlusconi … che farne? 
Se per qualche “sfortunata coincidenza” non dovesse morire prima, sicuramente un processo. 
Certo, in questo Saddam Hussein è un po’ difficile che possa essere sostituito da Berlusconi, ma facciamo comunque finta che gli USA, alla fine, siano costretti ad intraprendere la più impossibile delle missioni. 
Ma per l’appunto, non potendo far finta che Berlusconi sia del tutto assimilabile a Saddam Hussein, la questione del come processarlo non potrà in alcun modo essere evitata. 
Prigioniero di guerra accusato di crimini di guerra o prigioniero per crimini contro l’umanità? 
 
Cominciamo dalla prima definizione. 
Che si tratti di un prigioniero di guerra è fuor di discussione. 
Ma di quali colpe potrebbe essere accusato un prigioniero di guerra a capo di un esercito che si è soltanto difeso da un’aggressione esterna? 
E sì, la guerra l’hanno voluta gli altri e l’unica colpa del Silvio nazionale sarebbe stata quella di non essersi arreso subito. Insomma, proprio ad arrampicarsi sugli specchi, lo si potrebbe ritenere responsabile delle decine di migliaia di italiani morti ammazzati per mano dell’esercito della salvezza di fronte al quale non si sarebbe prontamente arreso. 
Conoscendo gli avvocati del Silvio, ben poca cosa. 
E’ pur vero, però, che nel resistere all’invasione o alla successiva occupazione il nostro buon Silvio potrebbe aver fatto ricorso a qualche mezzo estremo, per cui potrebbe essere processato per responsabilità diretta in tutto quello che viene genericamente definito terrorismo. 
Ma anche in questo caso, a ben vedere, è dura dimostrare la bontà di una guerra per le reazioni che la guerra stessa potrebbe aver provocato. 
No, ci vuole ben altro e di antecedente per giustificare una guerra che ha riportato all’età della pietra un’intera nazione. 
I crimini a cui fare riferimento debbono quindi essere precedenti e cosa diversa dalla guerra stessa. 
Ma qui sorgono le prime difficoltà, formali e sostanziali. 
 
In primo luogo, c’è da spiegare l’imbarazzante constatazione di una guerra decisa in un momento nel quale il buon Silvio neanche se lo sognava di compiere crimini di guerra o contro l’umanità. 
Delle due l’una, quindi: o ci si scusa per l’errore fatto e si mette mano al portafoglio per ripagare le popolazioni per i danni subiti; o si continua a rivendicare, in ogni caso, in considerazione della brutta fama del soggetto in questione, la bontà di tutta l’operazione che ha portato al cambio di regime. 
Appare quindi evidente che gli USA potrebbero processare il prigioniero di guerra Silvio Berlusconi per i soli crimini contro l’umanità commessi molti anni prima. 
Ma seriamente, come si fa ad accusare qualcuno che quando faceva il monello ti chiamava per nome e ti dava le pacche sulle spalle? 
Improvvisamente rinsaviti? 
E poi, non è che si può chiedere troppo alla pazienza della comunità internazionale: vada per la guerra unilaterale, ma pure il tribunale internazionale “unilaterale” ... 
Vuoi vedere che potrebbe non rimanere altra scelta che invocare … l’ONU… la comunità internazionale?! 
Che lo facciano loro il processo. 
Ma anche in questo caso, i conti rischiano di non tornare. 
 
Con quale legittimità, infatti, istituire oggi un tribunale internazionale speciale per giudicare crimini commessi decenni prima nell’indifferenza generale? 

Non che non sia doveroso, anzi. I crimini contro l’umanità dovrebbero sempre essere perseguibili e logica di civiltà vorrebbe che un tribunale internazionale contro questi crimini vi fosse da sempre. 
E per l’appunto, dal 1998 un tribunale del genere esiste. 
Ma è proprio l’esistenza stessa di tale Istituto a sollevare più di un dubbio. 
Come ben tutti sanno, infatti, la Corte penale internazionale per i crimini contro l’umanità non è stata riconosciuta da alcuni paesi. Tra questi, anche gli USA e Israele. 
Con quale faccia, quindi, questi due paesi, in ipotesi in prima fila per catturare criminali da giudicare, potrebbero invocare un tribunale che, quando li riguarda, si rifiutano di riconoscere? 
A questi limiti di giurisdizione, c’è poi da aggiungere che la Corte penale internazionale non può giudicare per i crimini commessi prima della sua istituzione. 
Come dire: dalle due bombe atomiche sul Giappone, passando per la pulizia etnica compiuta dagli israeliani a danno della popolazione palestinese e finendo con i gas di Saddam Hussein contro iraniani e curdi, chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato ... per la Corte penale internazionale è tutto prescritto! 
 
Laddove, quindi, la Comunità internazionale volesse procedere per crimini compiuti prima del 1998, e che in ogni caso potrebbero vedere protagonisti i paesi che si sono rifiutati di sottoscrivere l’istituzione della Corte penale internazionale, non rimarrebbe altra via che quella già adottata per l’ex-Jugoslavia: un tribunale internazionale ad hoc. 
Un tribunale ed un’azione penale, quindi, che non nascerebbero sulla base di regole valide per tutti, bensì sulla base della volontà politica degli Stati. 
Ma arrivati a questo punto, chi glielo dice a Silvio Berlusconi che le regole che valgono per lui valgono solo per lui e non anche per chi lo vorrebbe processare? E per di più con il legittimo sospetto della strumentalità dell’accusa visto che si tratterebbe di crimini per i quali nessuno, prima, aveva sentito la medesima esigenza di istituire un tribunale ad hoc? 
Conoscendo gli avvocati di Silvio, pare poco probabile che un tale tribunale possa riuscire a lavorare senza occuparsi anche dei maestri dell’“effetto collaterale indesiderato”. In un simile processo, l’accusa verrebbe ben presto indicata come esempio per discolparsi dei tanti possibili “errori” compiuti nel nobile intento di difendere il proprio paese: può sbagliare Sharon quando massacra il popolo palestinese, e non può sbagliare Silvio Berlusconi? 
 
A pensarci bene, un simile processo non sarebbe tanto male: i famosi tre piccioni con una fava; e tutto grazie agli avvocati di Berlusconi. 
 
Consapevoli, però, che tipi come Bush e Sharon di fare la fine del piccione proprio non ci pensano, non rimarrà che un’ultima soluzione: restituire il prigioniero di guerra Silvio Berlusconi affinché siano i suoi concittadini a processarlo. 
Per cui, cambiato regime in Italia con la forza delle armi, sarà il nuovo regime, scelto dagli occupanti, a decidere le sorti dell’ex-Capo. E chi meglio di Di Pietro o Travaglio potrebbe essere scelto per giudicare l’imputato Silvio Berlusconi? 
 
Fortunatamente per Berlusconi, l’incubo può finire qui. 
Saddam si trova dove si trova e la questione riguarda, per il momento, soltanto lui; sempre con la speranza che possa arrivare vivo ad un processo che tutti attendiamo con ansia. 
 
Lunga vita a Saddam. 



  
PS: dimenticavo. 

La comunità internazionale ha manifestato profonda indignazione per i casi di tortura, non una voce, però, per denunziare gli aspetti più gravi del modo di procedere delle forze della coalizione nei confronti dei “fermati”: 
   si viene arrestati e liberati a discrezione, quasi sempre senza mai finire di fronte ad un'autorità che possa essere definita un giudice; 
   nessuna assistenza legale; 
   veri e propri desaparecidos senza possibilità alcuna di comunicare con l'esterno. 

Tra questi fantasmi senza diritti, per l'appunto, anche Saddam Hussein e Tareq Aziz. 
Il secondo, ricordiamolo, prima della guerra era libero di girare il mondo e d'incontrare tutti, Papa compreso. Dopo la guerra, nessuno che si chieda che fine abbia fatto e perché. 

Vorrei quindi soltanto aggiungere, da cittadino di un mondo libero e democratico, che se il nostro Presidente del Consiglio Berlusconi sparisse nel nulla pretenderei, anche per lui, l'applicazione dell'art. 13 della Costituzione italiana: 

La libertà personale è inviolabile. 
Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. 
In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto. 
È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà. 
La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva. 

 
 
 


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