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ilsole24ore.com  30-01-2007

Legge elettorale: Veltroni e Fini d'accordo sul doppio turno

Il momento clou arriva alla fine. Gianfranco Fini conclude il suo intervento con un'inequivocabile apertura al doppio turno, precedentemente invocato da Walter Veltroni in nome dell'ottima prova data dalla legge elettorale per i comuni. Il sindaco di Roma scambia un'occhiata con Stefano Ceccanti - costituzionalista e, soprattutto, esponente del comitato referendario presieduto da Giovanni Guzzetta, anche lui in sala - e parte: «L'obiettivo dei referendari è rafforzare il bipolarismo. Se matura in queste settimane un accordo tra le forze politiche anche loro non potrebbero che prenderne atto positivamente e creare le condizioni che rimandino al senso di responsabilità di ognuno».
Tradotto dagli ambienti referendari: ci ha chiesto «una finestra di opportunità», un anno per vedere se l'accordo di massima che si è intravisto oggi riesce a diventare legge.
Questo si può fare, spiegano, senza che i due quesiti referendari vengano abbandonati. Insomma, sfruttando tutto il tempo previsto dalla legge, la finestra per raccogliere le firme si apre da fine marzo a settembre, la consultazione popolare potrebbe arrivare anche tra molti, moltissimi mesi. D'altronde si è capito bene che il referendum è la pistola che Fini e Veltroni hanno messo oggi sul tavolo. Il leader di An lo ha detto assai bene: «Non è da escludere che stavolta si riesca a fare una buona riforma. È evidente che, se chi ha un potere di interdizione lo esercita, poi arriva il referendum. E il referendum, caro Beppe (Pisanu, seduto al suo fianco, ndr), non è una iattura. Arriva e ognuno si assume le sue responsabilita".
Che non sarebbe stata una mattinata persa l'aveva chiarito Gianni Alemanno, padre della Fondazione nuova italia che ha organizzato l'evento, fin dall'inizio: «Questo non è il tavolo dell'inciucio" e "non é neanche il tavolo dei 'saranno famosi’ visto che Fini e Veltroni lo sono già e non hanno bisogno di fare un Pacs per diventarlo» e infine «non è un tavolo dei volenterosi, che sono persone responsabili ma sono solo dei singoli». Questo, ha spiegato l'ex ministro, «è un tavolo di volontà politiche, di leader che si assumono le loro responsabilità e accettano di fare una riforma». Quale? Alemanno, in apertura, suggerisce la legge dei comuni che «garantisce i piccoli partiti, senza intaccare il bipolarismo».
Anche se, aveva spiegato Domenico Benedetti Valentini, deputato di An, «al secondo turno gli elettori del centrodestra vanno meno alle urne».
Il ministro dei Rapporti col parlamento Vannino Chiti, a ruota, riassume lo stato del suo sondaggio presso i gruppi parlamentari, avanza qualche proposta condivisa e parla della necessità di accompagnare ai ritocchi alla legge elettorale «singole innovazioni costituzionali» come il potere di revoca dei ministri o la riduzione dei parlamentari, «altrimenti chiunque vinca le elezioni non riuscirà a governare lo stesso». Affronta anche il tema del premio di maggioranza, Chiti, nel suo intervento e del doppio turno che lui auspicherebbe, «anche se non di collegio, ma come nei comuni», e spiega: «C'è il no di An e Forza Italia al doppio turno ed è evidente che, senza il doppio turno, non si possono avere premi di maggioranza consistenti».
Insomma, sul doppio turno, a metà tra l'incipit di Alemanno sulla legge elettorale per i comuni (che è, com'é noto, a doppio turno) e la finale apertura di Fini c'è il niet implicito di Beppe Pisanu. Il senatore di Forza Italia ammette i difetti del "porcellum" (rischio di maggioranze diverse tra le due camere, frammentazione, distanza tra eletti e elettori), ma a partire da questo propone "soluzioni pragmatiche, cioè le soluzioni meno distanti dalla legge attuale". Insomma «non tocchiamo la costituzione o non ne usciamo più, si allungano i tempi e arriva il referendum. Se proprio vogliamo, possiamo procedere in due tempi: prima la legge elettorale, poi la costituzione».
Per gli azzurri quello che si può fare subito è l'introduzione di un premio di maggioranza nazionale al senato; una soglia di sbarramento ragionevole; l'esclusione delle liste sotto-soglia dal calcolo del premio di maggioranza; il divieto alle candidature multiple ma non per il candidato premier (sorrisi in sala scatenati dalla "legge ad personam" del cavaliere, ndr); l'introduzione della doppia preferenza o la riduzione della dimensione delle circoscrizioni; ultimo ma non ultimo, la citazione sulla scheda elettorale del nome del candidato premier.
Il referendum è lo spauracchio dei piccoli partiti e di Forza Italia - che deve tenere conto della Lega - e il referendum stesso si è materializzato a un certo punto accanto a Beppe Pisanu. Giovanni Guzzetta, presidente del comitato referendario, ha preso il microfono e detto la sua: «Dopo un iniziale 'facite ammuina’, ora si è passati a fare proposte significative, perché l'errore peggiore sarebbe una riforma minimale». I quesiti, ha detto ancora il professore di Tor Vergata, «hanno fissato l'asticella, ma niente impedisce al parlamento di saltare più in alto».
Poche parole, affilatissime. L'Italia, ha detto Guzzetta guardando Fini, Veltroni, Pisanu e Alemanno, «deve essere un paese normale, in cui le promesse elettorali sono in grado di venire realizzate e non fare come oggi, che le promesse elettorali diventano solo rimpianti». Un sistema normale, chiosa Veltroni, «è interesse nazionale e non è scandaloso che persone di schieramenti diversi si preoccupino di questo».
Parla di «tripudio di autoreferenzialità della politica» il sindaco di Roma e dice che «una democrazia che non decide, senza assunzione di responsabilità, bloccata dai veti incrociati, non è una democrazia». E ancora: «Non è virtuoso un paese in cui i partiti del 2% possono vanificare il voto dei cittadini». E quindi: legge dei sindaci («non serve inventarsi il 35esimo sistema elettorale»), riduzione dei parlamentari, potere al premier di nomina e revoca dei ministri, una corsia preferenziale in parlamento per i ddl governativi, riforma della finanziaria, fine del bicameralismo. Stiamo attenti, avverte il sindaco Ds, «o rischiamo di lasciare il campo a soluzioni populiste e tecnocratiche».
Fini, dal canto suo, ci tiene a lanciare una frecciata ai centristi dei due schieramenti (ma forse soprattutto all'Udc): «In italia c'è chi critica la qualità del nostro bipolarismo per metterlo in discussione" e magari pensa, come ai tempi della Dc, «a un partito con 3 o 4 forni che decide quali aprire a seconda del momento». Ma la democrazia dell'alternanza, avverte il leader di An, è ormai «un valore condiviso». Non solo, in campo c'é pure il referendum: «Basta vedere come alcuni esponenti politici, e non di primo pelo, lo temono per capire che c'é la possibilità che si riesca non solo a raccogliere le firme, ma anche a raggiungere il quorum».
In ogni caso, spiega Fini, «non credo all'opportunità di una legge elettorale senza un parallelo intervento sulla costituzione, perché non intervenire sulla forma di governo vorrebbe dire perdere una buona occasione». Disponibilità di An, quindi, ma "ci sarà vincolo di maggioranza?", Chiede Fini: «Quando discuteremo in commissione della riforma ci sarà l'obbligo di un accordo di tutto il centrosinistra? Perché in quel caso é difficile arrivare a una soluzione». Il doppio turno? «Non c'é un veto, dipende anche da dove si attribuisce il premio di maggioranza».



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