Riforme Istituzionali
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Amato, Bertinotti, Fassino
Maggioranze variabili? Si può!


Corriere.it 05-03-2007

Il ministro dell'Interno dopo la crisi del governo Prodi
«Maggioranze variabili sulle singole misure»
Amato: «Sarà il Colle a impedire che si superi il limite. I Dico? Testo migliorabile, ora serve una riflessione»
   
Aldo Cazzullo

ROMA- Racconta Giuliano Amato che in questi giorni ha riletto un saggio del suo maestro di diritto costituzionale, Carlo Lavagna: «Maggioranza al governo e maggioranze parlamentari», 1974.
«Ho ritrovato una vecchia copia, con i punti interrogativi che avevo annotato allora. Ricordo che polemizzai con il mio maestro, là dove argomenta che le maggioranze sulle singole misure non necessariamente coincidono con la maggioranza della fiducia».

Ministro Amato, è quello che potrebbe accadere presto al governo Prodi. Le maggioranze variabili non rischiano di riaprire la crisi?
«Non è così. Il mio maestro esagerava nello sminuire la maggioranza della fiducia, ma diceva una cosa fondamentalmente giusta. Sono le forze politiche a dover decidere se il sostegno di una maggioranza diversa a un singolo provvedimento rappresenti una ragione per togliere la fiducia. Se non lo fanno, vorrà dire che esse, pur non condividendo quella misura, hanno ritenuto di non essere state "tradite"».

Sta dicendo che se la missione in Afghanistan passa con i voti della destra il problema non è di Prodi ma della sinistra radicale?
«Il giudizio è effettivamente loro, e in ogni caso avviene sotto il riflettore del capo dello Stato. E un capo dello Stato come Napolitano non consentirà alle maggioranze variabili di andare oltre un certo limite. Di sicuro la Costituzione non prevede che a ogni votazione si riproponga la maggioranza della fiducia. Certo, qualunque costituzionalista le direbbe che, se la legge di bilancio passasse con una maggioranza diversa, il governo si dovrebbe dimettere».

Secondo lei come esce il governo dalla crisi?
«Questo scossone poteva anche non esserci; ma, visto che c’è stato, a mio avviso può risultare utile. Perché ha fatto guadagnare al governo un orizzonte più nitido, ponendo fine a quella bramosia che circolava nel sistema di sostituire prima o poi questo governo con un altro che facesse la legge elettorale ».

Si era parlato infatti di un governo istituzionale, guidato magari proprio da lei.
«Non amo le autocitazioni, ma la mia uscita dei primi di gennaio, che parve allora molto eterodossa, aveva proprio questo fine: affiancare al lavoro di governo il lavoro per la futura legge elettorale e le riforme istituzionali connesse ».

Lei propose allora lo strumento della Convenzione. E’ un’idea ancora valida?
«La battaglia sullo strumento rischia di diventare di principio e non intendo parteciparvi. Decideranno i gruppi parlamentari. Quello che mi interessa è che si sia tagliata l’erba sotto i piedi a chi pensava a un altro governo per la legge elettorale. Ci siamo arrivati anche grazie al capo dello Stato che ha avuto un ruolo molto positivo di stabilizzazione del sistema politico. Napolitano ha messo in chiaro che noi avevamo la responsabilità di garantire la governabilità, che con questa legge è impossibile. E’ stato anche giusto chiedere al governo la maggioranza dei senatori eletti, il fatidico 158 su 315. Questo non diminuisce il valore del voto dei senatori a vita, ma fa valere il basilare principio democratico per cui un governo deve avere la maggioranza degli eletti».

Scrive Scalfari su "Repubblica" che Prodi dovrà "governare con il Parlamento", senza arroccarsi sulla sua maggioranza. Ma l’apertura all’opposizione non porterà alla rottura con la sinistra radicale?
«È dall’inizio della legislatura che Napolitano sostiene giustamente che una cosa è il bipolarismo, un’altra è la guerra tra federali e pellerossa e l’assedio di Fort Apache. Abbiamo creato la contrapposizione bipolare per rafforzare i governi, ma l’abbiamo condotta a una tale esasperazione da renderla inadeguata all’obiettivo. Ciò dipende da almeno due ragioni. Gli odi e gli amori che suscita una personalità come quella di Berlusconi. Berlusconi ha detto una cosa giusta: il suo nome ha generato un sostantivo, un nuovo "ismo" — berlusconismo e antiberlusconismo —, il che indica una forte peculiarità legata alla sua persona. Quando tra cent’anni Berlusconi non ci sarà più, il nostro bipolarismo cambierà. Poi c’è l’eterogeneità delle nostre coalizioni: sia il centrodestra sia il centrosinistra hanno alle rispettive estreme un peso forte, che aumenta l’attrito con l’altra coalizione. Anche se in coscienza devo riconoscere che la Lega nella passata legislatura e ora l’estrema sinistra hanno fatto uno sforzo per adeguarsi, per modificare le loro istanze ai fini della responsabilità di governo. A me pare che lo sforzo di Rifondazione stia dando frutti indiscutibili, anche se rimangono al suo interno componenti che strutturalmente rifiutano quelle responsabilità».

Non creeranno problemi neppure i 12 punti, con l’esclusione dei Dico? Non sono una torsione verso il centro?
«I 12 punti non rappresentano una torsione. Sono un elenco di misure che il governo deve ancora adottare. Sui Dico il governo ha già presentato un disegno di legge».

Il cardinale Ruini, nel colloquio con Virginia Piccolillo del Corriere, risponde al suo invito a non demonizzare le coppie di fatto e le definisce «una libera scelta che va rispettata».
«Sono convinto da tempo che questo sia il pensiero del cardinale Ruini. Non a caso, diversi mesi fa disse una cosa che io condivido: sarebbe grave attribuire alle convivenze di fatto uno status giuridico più omeno analogo al matrimonio. Mentre è giusto lenire le sofferenze ed eliminare le ingiustizie che possono esserci a danno delle persone che fanno parte di queste convivenze. Nell’elaborare il disegno di legge, il governo si èmantenuto entro questo perimetro».

Ruini dice anche che i conviventi non sentono il bisogno di «una struttura giuridica». Che cosa deve fare il governo ora? Disinteressarsi dei Dico? O spingere per la loro approvazione?
«Sono convinto che quel testo, come qualsiasi altro, sia migliorabile. Se è vero che può essere considerato da molti come non prioritario, ciò non toglie che rifletta esigenze di giustizia e sia giusto occuparsene. Ora, di tutto abbiamo bisogno fuorché di prove muscolari tra chi lo vorrebbe votare subito e chi lo vorrebbe buttare dalla finestra. Ci si rifletta. Se ne discuta, e si discuta sul merito».

Nessuna battaglia ideologica, nessuna guerra culturale quindi?
«Ciascun commento sia riferito alle proposte specifiche che sono sul tappeto. Altrimenti si rischia di tornare alle pregiudiziali. Sono pronto a discuterne ovunque, dalle aule parlamentari all’università Gregoriana, con interlocutori disposti come me a non fermarsi alle pregiudiziali».

Lei crede che il bipolarismo italiano abbia un futuro? O sostiene, come Follini e Casini, che vada superato, magari con una riforma elettorale alla tedesca?
«Io resto un fautore del bipolarismo, anche se temo che il nostro abbia bisogno di più tempo di quanto abbiamo sperato per "maturare". Ma la sua maturazione è molto più legata alla forza della politica che non agli espedienti dei sistemi elettorali. Sono un cultore della vecchia lezione di Duverger, per cui la politica debole è plasmata dai sistemi elettorali, mentre la politica forte li adatta a sé. Oggi lo spartiacque sembra essere tra chi ama il bipolarismo e odia il modello tedesco, e chi odiando il bipolarismo il modello tedesco lo vorrebbe sposare. Ma torno a dire che imodelli sono il Santo Graal dei poveri di spirito, e chi considera una cosa di per sé un modello vuol dire che non sa esattamente cosa vuole. Gli effetti di cui si parla non sono mai effetti del sistema elettorale in quanto tale, ma dell’interazione tra il sistema elettorale e il sistema politico».

Il problema è che in Italia la politica appare più debole che forte.
«Appunto. Se affrontassimo il sistema tedesco con partiti deboli, poco strutturati, poco convinti di sé, è più che presumibile che la logica proporzionale prevarrebbe sul bipolarismo. Se invece il centrodestra darà vita a un nuovo partito, sia che lo comprenda tutto sia che ne comprenda solo una parte, e se noi daremo vita al Partito democratico, la logica proporzionale cederebbe a quella del collegio uninominale. Com’è accaduto in Germania».

Ma la legge elettorale ha tempi più stretti della nascita dei nuovi partiti.
«Questo è da vedere. Se si pensa di fare tutto di fretta e poi andare al voto in pochi mesi, non sarà facile. La mia impressione è che sarà molto complicato trovare il consenso sul modello tedesco, per via della clausola dello sbarramento al 5%. I piccoli partiti possono anche immettersi in un processo che li induca ad aggregarsi, ma non a suicidarsi. E poi non si può affrontare la legge elettorale senza interessarsi alle questioni costituzionali connesse: il superamento del bicameralismo perfetto e la riduzione del numero dei deputati».

Quale potrebbe essere la legge più adatta al sistema politico italiano?
«Lo si vedrà in relazione alle posizioni di ciascuno, con un minimo essenziale: restituire ai cittadini la scelta degli eletti, oltre alla scelta della coalizione di governo. È possibile che io non mi presenti più alle prossime elezioni, ma è certo che non mi presenterò mai più di fronte agli elettori sapendo già di essere eletto, per una decisione non loro ma delle segreterie di partito. E siccome non credo che la soluzione sia mantenere le liste introducendo le preferenze, che infiniti addusse lutti agli Achei — di cui è bene ricordarsi —, si potrebbe tornare a collegi uninominali, o in alternativa introdurre collegi plurinominali purché piccoli, con due o tre nomi».

Ma senza il modello tedesco i riformisti possono dire addio alla prospettiva dell’alleanza con l’Udc.
«Non è detto. I processi politici, come i processi chimici, sono fatti dall’interazione tra fattori diversi: da una parte l’interazione tra l’Udc e il centrosinistra, dall’altra l’interazione tra l’Udc e il centrodestra. Gli effetti dipendono non solo dalla legge elettorale ma da molti fattori; non ultimo il Partito democratico. Che dovrà nascere più rapidamente di quanto pensassimo all’inizio. La scadenza delle europee 2009 è troppo lontana: non tanto perché possano venire prima le politiche, quanto perché il processo costituente che i due partiti maggiori apriranno tra due mesi non potrà durare due anni senza che si perda la tensione necessaria».



Repubblica.it  05-03-2007

Bertinotti: "Su alcuni temi possibili maggioranze variabili"
Il presidente della Camera e Fassino d'accordo con la proposta di Amato
Cauto Follini. Per il portavoce di Berlusconi un "giochetto della sinistra"


ROMA - Assensi importanti e qualche dubbio per la proposta delle maggioranze variabili avanzata dal ministro degli Interni Giuliano Amato. ''Esiste un campo di argomenti in cui le maggioranze variabili sono nelle cose, ad esempio la legge elettorale ha una vocazione trasversale e unanime. Si possono fare geometrie variabili solo nel caso in cui tutta la maggioranza ritenga che ciò possa essere fatto senza mettere in discussione la maggioranza stessa''. Lo afferma il presidente della Camera, Fausto Bertinotti, durante la registrazione di Otto e mezzo che andrà in onda stasera su La7, rispondendo al ministro Amato che, in una intervista pubblicata oggi dà il suo ok ad eventuali maggioranze variabili su alcuni temi. Per Bertinotti è fondamentale che ''la geometria variabile non diventi una clava perché, per esempio, se dà luogo per 10 volte ad una apertura al centro diventa una maggioranza reale''.

Il segretario della Quercia Fassino accetta le convergenze, tenendo ferma la composizione della maggioranza: ''Può accadere che ci sia anche una convergenza su singoli provvedimenti ma questo non cambia la maggioranza politica. Ancora una volta ci si avvita su un dibattito nominalistico, perché in qualsiasi democrazia parlamentare c'è una maggioranza che governa e porta in Parlamento i suoi provvedimenti e poi si discute e ci si confronta''. Insomma per Fassino ''fa parte delle regole del gioco democratico che maggioranza e opposizione abbiano ciascuno un profilo distinto e poi su singoli provvedimenti si possa determinare una convergenza, senza cambiare il segno politico della maggioranza''.
Di segno contrario il portavoce dell'ex premier Berlusconi: "Maggioranze variabili? La maggioranza c'è o non c'è, tutto il resto è politichese e la gente è ormai stanca di questi giochetti della sinistra" ha dichiarato Paolo Bonaiuti, portavoce del leader di Forza Italia.

Più cauto Follini: "La maggioranza variabile non va scartata frettolosamente". E' questa l'opinione di Marco Follini, che ha partecipato alla registrazione di Porta a porta. "Nell'area di centro - ha aggiunto l'ex segretario dell'Udc - non c'è il filo spinato. Si può aprire una collaborazione tra gli schieramenti". Follini ha sottolineato che presto si voterà per il finanziamento della missione italiana in Afghanistan, "tema sul quale la stragrande maggioranza del Parlamento è favorevole. Questo dimostra come in molte materie ci sia più distanza all'interno dei poli, che tra le aree moderate dei due schieramenti".



Indice "Rassegna Stampa e Opinioni" - 2007
 
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