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Corriere.it  30-04-2007

L'INTERVISTA  «Il referendum? Ci ha imposto un'agenda, serve uno stop alla frammentazione»

Parisi: ora avanti verso il presidenzialismo 
«Il sistema francese compatibile con l'idea del Partito democratico» 

Ministro Parisi, il Partito democratico fimalmente sta per nascere... 
«Già, un progetto 'antico' diventa possibilità nell'immediato. I congressi di Ds e Margherita hanno scritto la parola fine sui rispettivi percorsi. Si apre ora un processo che ci chiama tutti a impegnarci attivamente. Aver sentito D'Alema dire a Firenze che quello sarebbe stato l'ultimo congresso dei Ds mi emoziona ancora. Tocca a noi spiegare ai cittadini il perché e la prospettiva che ora si apre. E io spero che anche nel centrodestra si apra un nuovo processo analogo». 

Lei è felice, è naturale, visto che ha lavorato al Pd da anni, ma per ora più  che di progetti si parla di autocandidature alla leadership... 
«Sono meccanismi automatici incontenibili che vengono dal passato. Ma noi dobbiamo guardare a ciò che sta dietro e soprattutto avanti. Se infatti è chiaro che una vicenda muore meno chiaro è ciò che va nascendo». 

Già, assai meno chiaro, tanto che c'è chi teme che il Pd metta in fibrillazione il governo. 
«Il fatto è che viviamo sotto la minaccia permanente di crisi. 
Pensi: ho appena incontrato il capo di un governo arabo, il quale mi ha spiegato di aver rimandato il suo viaggio in Italia a suo dire per la recente caduta del governo. Hai voglia a spiegargli che si trattava solo di un passaggio parlamentare "tosto". Il fatto è che nel mondo ci guardano ancora a partire dall'idea di un'Italia instabile e inaffidabile. Certo, la stabilità di governo non è un fine in sé. Ma come facciamo a confrontarci con gli altri con un'inunagine simile? E, soprattutto, dando l'idea che ogni volta, se non tutto, molto possa essere rimesso in discussione?». 

Scusi ma tutto ciò, per dirla alla Di Pietro, che ci azzecca con il Pd? 
«Non sembra, ma stiamo parlando esattamente del Pd. Solo i grandi partiti, grandi per qualità e quantità, possono infatti corrispondere a quella vocazione generale che ci consente di essere all'altezza del mondo. L'opposto della direzione nella quale ci sta spingendo l'attuale legge elettorale». 

Ossia? 
«I partiti "chiamano" i sistemi elettorali e i sistemi elettorali "chiamano" i partiti. Non è automatico, ma è assolutamente evidente che il Pd può nascere solo in uno schema bipolare. Partito democratico e legge elettorale fanno parte della stessa vicenda». 

Perciò lei sostiene il referendum? 
«Ciò che è chiaro è che bisogna mettere uno stop alla dinamica della frammentazione in corso. Certo, ogni iniziativa in Parlamento va incoraggiata, non fosse altro perché, dopo il referendum, in Parlamento si deve comunque tornare. Il tentativo di Chiti, senz'altro generoso, per ora, ha purtroppo però solo misurato l'impotenza della classe politica quando deve incidere su se stessa. Pensi solo al rinvio al 2016 della soglia di sbarramento». 

E invece con il referendum... 
«Quello che è impossibile negare è che il referendum ci ha almeno imposto l'agenda. Ci ha costretto a mettere mano alla riforma e, allo stesso tempo, a metterci, per così dire, una scadenza per dar seguito all'impegno che avevamo indicato tra i primi agli elettori». 

Per tornare al Pd, sembra di capire che lei non ritiene che tutti i sistemi elettorali siano compatibili con quel partito, e questo la preoccupa... 
«E così: non tutti i sistemi elettorali sono capaci di difendere nel nostro Paese la sopravvivenza del bipolarismo. Certo non lo è quello tedesco. Mentre il sistema francese, per esempio, indiscutibilmente lo è di più. Garantisce l'esigenza della rappresentanza e la governabilità e tiene fermo il bipolarismo». 

Pensa di proporre il doppio turno alle elezioni politiche? 
«Guardi che il doppio turno è solo una parte della soluzione». 

Potrebbe essere più chiaro? 
«Come non vedere che l'essenza del sistema francese più che il doppio turno è il semi-presidenzialismo? Il fatto è che da noi bisognerebbe aprire una riflessione sulla costituzione e sulla possibilità di introdurre il sistema francese nella sua completezza e non solo in un aspetto. Lo dico per rispetto alla nostra costituzione. Non possiamo chiedere ad essa quello che essa non può dare». 

Legge elettorale nuova, sistema costituzionale nuovo, partito nuovo: lei tiene tutto insieme. Peccato che nell'Unione ci sia chi tifa per la riforma alla tedesca e chi, come Franco Marini, teorizza alleanze intercambiabili... 
«Sono affermazioni che non mi sono certo sfuggite. Il rischio è che il bipolarismo venga di nuovo bloccato dalla ricostituzione di un centro che mette fine all'alternanza». 

Il rischio, per la verità, è che il Pd divenga la Dc della politica dei due forni. 
«Non lo considero attuale ma è un rischio tutt'altro che teorico. Badi bene che per me la Dc non è una parolaccia, ma certo l'idea che il Pd divenga una Democrazia cristiana secolarizzata rappresenterebbe il fallimento del nostro progetto». 

Il rischio, ministro, è che non si capisca bene che cos'è il Pd... 
«La natura del Pd è affidata a un aggettivo semplicissimo: nuovo. Un partito nuovo, quindi nessuna addizione di partiti, né fusione, né continuazione. Per evitare gli equivoci e le brutte esperienze passate basta affidarsi al peso delle parole. Nessuno può illudersi di parlare in libertà, perché le parole, alla fine, presentano il conto». 

E infatti ora dicono tutti - da Fassino a D'Alema -  "una testa un voto", per l'elezione dell'Assemblea costituente 
«Non può che farmi piacere, per il significato di questo principio e soprattutto per le sue conseguenze».
 
Lei dice che parlare di leadership è prematuro, ma prima o poi dovrete farlo.
«Solo quando sapremo quale Pd vogliamo potremo discutere di chi potrà esserne il leader. O, meglio, candidarsi alla leadership ha un senso solo se chi si candida saprà spiegare qual è il Pd che vuole, chi sarà il leader. E' su quella base, infatti, che dovrà essere scelto, al di là delle sue capacità personali e di Comunicazione, che pure contano».
 
Maria Teresa Meli 



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