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Repubblica.it  11-02-2009

Tra i dottori che curano i fantasmi - Dove i malati sono clandestini

Dopo la caduta del divieto di denunciare gli irregolari, viaggio negli ospedali dove i malati rischiano di diventare fantasmi
I camici bianchi assicurano: "Non faremo i delatori" E qualcuno lo scrive sulla porta
"La politica non può pensare di mettere paura agli extracomunitari utilizzando noi"

di Ettore Boffano

TORINO - Il richiamo della paura, del fuggi fuggi dalla sanità pubblica, lo hanno lanciato i cinesi. "Hanno ricominciato a fornire generalità false - spiegano all'accettazione del pronto soccorso dell'ospedale Molinette di Torino - Loro sono i più attenti a ciò che si dice attorno agli stranieri: se si nascondono, allora vuol dire che tutti si stanno agitando. Quando c'è allarme, cambiano una, due, tre identità. E ne daranno ancora una diversa quando torneranno per un controllo o per un esame. Lo fanno anche le donne incinte o che devono partorire". Llukani invece, l'albanese prepotente e paraplegico che girava sulla sedia a rotelle nei reparti del Cto, sono andati ad arrestarlo in corsia. Vecchie storie con la giustizia italiana. Il fatto però che fosse clandestino, un fantasma per il servizio sanitario nazionale, e che in pochi riuscissero a sopportare la sua arroganza, non c'entra nulla: per due anni Llukani è rimasto lì, nell'ospedale traumatologico della città, senza che a nessun medico e a nessun infermiere passasse mai per la testa di chiamare la polizia o i carabinieri. "E non lo faremo neppure dopo, quando sarà entrata in vigore quella norma che abolisce il divieto di denunciare gli irregolari", ripetono gli uomini e le donne con il camice bianco sul quale ora è comparso un adesivo rosso con una frase che pare la rivisitazione dell'antico giuramento d'Ippocrate: "Non siamo spie!".

In via Cottolengo, alle spalle del mercato multietnico di Porta Palazzo e a pochi passi dalla "cittadella della carità" fondata da uno dei santi sociali torinesi, c'è un ambulatorio medico di volontari, oltre cento tra medici, infermieri e impiegati, che è intitolato alla lettera pastorale del cardinale Michele Pellegrino, "Camminare insieme", ma che è stato fondato da Corrado Ferro, socialista, pensionato ed ex segretario regionale della Uil.

Lì, da sempre nella storia della Torino extracomunitaria, si presentano quelli che non hanno il permesso di soggiorno e che hanno più paura degli altri. Venerdì scorso, quando i Tg e i giornali hanno messo in moto il tam tam ("I medici dovranno denunciare i clandestini"), la sala d'aspetto è rimasta vuota. "Per la prima volta in 15 anni - racconta Ferro - E dire che abbiamo assistito gratis più di 30 mila persone, fornito 110 mila prestazioni mediche con una media di 50 passaggi al giorno, dal lunedì al sabato mattina, 7.500 ogni anno". Il calo però era già cominciato dopo l'estate, "quasi il 20 per cento in meno, perché da quei giorni sono scattate le voci e la diffidenza". Ora quelli di "Camminare insieme" stanno preparando un cartello ("Noi non denunciamo nessuno") da affiggere alla porta. "Lunedì - dice la coordinatrice, Cristina Ferrando - sono arrivati, uno dietro l'altro, un marocchino e una donna albanese. Lui doveva essere mandato in ospedale, per una polmonite: ha voluto andare a piedi perché non si fidava a salire sul tram e temeva di incappare nella polizia. La ragazza è al secondo mese di gravidanza e fa la badante. Ci ha chiesto di poter venire la domenica, quando siamo chiusi: è terrorizzata che nella casa dove lavora scoprano tutto e la caccino".

Ma come sono le notti "clandestine" degli extracomunitari senza volto, nei pronto soccorsi dove la paura dell'espulsione è piombata assieme alla notizia di una legge che in realtà non esiste ancora? Per capirlo, bisogna scendere lungo la rampa che da corso Bramante conduce nel pronto soccorso sotterraneo delle Molinette, uno degli ospedali più grandi d'Italia. Il Cto dove era ricoverato Llukani l'albanese è a un chilometro in linea d'aria, in questa striscia che costeggia il Po e fronteggia la collina con le ville della Torino ricca: una disordinata "città della salute" dall'urbanistica confusa e dall'architettura affastellata, che ospita anche l'ospedale infantile e quello ginecologico. Quattro diversi dipartimenti di pronto soccorso, uno dopo l'altro. Sono le 22,30 di sabato scorso: dentro, nella sala visite di medicina, la dottoressa Stefania Battista gestisce un turno difficile, affollato come non capitava da Natale. Ripete il "mantra" deontologico che lei e i suoi colleghi hanno fatto scattare subito dopo il voto del Senato, per difendere la dignità di una professione. "Per noi non cambia nulla - assicura - non faremo i poliziotti. Medici siamo e medici restiamo: io devo occuparmi solo della salute di chi si affida al pronto soccorso. Non saremo delatori". Qualche ora più tardi, la mattina della domenica, i dati del computer spiegheranno che in quel turno le richieste di cura sono state 62, ma solo tre quelle da parte di extracomunitari. 



Indice "Rassegna Stampa e Opinioni" - 2009
 

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