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lastampa.it  05-11-2010

Legge elettorale, ecco la bozza di Pd e terzo polo

Per la prima volta viene introdotto il secondo turno

Federico Geremicca

Si consultano, si riuniscono, elaborano percentuali, studiano le leggi elettorali in vigore negli altri Paesi, faticano per tener assieme le esigenze di un partito o dell’altro ma sanno bene che, in conclusione, il loro lavoro potrà indifferentemente essere sia un punto di partenza - la rampa di lancio, cioè, di un ipotetico nuovo governo - quanto fatica sprecata, carta straccia da buttare in un cestino. Si parla, naturalmente, del gruppo ristretto (Violante, Bocchino, D’Alia, Bressa e pochissimi altri) che da settimane lavora a un testo di riforma della legge elettorale sul quale sia possibile raggiungere una intesa di massima tra le forze politiche contrarie a tornare alle urne col sistema attuale, il cosiddetto “porcellum”.
 
E correggi oggi, aggiusta domani, a un possibile testo base ci sono ormai praticamente arrivati. Sostanziosissime le novità. Cominciamo dalla Camera. La quota più consistente di seggi (si limano i dettagli: diciamo tra il 55 e il 60% del totale) verrebbe assegnata in collegi uninominali col sistema del doppio turno. Verrebbe eletto subito alla Camera chi ottenesse la metà più uno dei voti validi espressi.
Al secondo turno, invece, ci arriverebbero tutti i candidati che al primo avessero superato il 10 per cento dei consensi: è in questa fase che diverrebbe obbligatoria l’indicazione del candidato-premier per il quale si è in campo. Una seconda quota di seggi (tra il 35 e il 40% del totale) verrebbe assegnata con metodo proporzionale nelle circoscrizioni elettorali ai partiti che avessero superato la soglia di sbarramento, fissata al 5 per cento.

Il restante (cioè il 5% del totale dei seggi) verrebbe assegnato, sempre nelle circoscrizioni elettorali, come diritto di tribuna, ai partiti rimasti al di sotto della soglia del 5 per cento dei voti. Sospesa, per il momento, la scelta per quel che riguarda il sistema da adottare per il Senato. L’incertezza è legata a quanto del pacchetto di riforme possibili contenute nella cosiddetta bozza Violante (due risoluzioni che vi fanno riferimento sono state già votate quasi all’unanimità al Senato) riuscirà a vedere la luce.
Se, per esempio, si raggiungesse un’intesa anche sulla fine del bicameralismo perfetto, attribuendo al Senato la funzione di Senato delle Regioni (non titolato, dunque, a votare la fiducia al governo) l’assemblea di palazzo Madama verrebbe eletta con sistema interamente proporzionale.

Ma su questo punto, come dicevamo, la discussione è del tutto aperta e le varianti sono ancora troppe per poter mettere nero su bianco una qualunque ipotesi di schema. Sottotraccia, insomma, il lavoro è andato molto avanti, in queste settimane segnate da polemiche violente e poco edificanti. Ora si tratta prima di tutto di capire se la crisi politica del centrodestra precipiterà in crisi di governo (passaggio indispensabile per l’ipotetica nascita di un governo diverso che punti a riformare la legge elettorale), e poi - se questo avvenisse - quante e quali forze intenderanno partecipare al governo e, quindi, al processo di riforma proposto.
Lo schema di cui sopra potrebbe interessare certo le forze minori, oggi fuori dal Parlamento e domani garantite - almeno - dal cosiddetto diritto di tribuna.

Il Senato federale potrebbe tentare la Lega di Umberto Bossi; così come il ritorno ad una ampia quota proporzionale (ma con il permanere dell’indicazione del premier) ed un riavvicinamento degli eletti agli elettori (con i collegi e il ritorno delle preferenze) non sarebbe certo sgradito al cosiddetto e nascente terzo polo. I “delegati” di Bersani, Casini e Fini vanno dunque avanti ma, avendo chiaro il quadro di grande difficoltà che è di fronte, non è che si facciano oltremodo illusioni. In caso di crisi, o nell’immediata vigilia, il punto di partenza del delicato meccanismo da avviare (fare assieme un governo e riformare la legge elettorale...) potrebbe essere una risoluzione parlamentare nella quale si elencano le cose di cui il Paese avrebbe bisogno prima di tornare alle urne: le riforme istituzionali, dunque, ma anche almeno un paio di provvedimenti urgenti per dare ossigeno alla nostra economia. Quella risoluzione rappresenterebbe un po’, contemporaneamente, il momento della verità e la piattaforma politica programmatica - per chi la votasse - del nuovo governo da varare.

Il cammino è in salita, ed è inutile ribadirlo. Ma il lavoro dei “delegati” è del tutto fondamentale, se davvero si intendesse provare a passare da un altro governo prima di tornare alle urne. E’ molto difficile, infatti, che dal Quirinale potrebbe giungere un via libera in assenza di qualcosa di assai più concreto di una generica volontà di riforma della legge elettorale... E’ per questo che il lavoro di Violante, Bocchino e company può finire come carta straccia: ma può anche diventare l’indispensabile premessa per quel “governo di transizione” di cui si vagheggia ormai da settimane.


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di Franco Ragusa
Indice "Rassegna Stampa e Opinioni" - 2010


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