studiolegaleassociato.it
20-02-2012
Appello: “L’articolo diciotto: le verità nascoste” Desta grande sconcerto, tra gli operatori giuridici (avvocati, magistrati) che quotidianamente hanno a che fare, per il loro lavoro, con la tematica dei licenziamenti, il livello di approssimazione e di assoluta lontananza dalla realtà con cui tanti autorevoli personaggi della politica, del giornalismo e persino dell’economia affrontano l’argomento, contribuendo ad alimentare una campagna di disinformazione senza precedenti. Sta infatti entrando nella convinzione del cittadino (che non abbia, in prima persona o attraverso persone vicine, vissuto il dramma della perdita del posto di lavoro) la falsa impressione che in Italia sia pressoché impossibile licenziare, persino nei casi in cui un’impresa, in comprovate difficoltà economiche e finanziarie, con forte calo di ordini e bilanci in rosso, avrebbe necessità di ridurre il proprio personale (caso spesso citato nei dibattiti televisivi per mostrare l’assurdità di una legislazione che ingessi fino a questo punto l’attività imprenditoriale). Queste leggi assurde, poi, si salderebbero con una asserita “eccessiva discrezionalità interpretativa” dei magistrati (categoria della quale, nell’ultimo ventennio, ci hanno insegnato a diffidare) e sarebbero la causa, o quantomeno la concausa, del precariato giovanile. Senza considerare che è l’Europa a chiederci di rivedere la normativa in tema di licenziamenti, perché eccessivamente rigida. Inoltre il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro sarebbe un’ “anomalia nazionale”. Come si sa, il principio di propaganda che sostiene che “una bugia ripetuta mille volte diventa verità” paga, ed è estremamente rara, nei talk show televisivi, la presenza di giuslavoristi che raccontino cosa effettivamente accade nei luoghi di lavoro, nelle trattative sindacali, negli studi degli avvocati e nelle aule di giustizia: che cioè la legge già consente di licenziare per motivi “inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa” e che conseguentemente i licenziamenti per riduzione di personale avvengono quotidianamente, sia da parte di aziende con meno di 16 dipendenti (che non hanno altro onere che quello di pagare un’indennità di preavviso molto più bassa di quella prevista in altri paesi europei: solo ove un giudice accerti che le motivazioni addotte non sono vere, dovrà pagare un’ulteriore indennità, comunque non superiore a sei mensilità) sia da parte delle grandi aziende (che in caso di esubero di personale di più di cinque unità devono solo seguire una procedura che coinvolge il sindacato, ma che le vincola - anche in caso di mancato accordo sindacale al suo esito - esclusivamente a seguire dei criteri oggettivi nella selezione del personale da licenziare). Al di fuori dei licenziamenti per motivi economici - rispetto ai quali il giudice ha (solo) il potere di effettuare un controllo: a) di verità sui motivi addotti nei licenziamenti individuali e b) di regolarità della procedura nei licenziamenti collettivi - l’art. 18 si applica, ai datori di lavoro con più di 15 dipendenti, in caso di licenziamenti individuali, quasi sempre per motivi disciplinari. E qui, di volta in volta, il magistrato valuta il caso concreto, che non è mai come quelli da barzelletta che vengono talvolta riportati per dimostrare l’arbitrarietà del giudice e la presunta assurdità del sistema. Da oltre trent’anni si sente parlare del caso del garzone del macellaio amante della moglie del datore di lavoro, che sarebbe stato reintegrato perchè i fatti avvenivano al di fuori dell’orario di lavoro. Basta che una falsa notizia come questa venga detta in televisione, ed ecco che il quadro è completo e il prodotto confezionato: l’opinione pubblica, dopo un mese di questa martellante propaganda, è pronta ad accettare le giuste soluzioni che – condivise o non condivise da tutti i sindacati – ci facciano fare quel passo decisivo per adeguare l’Italia alle nuove esigenze della globalizzazione e renderla finalmente competitiva anche rispetto ad altri paesi europei che hanno una maggiore flessibilità in uscita. Ma è proprio vera quest’ultima cosa? Come mai non riusciamo a leggere in nessun giornale che gli indici OCSE che segnalano la cd. rigidità in uscita collocano attualmente l’Italia (indice dell’1.77) al di sotto della media europea (basti dire che la Germania ha l’indice 3.00)? Ed è proprio vero che il diritto alla reintegrazione (in caso di licenziamento dichiarato illegittimo) è previsto solo nel nostro Paese? Premesso che il discorso dovrebbe essere approfondito, va detto che in certi Paesi è addirittura costituzionalizzato (Portogallo) ed in altri è un rimedio possibile (ad esempio Svezia, Germania, Norvegia, Austria, Grecia, Irlanda, in taluni casi Francia) spesso accompagnato da ulteriori tutele. La verità è che non esiste un vero collegamento tra la ripresa produttiva e la libertà di licenziare, e forte è quindi il timore che il ”governo tecnico”, approfittando della crisi economica, possa dare attuazione ad un antico progetto di riassestamento del potere nei luoghi di lavoro, che per essere esercitato in modo sovrano mal tollera l’esistenza di norme di tutela dei lavoratori dagli abusi. Perchè è questo, e solo questo, il senso profondo dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori: una norma che sanziona il comportamento illegittimo del datore di lavoro ripristinando lo status quo ante che precedeva il licenziamento – lo si ribadisce - illegittimo. E la cui esistenza, per l’appunto, impedisce che il potere nei luoghi di lavoro (con più di 15 addetti, purtroppo, perchè altrove, appunto, tale tutela non c’è) possa essere esercitato in modo arbitrario e lesivo della dignità dei dipendenti. Ma nello stesso tempo occorre valutare con estrema attenzione anche tutte quelle prospettate soluzioni che, prevedendo la “sospensione temporanea” dell’articolo 18 per i primi tre o quattro anni per i giovani in cerca di un’occupazione stabile, teoricamente non sottrarrebbero la tutela dell’art. 18 “a chi già ce l’ha”. Occorre, infatti, quanto meno scongiurare l’ipotesi che in tale formula rientrino tutti i nuovi rapporti di lavoro poiché, altrimenti, inevitabilmente vi ricadrebbero anche coloro che, pur avendo goduto in passato della tutela dell’articolo 18, si ritrovino in stato di disoccupazione (dato che, come abbiamo visto, la norma non vieta affatto di licenziare, sanzionando solo i licenziamenti privi di giusta causa o giustificato motivo, e quindi solo quelli illegittimi). E dal momento che, checché se ne dica, il posto di lavoro fisso a vita è veramente un sogno e il mercato del lavoro è in continuo movimento (specie per quanto riguarda l’invocata flessibilità in uscita), nel caso in cui le disposizioni in cantiere non siano circoscritte con precisione, avremmo un esercito di disoccupati attuali o potenziali anche ultracinquantenni che, lungi dal portarsi dietro, infilato nel taschino della giacca, l’articolo 18 goduto nel precedente posto di lavoro, ingrosserebbero le fila dei nuovi precari. Perchè diversamente non possono essere considerati dei dipendenti che per tre o quattro anni siano sottoposti al ricatto della mancata stabilizzazione ove non “righino dritto” senza ammalarsi, fare figli, scioperare o avanzare rivendicazioni di sorta (e se, alla fine del triennio, non vi sarà – com’è probabile – alcuna garanzia di “stabilizzazione” del rapporto, in questo gioco dell’oca si potrà tornare alla casella di partenza, con un diverso datore di lavoro...). Ecco quindi che, per altra strada, si arriverebbe a ridimensionare anche i diritti di coloro ai quali l’articolo 18 attualmente si applica, risultato che la propaganda vorrebbe finalizzato a favorire quelli che ne sono esclusi: come ha scritto Umberto Romagnoli, è come avere la pretesa di far crescere i capelli ai calvi rapando chi ne ha di più. Un’ultima annotazione su un’altra soluzione di cui si sente parlare: la sostituzione della sanzione prevista dall’articolo 18 (reintegrazione) con un’indennità in tutti i casi di licenziamenti semplicemente motivati da ragioni economiche. Si è già detto che tali licenziamenti sono già consentiti, e secondo l’art. 30 della legge 183 del 2010 “il controllo giudiziale è limitato esclusivamente (...) all'accertamento del presupposto di legittimità e non può essere esteso al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro”. Cosa si vuole di più? Perchè si vorrebbe impedire al giudice anche un accertamento di legittimità (e non di merito) sulle motivazioni addotte? Forte è il sospetto che in questo modo si voglia consentire al datore di lavoro di liberarsi di dipendenti scomodi semplicemente adducendo una motivazione economica, anche se non vera. Sancendo così, automaticamente, il pieno ritorno agli anni cinquanta, quando i licenziamenti erano assolutamente liberi e la Costituzione nei luoghi di lavoro, faticosamente introdotta nel 1970 dallo Statuto dei lavoratori, semplicemente un sogno. Auspichiamo proprio che, con la scusa di dover riformare il mercato del lavoro, non si arrivi a tanto. 13 febbraio 2012 1. Alberto Piccinini, avvocato Bologna 2. Antonella Gavaudan, avvocato Bologna 3. Bruno Laudi, avvocato Bologna 4. Giovanna Buttazzo, avvocato Bologna 5. Francesca Ferretti, avvocato Bologna 6. Giorgio Sacco, avvocato Bologna 7. Massimo Vaggi, avvocato Bologna 8. Antonio Mumolo, avvocato Bologna 9. Sara Passante, avvocato Bologna 10. Stefania Mangione, avvocato Bologna 11. Guido Reni, avvocato Bologna 12. Rosa Tarantini, avvocato Bologna 13. Raffaella Ballatori, avvocato Bologna 14. Sabrina Pittarello, avvocato Bologna 15. Francesca Stangherlin, avvocato Bologna 16. Claudia Tibolla, avvocato Bologna 17. Antonio Monachetti, avvocato Bologna 18. Federico Martelloni, ricercatore Bologna 19. Manuela Del Monaco, avvocato Bologna 20. Matteo Acciari, avvocato Bologna 21. Sergio Mattone, Presidente Emerito Corte di Cassazione Sezione Lavoro 22. Piergiovanni Alleva, Prof. Avv., Bologna 23. Francesco Alleva, avvocato, Bologna 24. Stefano Caliandro, avvocato, Bologna 25. Nazzarena Zorzella, avvocato Bologna 26. Alvise Moro, avvocato, Milano 27. Antonio Di Stasi, Prof. Avv., Ancona 28. Mario Fezzi, avvocato, Milano 29. Nyranne Moshi, avvocato, Milano 30. Velia Addonizio, avvocato, Milano 31. Daniela Manassero, avvocato, Milano 32. Luca Boneschi, avvocato, Milano 33. Franco Scarpelli, Prof. Avv., Milano 34. Barbara Borin, avvocato, Vincenza 35. Enrica Mangia, avvocato, Milano 36. Corrado Guarnieri, avvocato, Torino 37. Enzo Martino, avvocato, Torino 38. Angelo Morese, avvocato, Milano 39. Nino Raffone, avvocato, Torino 40. Alida Valle, avvocato, Torino 41. Giovanna Prato, avvocato, Biella 42. Massimo Bellomo, avvocato, Latina 43. Gianni Casadio, avvocato, Ravenna 44. Ivan Carioli, avvocato, Forlì 45. Giovanni Marcucci, avvocato, Milano 46. Roberto Lamacchia, avvocato, Torino 47. Francesca Bassetti, avvocato Firenze 48. Alessandro Villari, avvocato, Milano 49. Fabio Rusconi, avvocato, Firenze 50. Francesco Rusconi, avvocato, Firenze 51. Stefano Chiusolo, avvocato, Milano 52. Milena Mottalini, avvocato, Milano 53. Maria Spanò, avvocato, Torino 54. Carlotta Persico, avvocato, Torino 55. Elena Poli, avvocato Torino 56. Antonio Negro, avvocato, Milano 57. Matteo Petronio,avvocato, Parma 58. Danilo Conte, avvocato, Firenze 59. Letizia Marini, avvocato, Firenze 60. Stefano Alberione, dottore, Torino 61. Antonio Caputo, avvocato, Torino 62. Pier Luigi Panici, avvocato, Roma 63. Carlo Guglielmi, avvocato, Roma 64. Giuseppe Mazzini, avvocato, Forlì 65. Filippo Distasio, avvocato, Torino 66. Ruby Ellen Berolo, avvocato, Torino 67. Bruno Pezzarossi, avvocato, Reggio Emilia 68. Elisa Favè, avvocato, Verona 69. Ilaria Cappelli, avvocato, Milano 70. Franco Berti, avvocato, Trieste 71. Silvana Lamacchia, avvocato, Torino 72. Caterina Burgisano, avvocato, Bologna 73. Giancarlo Moro, avvocato, Padova 74. Franco Focareta, Prof. Avv., Bologna 75. Bartolomeo Daniele, avvocato, Torino 76. Sandro Grandese, avvocato, 77. Alberto Neri, avvocato, Reggio Emilia 78. Francesca Romana Guarnieri, avvocato , Torino 79. Giuseppe Fontana, avvocato , Roma 80. Giovanni Marcucci , avvocato, Milano 81. Patrizia Graziani, avvocato, Forli’ 82. Roberta Li Calzi, avvocato, Bologna 83. Lara Melchior, avvocato, Udine 84. Emilia Recchi, avvocato, Roma 85. Matilde Bidetti, avvocato, Roma 86. Franco Boldrini, avvocato, Ancona 87. Sergio Boldrini, avvocato, Ancona 88. Andrea Ronchi, avvocato, Bologna 89. Lino Greco, avvocato, Milano 90. Giorgio Albani, avvocato, Milano 91. Massimo Ferrari, avvocato, Reggio Emilia 92. Ilario Brovarone, avvocato, Parma 93. Silvia Gorini, avvocato, Bologna 94. Raffaele Miraglia, avvocato, Bologna 95. Roberta Marconi, avvocato, Bologna 96. Paolo Donati, avvocato, Bologna 97. Grazia Angelucci, avvocato, Bologna 98. Giulio Centamore, dottorando, Bologna 99. Clelia Alleri, dottoressa in giurisprudenza, Bologna 100. Anna Nuvoli, dottoressa in giurisprudenza, Bologna 101. Cristina Maroni, dottoressa in giurisprudenza, Bologna 102. Margherita Longhi, dottoressa in giurisprudenza, Bologna 103. Lisa Dorigatti, dottoranda in studi del lavoro, università di Milano LE ADESIONI AL PRESENTE APPELLO POSSONO ESSERE INVIATE AL SEGUENTE INDIRIZZO E-MAIL: segreteria@studiolegaleassociato.it |
Dal Proporzionale al Porcellum
Come e perché del maggioritario in Italia di
Franco
Ragusa
Anche in versione ebook-pdf con contributo libero |
Indice "Rassegna
Stampa
e Opinioni" - 2012 Mailing List di Riforme istituzionali |