Vigente
Art. 18 - Reintegrazione
nel
posto di lavoro
1) Ferme
restando
l'esperibilità delle procedure previste
dall'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, il giudice con la
sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento ai sensi
dell'articolo 2 della predetta legge o annulla il licenziamento
intimato senza giusta causa o giustificato motivo, ovvero ne dichiara
la nullità a norma della legge stessa, ordina al datore di
lavoro, imprenditore e non imprenditore, che in ciascuna sede,
stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto
luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di
quindici prestatori di lavoro o più di cinque se trattasi di
imprenditore agricolo, di reintegrare il lavoratore nel posto di
lavoro. Tali disposizioni si applicano altresì ai datori di
lavoro, imprenditori e non imprenditori, che nell'ambito dello stesso
comune occupano più di quindici dipendenti ed alle imprese
agricole che nel medesimo ambito territoriale occupano più di
cinque dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva,
singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al
datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa alle sue
dipendenze più di sessanta prestatori di lavoro.
2) Ai fini del
computo del numero dei prestatori di lavoro di cui primo comma si tiene
conto anche dei lavoratori assunti con contratto di formazione e
lavoro, dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato
parziale, per la quota di orario effettivamente svolto, tenendo conto,
a tale proposito, che il computo delle unità lavorative fa
riferimento all'orario previsto dalla contrattazione collettiva del
settore. Non si computano il coniuge ed i parenti del datore di lavoro
entro il secondo grado in linea diretta e in linea collaterale.
3) Il computo
dei
limiti occupazionali di cui al secondo comma non incide
su norme o istituti che prevedono agevolazioni finanziarie o creditizie.
4) Il giudice
con la
sentenza di cui al primo comma condanna il datore di
lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il
licenziamento di cui sia stata accertata l'inefficacia o
l'invalidità stabilendo un'indennità commisurata alla
retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a
quello
dell'effettiva reintegrazione e al versamento dei contributi
assistenziali e previdenziali dal momento del licenziamento al momento
dell'effettiva reintegrazione; in ogni caso la misura del risarcimento
non potrà essere inferiore a cinque mensilità di
retribuzione globale di fatto.
5) Fermo
restando il
diritto al risarcimento del danno così come
previsto al quarto comma, al prestatore di lavoro è data la
facoltà di chiedere al datore di lavoro in sostituzione della
reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennità pari a quindici
mensilità di retribuzione globale di fatto. Qualora il
lavoratore entro trenta giorni dal ricevimento dell'invito del datore
di lavoro non abbia ripreso il servizio, né abbia richiesto
entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza il
pagamento dell'indennità di cui al presente comma, il rapporto
di lavoro si intende risolto allo spirare dei termini
predetti.
6) La sentenza
pronunciata nel giudizio di cui al primo comma è
provvisoriamente esecutiva.
7) Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 22,
su
istanza congiunta del lavoratore e del sindacato cui questi aderisce o
conferisca mandato, il giudice, in ogni stato e grado del giudizio di
merito, può disporre con ordinanza, quando ritenga irrilevanti o
insufficienti gli elementi di prova forniti dal datore di lavoro, la
reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.
8) L'ordinanza di cui al comma precedente può essere impugnata
con
reclamo immediato al giudice medesimo che l'ha pronunciata. Si
applicano le disposizioni dell'articolo 178, terzo, quarto, quinto e
sesto comma del codice di procedura civile.
9) L'ordinanza può essere revocata con la sentenza che decide la
causa.
10) Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo
22, il
datore di lavoro che non ottempera alla sentenza di cui al primo comma
ovvero all'ordinanza di cui al quarto comma, non impugnata o confermata
dal giudice che l'ha pronunciata, è tenuto anche, per ogni
giorno di ritardo, al pagamento a favore del Fondo adeguamento pensioni
di una somma pari all'importo della retribuzione dovuta al lavoratore.
|
Riforma Fornero
Art. 18 - Tutela del lavoratore
in caso di licenziamento illegittimo
1) Il giudice, con la
sentenza
con la quale dichiara la nullità del
licenziamento perché discriminatorio ai sensi dell’articolo 3
della legge 11 maggio 1990, n. 108, ovvero intimato in concomitanza col
matrimonio ai sensi dell’articolo 35 del decreto legislativo 11 aprile
2006, n. 198, o in violazione dei divieti di licenziamento di cui
all’articolo 54, commi 1, 6, 7 e 9, del decreto legislativo 26 marzo
2001, n. 151, ovvero perché riconducibile ad altri casi di
nullità previsti dalla legge o determinato da un motivo illecito
determinante ai sensi dell’articolo 1345 del codice civile, ordina al
datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, la reintegrazione
del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo
formalmente addotto e quale che sia il numero dei dipendenti occupati
dal datore di lavoro. La presente disposizione si applica anche ai
dirigenti. A seguito dell’ordine di reintegrazione, il rapporto di
lavoro si intende risolto quando il lavoratore non abbia ripreso
servizio entro trenta giorni dall’invito del datore di lavoro, salvo il
caso in cui abbia richiesto l’indennità di cui al terzo comma
del presente articolo. Il regime di cui al presente articolo si applica
anche al licenziamento dichiarato inefficace perché intimato in
forma orale.
2) Il giudice, con la
sentenza
di cui al primo comma, condanna
altresì il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal
lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata la
nullità, stabilendo a tal fine un’indennità commisurata
all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del
licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto
quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di
altre attività lavorative. In ogni caso la misura del
risarcimento non potrà essere inferiore a cinque
mensilità della retribuzione globale di fatto. Il datore di
lavoro è condannato inoltre, per il medesimo periodo, al
versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.
3) Fermo restando il
diritto al
risarcimento del danno come previsto al
secondo comma, al lavoratore è data la facoltà di
chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel
posto di lavoro, un’indennità pari a quindici mensilità
dell’ultima retribuzione globale di fatto, la cui richiesta determina
la risoluzione del rapporto di lavoro, e che non è assoggettata
a contribuzione previdenziale. La richiesta dell’indennità deve
essere effettuata entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito
della sentenza, o dall’invito del datore di lavoro a riprendere
servizio, se anteriore alla predetta comunicazione.
4) Il giudice, nelle
ipotesi in
cui accerta che non ricorrono gli estremi
del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal
datore di lavoro, perché il fatto contestato non sussiste o il
lavoratore non lo ha commesso ovvero perché il fatto rientra tra
le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle
tipizzazioni di giustificato motivo soggettivo e di giusta causa
previste dai contratti collettivi applicabili, annulla il licenziamento
e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro
di cui al primo comma e al pagamento di un’indennità
risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal
giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione,
dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di
estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative,
nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza
alla ricerca di una nuova occupazione. In ogni caso la misura
dell’indennità risarcitoria non potrà essere superiore a
dodici mensilità della retribuzione globale di fatto. Il datore
di lavoro è condannato, altresì, al versamento dei
contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento
fino a quello della effettiva reintegrazione, maggiorati degli
interessi nella misura legale senza applicazione di sanzioni per omessa
o ritardata contribuzione, per un importo pari al differenziale
contributivo esistente tra la contribuzione che sarebbe stata maturata
nel rapporto di lavoro risolto dall’illegittimo licenziamento e quella
accreditata al lavoratore in conseguenza dello svolgimento di altre
attività lavorative. In quest’ultimo caso, qualora i contributi
afferiscano ad altra gestione previdenziale, essi sono imputati
d’ufficio alla gestione corrispondente all’attività lavorativa
svolta dal dipendente licenziato, con addebito dei relativi costi al
datore di lavoro. A seguito dell’ordine di reintegrazione, il rapporto
di lavoro si intende risolto quando il lavoratore non abbia ripreso
servizio entro trenta giorni dall’invito del datore di lavoro, salvo il
caso in cui abbia richiesto l’indennità sostitutiva della
reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi del terzo comma.
5) Il giudice, nelle
altre
ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli
estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti
dal datore di lavoro, dichiara risolto il rapporto di lavoro con
effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al
pagamento di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva
determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro
mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, in
relazione all’anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero
dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività
economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere
di specifica motivazione a tale riguardo.
6) Nell’ipotesi in cui il
licenziamento sia dichiarato inefficace per
violazione del requisito di motivazione di cui all’articolo 2, secondo
comma, della legge 15 luglio 1966, n. 604, della procedura di cui
all’articolo 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300, o della procedura di
cui all’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, si applica il
regime di cui al quinto comma, ma con attribuzione al lavoratore di
un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata, in
relazione alla gravità della violazione formale o procedurale
commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di sei e un massimo di
dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, con
onere di specifica motivazione a tale riguardo, a meno che il giudice,
sulla base della domanda del lavoratore, accerti che vi è anche
un difetto di giustificazione del licenziamento, nel qual caso applica,
in luogo di quelle previste dal presente comma, le tutele di cui ai
commi quarto, quinto o sesto.
7) Il giudice applica la
medesima disciplina di cui al quarto comma del
presente articolo nell’ipotesi in cui accerti il difetto di
giustificazione del licenziamento intimato, anche ai sensi
dell’articolo 4, comma 4, e 10, comma 3, della legge 12 marzo 1999, n.
68, per motivo oggettivo consistente nell’inidoneità fisica o
psichica del lavoratore, ovvero che il licenziamento è stato
intimato in violazione dell’articolo 2110, secondo comma, del codice
civile. Può altresì applicare la predetta disciplina
nell’ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto
a base del licenziamento per giustifico motivo oggettivo; nelle altre
ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto
giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto
comma. In tale ultimo caso il giudice, ai fini della determinazione
dell’indennità tra il minimo e il massimo previsti, tiene conto,
oltre ai criteri di cui al sesto comma, delle iniziative assunte dal
lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione e del comportamento
delle parti nell’ambito della procedura di cui all’articolo 7 della
legge 15 luglio 1966, n. 604. Qualora, nel corso del giudizio, sulla
base della domanda formulata dal lavoratore, il licenziamento risulti
determinato da ragioni discriminatorie o disciplinari, trovano
applicazione le relative tutele previste dal presente articolo.
8) Le disposizioni dal
comma
quarto al comma settimo si applicano al
datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che in ciascuna
sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha
avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di
quindici lavoratori o più di cinque se trattasi di imprenditore
agricolo, nonché al datore di lavoro, imprenditore o non
imprenditore, che nell’ambito dello stesso comune occupa più di
quindici dipendenti ed all’impresa agricola che nel medesimo ambito
territoriale occupa più di cinque dipendenti, anche se ciascuna
unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali
limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non
imprenditore, che occupa più di sessanta dipendenti.
9) Ai fini del computo
del
numero dei dipendenti di cui all’ottavo comma
si tiene conto dei lavoratori assunti con contratto a tempo
indeterminato parziale per la quota di orario effettivamente svolto,
tenendo conto, a tale proposito, che il computo delle unità
lavorative fa riferimento all’orario previsto dalla contrattazione
collettiva del settore. Non si computano il coniuge ed i parenti del
datore di lavoro entro il secondo grado in linea diretta e in linea
collaterale. Il computo dei limiti occupazionali di cui al nono comma
non incide su norme o istituti che prevedono agevolazioni finanziarie o
creditizie.
10) Nell’ipotesi di
revoca del
licenziamento, purché effettuata
entro il termine di quindici giorni dalla comunicazione al datore di
lavoro dell’impugnazione del medesimo, il rapporto di lavoro si intende
ripristinato senza soluzione di continuità, con diritto del
lavoratore alla retribuzione maturata nel periodo precedente alla
revoca, e non trovano applicazione i regimi sanzionatori previsti dal
presente articolo.
11) Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo
22, su
istanza congiunta del lavoratore e del sindacato cui questi aderisce o
conferisca mandato, il giudice, in ogni stato e grado del giudizio di
merito, può disporre con ordinanza, quando ritenga irrilevanti o
insufficienti gli elementi di prova forniti dal datore di lavoro, la
reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.
12) L'ordinanza di cui al comma precedente può essere impugnata
con
reclamo immediato al giudice medesimo che l'ha pronunciata. Si
applicano le disposizioni dell'articolo 178, terzo, quarto, quinto e
sesto comma del codice di procedura civile.
13) L'ordinanza può essere revocata con la sentenza che decide
la
causa.
14) Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo
22, il
datore di lavoro che non ottempera alla sentenza di cui al primo comma
ovvero all'ordinanza di cui al quarto comma, non impugnata o confermata
dal giudice che l'ha pronunciata, è tenuto anche, per ogni
giorno di ritardo, al pagamento a favore del Fondo adeguamento pensioni
di una somma pari all'importo della retribuzione dovuta al lavoratore.
|