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11 settembre 2001 - Franco Ragusa

Referendum 7 ottobre: Federalismo che unisce o federalismo che divide?
 
Nell'analizzare le posizioni dei due maggiori schieramenti riguardo al referendum confermativo del 7 ottobre, Polo ed Ulivo, saltano immediatamente all'attenzione non tanto i motivi di divergenza, quanto, piuttosto, le dichiarazioni di adesione totale al federalismo da parte di entrambi gli schieramenti.
Una sorta di gara a chi è più federalista, con gli uni a denunziare il falso federalismo dell'altro, e viceversa.
Di questo passo, l'unica certezza sarà quella di perdere di vista il contenuto della riforma costituzionale oggetto del referendum confermativo del 7 ottobre.
Ma al di là dei contenuti veri e propri, l'impressione vera è che nessuno si è mai fatto carico di spiegare le ragioni della necessità di una riforma federale.
Storicamente, le realtà locali decidono per l'"unione" federale per migliorare le condizioni di tutti. Molto banalmente, l'esigenza del processo federativo si potrebbe riassumere con il vecchio detto: l'unione fa la forza.
Diversamente, il processo avviato in Italia è di tipo inverso, il tutto senza che si sia mai passati per un reale ed efficace decentramento amministrativo.
 
Constatata questa prima anomalia di "percorso", sia il testo della riforma in esame che le posizioni più oltranziste del Polo confermano l'impressione che gli obiettivi da raggiungere siano ben altri e ben lontani dal detto sopra citato.
Per alcuni, evidentemente, l'unione fa troppa forza, in modo particolare se in discussione vi sono temi come la flessibilità, la rigidità salariale, i contratti collettivi, la normativa nazionale sui licenziamenti, ecc. C'è quindi l'esigenza di dividere per meglio imporre determinate condizioni.
E non a caso, entrambi gli schieramenti, anche se con sfumature diverse, si ritrovano a sostenere progetti di riforma tendenti a realizzare forme di federalismo competitivo.
Il nuovo art. 117, nel fissare le materie di esclusiva competenza dello Stato e quelle per le quali è prevista la legislazione concorrente, attribuisce alle Regioni, in via generale, la potestà legislativa, lasciando allo Stato il solo compito di fissare i principi generali: "Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato."
In altre parole, le Regioni interessate potrebbero legittimamente contestare, davanti la Corte Costituzionale, l'invasione di competenza da parte dello Stato riguardo, ad esempio, la normativa che disciplina i licenziamenti laddove, oltre al principio della punibilità del licenziamento illegittimo (il principio generale), questa stessa legge dovesse regolare, come ora fa, il tipo di sanzioni (art. 18 statuto dei lavoratori) da applicare nei confronti del datore di lavoro; oppure, senza la necessità di aprire contenziosi, lo Stato stesso potrebbe decidere di lasciare alle Regioni, vista l'esclusiva competenza legislativa che il nuovo testo gli attribuisce, la scelta della sanzione.
Sarà quindi sufficiente che poche Regioni decidano per meccanismi sanzionatori meno efficaci per produrre un effetto domino su tutte le altre. In breve tempo, le imprese tenderanno a spostarsi verso le Regioni più permissive, costringendo così anche le altre Regioni ad adeguarsi al nuovo regime di regole. Una sorta di concorrenza "sleale", basata sulla perdita di un diritto da parte dei lavoratori a tutto vantaggio delle esclusive esigenze d'impresa, tale da costringere le Regioni improvvisamente affamate di lavoro a modificare il proprio sistema di tutele al fine di ri-attirare l'iniziativa privata.
Ma oltre a queste considerazioni immediate, sorprende la diversità di formulazione tra il progetto di riforma in discussione e quanto previsto dalla Costituzione della Repubblica Federale Tedesca. Nella Costituzione tedesca, infatti, è previsto che i Laender possano legiferare, nelle materie per le quali è prevista la legislazione concorrente, nella sola ipotesi che lo Stato non abbia fatto uso del suo potere di legiferare.
In altre parole, mentre il sistema tedesco è concepito per permettere ai Laender di legiferare di fronte all'inerzia dello Stato, mantenendo però l'uniformità di trattamento in presenza di legge statale, il nuovo sistema "italiano" imporrebbe da subito una sorta d'inerzia allo Stato visto il limite di competenza fissato.
Ma paradossalmente, nel tentativo di limitare la portata dell'intervento legislativo dello Stato a tutto vantaggio delle Regioni, si è in qualche modo caduti nell'errore di attribuire un'inviolabile riserva di legge sui principi fondamentali tale da poter vanificare la potestà legislativa delle Regioni in assenza, per l'appunto, dei principi fondamentali.
Per concludere sul punto, il sistema di legislazione concorrente previsto dalla riforma ha solo difetti e nessun pregio:
possibile rischio d'immobilismo, per quanto remoto, nel caso lo Stato non decida di fissare i principi fondamentali;
diversità di trattamento per i cittadini di diverse Regioni vista l'esclusiva competenza delle Regioni a legiferare oltre i principi fondamentali.
 
Altro aspetto inquietante della riforma e che sottolinea la scarsa attenzione del legislatore di fronte all'esigenza di avere un sistema in grado di garantire uniformità di trattamento per tutti i cittadini, è la previsione contenuta nell'art. 120:  "Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali."
Traducendo il tutto, obiettivo della "Repubblica federale italiana" non è il raggiungimento di uguali livelli di prestazioni, bensì quello di fissare per legge le differenze, dividendo i cittadini in cittadini di serie A e di serie inferiori.
Fissato a 10 i livelli essenziali delle prestazioni, che ci si trovi a 11 o a 100 non farebbe differenza: lo Stato non avrebbe obblighi.
Anche in questo caso, le differenze con la Costituzione tedesca sono abissali là dove si parla, invece, di utilizzare gli strumenti della legislazione concorrente per garantire eguali condizioni di vita (art. 72).
 
L'introduzione del riferimento a "livelli essenziali di prestazione", inoltre, combinato con il principio del federalismo fiscale introdotto dall'art. 119, dovrebbe avere conseguenze anche in ordine alla determinazione dei fondi perequativi previsti dall'art. 119 :
"I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i princìpi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.
Dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio.
La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante. ...
Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni."
 
Una volta garantiti i "livelli essenziali", le Regioni più ricche non avrebbero più alcun "dovere" di solidarietà d'adempiere e potrebbero in qualche modo ostacolare interventi di riduzione delle proprie entrate fiscali a vantaggio di altre Regioni.
 


 
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Referendum 7 ottobre