Si punta ad un referendum plebiscitario per dissolvere nel territorio il principio di uguaglianza dei diritti. Con l’idea di creare uno Stato nello Stato a misura dei mercati.
Ezio Locatelli
Oggi il Consiglio regionale
della Lombardia, a maggioranza Polo-Lega, deciderà in pompa magna
di dare corso ad un referendum per dare attuazione al federalismo. Presto
seguiranno pronunciamenti fotocopia da parte delle maggioranze di Polo-Lega
al governo in Veneto e Piemonte.
La proposta di referendum poggia su
un quesito generico, che dice tutto e dice niente: «Volete voi che
la regione Lombardia intraprenda le iniziative istituzionali necessarie
alla promozione del trasferimento di funzioni statali in materia di sanità,
istruzione, anche professionale, nonché di polizia locale, alla
regione?». Il quesito si guarda bene dallo specificare le iniziative
da promuovere né precisa le funzioni statali, nelle materie citate,
da trasferire alle regioni. In tutta evidenza l'intento è di raccogliere
una votazione plebiscitaria per poi farne un uso del tutto discrezionale.
I rischi non sono costituiti
solo dalle impennate della Lega sulla Padania. Formigoni stesso non usa
mezzi termini: «il vero federalismo è la devoluzione»,
ovvero «il trasferimento integrale alla regione delle competenze
e delle risorse in tutta una serie di materie, a cominciare dalla sanità,
dalla sicurezza, all'istruzione». Al di là degli aspetti nominalistici,
il ricorso ballerino a parole come federalismo e devolution, la posizione
del presidente della giunta lombarda da adito ad una secessione di fatto
dallo stato di diritto e dalle sue garanzie sociali.
Dice ancora Formigoni:
«ogni territorio è chiamato ad autorganizzare il proprio sviluppo
economico» e «le regioni a seconda del loro livello di sviluppo
possono progressivamente appropriarsi di nuovi ambiti di governo».
Parole voluttuarie utilizzate, si badi bene, non per affermare la pienezza
e la trasparenza del potere democratico, i bisogni legati al territorio,
la valorizzazione delle autonomie locali. L’obiettivo è un altro,
la creazione di sistemi autoreferenziali, la divisione tra territori ricchi
e territori poveri, la dissoluzione all'interno degli stessi territori
del principio dell'uguaglianza dei diritti. Insomma, l'idea che viene avanti
è quella di uno stato nello stato a misura dei mercati, un'idea
che mostra crescente insofferenza rispetto a meccanismi normativi, di controllo,
di programmazione esercitati in varia forma a livello pubblico. Questa
l'idea di federalismo, il federalismo dei ricchi contro i poveri, il federalismo
e la libertà per le imprese contro i diritti dei lavoratori e della
gente comune.
Gli stessi che invocano
«potestà legislativa esclusiva a livello regionale»
sono gli stessi che hanno da tempo avviato una smobilitazione dell'intervento
pubblico, uno spostamento ingente di risorse dal pubblico al privato in
barba a qualsiasi norma costituzionale o legislativa nazionale e ben oltre
il quadro dei trasferimenti previsti dalla Bassanini. Due esempi su tutti.
Parliamo della controriforma sanitaria regionale del '97 che ha spalancato
le porte alla medicina privatistica, istituito il mercato della salute
mediante la trasformazione della salute da diritto a merce. Parliamo del
"buono scuola" che eroga contributi esclusivamente a famiglie che scelgono
l'istruzione privata stravolgendo il sistema pubblico, pluralista e democratico
a sistema privata, di mercato, elitario.
Bisogna dirlo. Questo processo di smantellamento
dell'interesse della collettività è venuto avanti, in non
pochi casi, profittando della debolezza dei governi nazionali del centrosinistra,
più preoccupati di stare al gioco, di non fare la parte degli statalisti
che non di tutelare la corretta dialettica stato-regioni secondo i dettami
della Costituzione.
Per controbilanciare
gli intenti secessionistici della Lega, che continuano a covare, il Polo
propone di introdurre nel dispositivo referendario la parola "unità
nazionale" e di estendere la consultazione in regioni del Sud. Si tratta
di pannicelli caldi che lasciano il tempo che trovano. Ciò che conta
realmente, in questo momento, è la volontà pressante delle
regioni economicamente ricche a sottrarsi a qualsiasi redistribuzione del
reddito. Ciò che conta è l'offensiva liberista che tende
a svincolarsi il più possibile dallo stato, dalle sue garanzie e
mostra indifferenza ai valori della coesione sociale.
In questa situazione
si deve sapere che la miccia di un referendum strumentale può innescare
le disparate operazioni demagogiche. Si sa dove s'inizia, non si sa dove
si finisce. Bossi, sornione, lo ha capito e anche dichiarato.
Non facciamoci intimidire
dal sovversivismo delle classi abbienti. Raccogliamo la sfida. Il Nord
nei prossimi mesi dovrà diventare l'avamposto di una grande battaglia
democratica dei comunisti, ma non solo, da condurre nel rapporto con la
società civile