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sulla devolution
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Lombardia: Referendum
"devolution" - rassegna stampa dal Corriere
della sera 16 settembre 2000
Il
Consiglio regionale approva la consultazione sulla «devolution».
Insorge il centrosinistra
Lombardia,
strappo federalista
Sì
al referendum per chiedere poteri su sanità, istruzione, polizia
locale
MILANO
- I lombardi saranno chiamati a un referendum sulla «devolution».
Lo ha deciso ieri il Consiglio regionale, che ha approvato un quesito sul
trasferimento di poteri dallo Stato alla Regione («Nel quadro dell’unità
nazionale») in tema di sanità, istruzione e anche polizia
locale. La consultazione, che sta per essere lanciata anche in Piemonte
e Veneto, era prevista nel patto per la Casa delle libertà stretto
lo scorso febbraio da Berlusconi, Bossi e Fini. Da New York il presidente
Formigoni si è detto soddisfatto: «Il nostro è un processo
che mira a ridare ai cittadini centralità nella vita politica e
sociale». Un valore politico. Il centrodestra punta a far coincidere
la consultazione con le prossime elezioni politiche, anche se il pronunciamento
della Lombardia ha un valore soprattutto politico. An avrebbe voluto una
formulazione del quesito più sfumata.
La
Lega: «Giornata storica». I più soddisfatti sono i leghisti,
che incassano un dividendo del patto di febbraio. Per il numero due del
Carroccio Roberto Maroni, quella di ieri è stata «una giornata
storica per il federalismo». Domenica ci sarà a Venezia il
«devolution day» e alla Lega piacerebbe che il quesito fosse
già approvato anche in Piemonte e in Veneto.
Martinazzoli:
«Non vogliamo essere complici». Il centrosinistra non ha votato
ed è convinto che il referendum non si farà. Martinazzoli:
«Questo è un referendum truffa di cui non vogliamo esser complici».
Radicali e Rifondazione annunciano ricorsi al Tar.
Alberti
e Cremonesi
Alle
urne per dare maggiori poteri su sanità, scuola e polizia locale.
A giorni anche il Veneto e il Piemonte seguiranno l’esempio Federalismo,
la Lombardia approva il referendum Maroni: una giornata storica. Formigoni:
abbiamo dato centralità ai cittadini. Il centrosinistra insorge:
una truffa
MILANO
- I lombardi andranno alle urne per la «devolution». Lo ha
deciso ieri il consiglio regionale, approvando il quesito consultivo che
sarà posto agli elettori nei prossimi mesi, con ogni probabilità
in concomitanza con le elezioni politiche. Le competenze di cui si chiede
il trasferimento dallo Stato alla Lombardia sono quelle relative a sanità,
istruzione e polizia locale. Mentre le opposizioni di centrosinistra e
radicale parlano di «referendum truffa». E sono convinte che
al voto non si andrà. Con il voto di ieri si compie uno dei punti
cardine dell’accordo stretto lo scorso 17 febbraio tra Berlusconi, Bossi
e Fini, il patto che ha posto il primo mattone della Casa delle libertà.
Inoltre, anche Veneto e Piemonte seguiranno rapidamente la Lombardia: in
entrambe le regioni il referendum ha concluso l’iter in commissione, e
il Piemonte ha iniziato il dibattito in aula proprio ieri.
I
più soddisfatti sono i leghisti. Il numero due del movimento, Roberto
Maroni, esulta: «Per il federalismo è una giornata storica».
Il massimo, per il Carroccio, sarebbe stato il poter festeggiare domenica,
al «devolution day» di Venezia, l’approvazione del quesito
in tutte e tre le Regioni. «Purtroppo - spiega Maroni - l’incomprensibile
opposizione delle sinistre lo ha impedito». Altro rammarico del vice
di Bossi, il fatto che il presidente della Lombardia Roberto Formigoni
non fosse presente: «Un’assenza un po’ strana in un momento così
importante».
Maroni
non è stato l’unico a notare il posto vuoto in aula. In realtà,
Formigoni è da giorni in viaggio istituzionale negli Stati Uniti.
E in serata, arriva anche una sua dichiarazione: «Sono molto soddisfatto
che la Lombardia sia la prima regione ad approvare il referendum. Il nostro
è un processo che mira a ridare ai cittadini centralità nella
vita politica e sociale. Perché questo è il significato della
riforma federalista per la quale ci battiamo».
Il
referendum chiede la devoluzione integrale sui temi in discussione. E su
questo, la maggioranza si divide: Alleanza nazionale avrebbe preferito
una formulazione del quesito più soft. Ma l’emendamento passa. Con
un solo contrario: l’ex assessore Guido Bombarda (An) che ha parlato del
referendum come di una «presa in giro dei cittadini». Il centrosinistra,
invece, ha scelto di non votare. Con argomenti simili a quelli del dissidente
di maggioranza. «Per mettere - come ha detto il capo del centrosinistra
Mino Martinazzoli - la maggior distanza possibile tra noi e questa cosa
ignobile, una truffa a danno dei lombardi. Di cui non saremo né
complici né conniventi». Perché l’accusa delle opposizioni
è soprattutto questa: il non voler perseguire la via istituzionale
e parlamentare, chiamando i cittadini a dare una «delega in bianco»
a Formigoni. «Questo - spiega il radicale Lorenzo Strik Lievers -
è un plebiscito non un referendum: perché il mandato dai
lombardi Formigoni l’aveva già avuto, la devoluzione era nel suo
programma elettorale».
Resta
tuttavia da vedere il risultato dei ricorsi al Tar già annunciati
da radicali e Rifondazione comunista. Mentre il presidente del Pdci Armando
Cossutta commenta: «Questo non è federalismo ma una premessa
e l’anticamera per una politica di separazione. Nel momento in cui si volessero
affidare alla Regione compiti che richiedono una programmazione di carattere
generale nazionale, viene meno la forza stessa dell’unità nazionale.
Questa è una tesi che va contrastata duramente».
Marco Cremonesi
Lo
strappo federalista approvato dalla maggioranza. Formigoni: così
si completa la «devolution»
Referendum,
la sfida della Regione
Al
voto su sanità, istruzione e polizia locale: dissensi in An, il
centrosinistra all’attacco
La
Lega esulta, l’opposizione non vota, An mugugna ma si adegua. E Formigoni,
dagli Stati Uniti, applaude. La sfida sul referendum federalista della
Regione divide il consiglio. Anche se nessun cittadino, dalla tribuna del
pubblico, assiste a quella che per il numero due della Lega Roberto Maroni
è «una giornata storica»: in Lombardia si andrà
al voto sulla «devolution» per sanità, istruzione e
polizia locale. In aula, al Pirellone, c’è tensione. Le opposizioni
ci provano a scongiurare il voto. Prima con tre questioni pregiudiziali,
sottoscritte da Claudio Bragaglio per i Ds, da Strik Lievers per i radicali,
da Mirko Lombardi per Rifondazione. Poi con una richiesta di sospensiva,
firmata ancora da Bragaglio, sulla «legittimità del provvedimento»,
sulla «necessità di un nuovo esame della Commissione...».
E ancora, su un emendamento è stato chiesto il voto segreto per
vedere, chissà, di aprire crepe nella maggioranza. Niente da fare.
«Sono
molto soddisfatto», ha detto alla fine il presidente Formigoni. Il
quale, dopo aver fatto riferimento alle promesse di «federalismo
e devoluzione in coerenza con gli impegni assunti con gli elettori»,
non ha risparmiato un commento rivolto agli avversari: «La minoranza
ha preteso il voto segreto sperando invano in chissà quali segrete
divisioni: ma dovrebbe rassegnarsi a prendere atto che la maggioranza che
sostiene il mio governo è ben più forte di simili giochetti,
c’è e ci sarà, ben decisa a realizzare il suo programma».
Divisioni e perplessità, all’interno del Polo, in realtà
non sono mancate. Provenienti dalle file di An, in particolare. L’assessore
Carlo Borsani, per esempio, pur accettando in extremis di non far mancare
il suo sì allo schieramento, ha voluto precisare di «essere
favorevole al federalismo, ma solo in un quadro di riforme istituzionali
complessive e omogenee». L’ex assessore Guido Bombarda, al contrario,
non si è fatto scrupoli nel votare no: «Le proposte contenute
in questo referendum sono già attuabili, è fumo negli occhi
agli elettori».
Il
che è quel che pensano anche le opposizioni. «Questa iniziativa
- per Battista Bonfanti dei Popolari - umilia l’autonomia del Consiglio».
«Si tratta - ha insistito Lombardi di Rifondazione - di un’operazione
di trasformismo politico che tende a sfociare in un plebiscito privo di
valore». Una «delega in bianco» a Formigoni, l’ha definita
Yasha Reibman per i radicali. Conclude il verde Carlo Monguzzi: «Questo
referendum contiene tre attacchi. Al buon senso in quanto è un quesito
inutile; allo strumento democratico del referendum; e infine alle regole
della chiarezza».
Marco
Cremonini
Cosa
chiede il quesito agli elettori lombardi
IL
QUESITO
«Volete
voi che la Regione Lombardia nel quadro dell’unità nazionale intraprenda
le iniziative istituzionali necessarie alla promozione del trasferimento
delle funzioni statali in materia di sanità, istruzione anche professionale,
nonché di polizia locale, alle Regioni?»
PERCHE’
SI’
Roberto
Maroni (Lega): «Si tratta di un passo decisivo verso la riforma federalista
che il centrosinistra non ha ottenuto in 5 anni di governo»
PERCHE’
NO
Pierangelo
Ferrari (ds): «Noi, che il federalismo lo vogliamo davvero, da martedì
saremo in commissione, a Roma, per affrontare questi temi. Agli altri basta
utilizzarli per la campagna elettorale»
IL
LEADER DELL’OPPOSIZIONE
Martinazzoli:
«È una truffa ai cittadini»
Mino
Martinazzoli non ha usato mezze parole: «È una truffa ai lombardi».
Così, nel suo intervento in aula, il padre nobile delle opposizioni
di centrosinistra a Formigoni ha bollato ieri il progetto di referendum
che il Consiglio regionale si sarebbe apprestato ad approvare di lì
a poco. «Una truffa ai lombardi - ha insistito -, e lo sanno tutti:
lo si vede dal dibattito malinconico che l’accompagna».
E
in cosa consisterebbe di preciso la «truffa»? Martinazzoli
in sostanza spiega: la truffa consiste nel far credere ai cittadini lombardi
di poter decidere qualcosa mentre il referendum sulla devolution non
servirà che a sigillare i patti già stipulati (dice pur senza
citarli per nome) tra Fini, Bossi e Berlusconi. «In realtà
- insiste Martinazzoli -, questa iniziativa è semplicemente il timbro
apposto su un accordo tra privati cittadini, stretto lontano da qui, e
che qui si cerca di nobilitare». Pausa, e ripresa: «Ecco, qui
si sta mettendo in atto semplicemente questo: il tentativo di voler nobilitare
una cosa ignobile». Quale strategia scegliere come risposta? Il capo
del centrosinistra lombardo non ha dubbi: «La cosa giusta da fare
è prendere, nei confronti di quest’iniziativa, la maggior distanza
possibile. E non essere né conniventi né complici di essa».
E
la conclusione di Martinazzoli è politico-letteraria: «Giuseppe
Prezzolini diceva di voler fondare il partito degli "apoti", e cioè
di coloro che "non la bevono". Ma oggi è peggio, qui ci vorrebbe,
finalmente, il partito di "quelli che non la danno a bere"».
IL
MINISTRO PER GLI AFFARI REGIONALI
Loiero:
operazione elettorale, il Polo paga un prezzo alla Lega
MILANO
- La voce al telefono ha un’intonazione vagamente sarcastica: «Simpatica,
questa cosa di Formigoni...». Poi si fa dura: «E’ solo un’operazione
elettorale che non porterà a nulla». Quindi, tono tagliente:
«Non credo proprio che Berlusconi ami queste accelerazioni...».
Agazio Loiero, ministro udeur per le Regioni, se l’aspettava. Sapeva che
il via libera della Lombardia al referendum consultivo sulla devolution
era soltanto questione di giorni. «Ora immagino tocchi al Veneto
e poi al Piemonte...» dice, quasi tra sé. «D’altra parte
è una contesa interna al Polo: una gara tra il lombardo Formigoni,
il piemontese Ghigo e il veneto Galan a chi arriva prima. Dove? Non si
sa».
Nasconde
bene la preoccupazione il ministro. E’ perfettamente consapevole che il
centrosinistra non potrà rimanere inerte di fronte a quest’improvvisa
accelerazione delle Regioni nordiste di Polo e Lega. Ma che fare? Sulla
carta, stando al parere di alcuni costituzionalisti, il governo potrebbe
anche arrivare a impugnare il referendum lombardo davanti alla Corte Costituzionale.
Ma con quali conseguenze? E comunque si scatenerebbe, con le elezioni alle
porte, un conflitto all’arma bianca. «Vedremo, il governo ne discuterà.
E’ una questione politicamente delicata...», prende tempo Loiero.
Che,
in ogni caso, spara a tutto tondo contro il governatore lombardo Formigoni:
«Con questi referendum, così come qualche mese fa con il giuramento
in Consiglio regionale, Formigoni non fa altro che pagare un prezzo alla
Lega. Lo sanno tutti che Bossi deve portare qualcosa a casa, dopo essere
stato costretto a rimangiarsi gli ultimi dieci anni della sua politica.
Per questo, ha chiesto ai suoi nuovi alleati di concedergli almeno un po’
di scenografia. E Formigoni è stato il primo ad accontentarlo».
Ma
alla fine, è convinto il ministro mastelliano per gli Affari regionali,
quest’operazione si rivelerà «un autogol per il Polo, perché
le Regioni poliste del Sud, Calabria e Puglia in testa, guardano con grandissima
diffidenza alle fughe in avanti del Nord. E Berlusconi è perfettamente
consapevole di tutto ciò...». Una pausa. Una risatina. Poi:
«Mi chiedo che fine mai farà tutta questa frenesia federalista
qualora il Cavaliere, e naturalmente non me lo auguro, conquistasse Palazzo
Chigi».
Una
tesi, questa, che trova sostenitori in larghi settori del centrosinistra.
Il leader del Polo, pensano molti nella maggioranza, è perfettamente
consapevole che forme di federalismo troppo avanzate rischierebbero di
ampliare ulteriormente il già notevole gap tra Nord e Sud.
Tuttavia, vuoi per ragioni di coesione della coalizione, vuoi perché
la devolu tion è pur sempre un’ottima carta elettorale, ha
sinora lasciato ampi margini di manovra ai Formigoni e ai Galan. «La
chiave di volta è il Mezzogiorno...», sospira Loiero.
Che
i governatori polisti del Sud siano tutt’altro che entusiasti del cosiddetto
«vento del Nord», non è un mistero. Il calabrese Chiaravalloti
e il pugliese Fitto non hanno mai nascosto la loro contrarietà nei
confronti del cosiddetto «federalismo a due velocità»,
per non parlare dei referendum. «Sono convinto che, passata la buriana
elettorale, le alleanze tra Regioni nasceranno sui bisogni concreti, più
che sulle ideologie», dice (e confida) Loiero. «E allora potrebbe
anche accadere che il berlusconiano Fitto si trovi più in sintonia
con il ds Bassolino piuttosto che con Formigoni».
Francesco
Alberti
IL
PRESIDENTE DELLA CALABRIA
Chiaravalloti:
nessuna guerra allo Stato
I
governatori berlusconiani del Sud assistono alle accelerazioni federaliste
dei colleghi nordisti con cautela e, forse, anche con un pizzico di diffidenza.
Posizione non comoda, la loro: da una parte devono tener conto del nuovo
asse Berlusconi-Bossi, dall’altra sono i primi a sapere che gran parte
del Mezzogiorno non è per ora attrezzato a fughe in avanti in materia
federalista. Nasce da qui la prudenza con la quale Giuseppe Chiaravalloti,
che guida la giunta polista della Calabria e che più volte nei mesi
scorsi si è speso a favore di un federalismo «solidale e unitario»,
ha commentato in serata il referendum consultivo sulla devolution messo
in campo dalla Lombardia di Formigoni. «Registriamo con attenzione
- ha affermato il presidente della giunta calabrese - questo passaggio,
che rappresenta una prova tecnica di federalismo avanzato».
Poi,
l’avvertimento: «Ma il trasferimento delle competenze alle Regioni
non deve alterare l’equilibrio tra Stato e Regioni». In pratica:
sì al cambiamento, ma senza che questo si tramuti in una dichiarazione
di guerra al potere centrale.
Francesco
Alberti
L’ex
presidente della Consulta: iniziativa nel rispetto della Costituzione
Caianiello:
rientra nei diritti delle Regioni e si può votare assieme alle elezioni
politiche
MILANO
- Promossi. Ma solo a metà. Nel senso che «rientrano nell’alveo
della Costituzione». Ma l’uso che la Lombardia, e presto anche Piemonte
e Veneto, hanno intenzione di farne «è sicuramente improprio».
Insomma, «è uno di quei casi che sarebbero oggetto di una
bella discussione in Corte Costituzionale...». Vincenzo Caianiello,
ex presidente della Consulta, affronta con mille cautele l’analisi dei
referendum consultivi sulla devolution messi in campo al Nord da Polo e
Lega. E aggiunge: «Naturalmente, qualunque sia il pronunciamento
dei cittadini, il Parlamento non sarà affatto vincolato: il valore
di quest’iniziativa è solo politico».
Quindi
lei dice: sotto il profilo costituzionale siamo in regola, eppure qualcosa
non quadra. Cosa, professore?
«Rientra
nei poteri delle Regioni quello di indire referendum consultivi, su materie
di propria competenza, per ricevere indicazioni su come organizzare determinati
settori. Ma qui la situazione mi pare diversa: più che ricevere
un indirizzo, la Lombardia punta ad ampliare le attribuzioni che già
le competono».
Se
è per questo, Formigoni non ha mai nascosto di volere pieni poteri
su sanità o scuola.
«Appunto.
Il loro obiettivo, prendiamo a esempio la materia sanitaria, è proprio
quello di controllare la politica della spesa, entrate e uscite. Ma questo
cozza contro l’attuale sistema nazionale, concepito invece come equilibratore
tra le differenti esigenze delle Regioni. Non solo, ma tra le materie oggetto
del referendum è stata inserita anche l’istruzione, che è
non di competenza regionale».
Il
governo potrebbe opporsi?
«Certo,
può rinviare alle Regioni la legge in base alla quale vengono indetti
i referendum. E, qualora i governatori insistessero, l’esecutivo potrebbe
impugnarla davanti alla Corte Costituzionale».
Polo
e Lega hanno intenzione di abbinare i referendum alle politiche: è
possibile?
«Sì,
ci sono dei precedenti. Sono i referendum abrogativi che slittano di un
anno in caso di elezione, non quelli consultivi».
Professore,
cosa pensa della devolution?
«Se
con essa si intende il modello scozzese, mi limito a far presente che i
poteri concessi dall’Inghilterra alla Scozia sono decisamente inferiori
a quelli che già sono attribuiti alle nostre Regioni».
Francesco
Alberti
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