Riforme Istituzionali
Osservatorio sulla devolution
 
Rassegna stampa
 
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Lombardia: Referendum "devolution" - rassegna stampa da La Repubblica 16 settembre 2000
 

Devolution, primo passo alla regione Lombardia
Polo e Lega danno via libera al referendum
 
MILANO - La Lombardia è la prima Regione a votare la proposta di referendum sulla devolution. Particolare curioso, la vota in assenza del "governatore" Roberto Formigoni, in trasferta negli Stati Uniti. Ma il via libera del consiglio regionale, a maggioranza polo-leghista, è piuttosto sofferto. Il provvedimento passa, ma anche stavolta - com'era successo a luglio per la vicenda dei portaborse - An crea qualche serio problema agli alleati. Un suo consigliere, Guido Bombarda, vota contro sposando gli argomenti delle opposizioni: "Iniziativa strumentale ed elettoralistica". Mentre un assessore - Carlo Borsani, responsabile della Sanità - solo per disciplina di partito e di coalizione alza la mano per approvare una proposta che a più riprese dice di non condividere. Poi il colpo di scena finale, con l'intero gruppo di An che prima del sì definitivo dell'Assemblea al testo, vota un emendamento dei radicali: il che non basta a farlo passare, ma manda in fibrillazione la pattuglia dei sospettosi consiglieri leghisti.
Quando si passa alla conta - voto palese e non segreto, come richiesto inutilmente dalle minoranze - i rappresentanti del centrosinistra e di Rifondazione non sono in aula: "Questa cosa ve la votate voi - scandisce in aula Mino Martinazzoli rivolto ai polisti - I patti che avete fatto con Bossi sono roba vostra, un accordo tra privati stretto lontano da qui", accusa, rievocando gli accordi siglati a febbraio, davanti ad un notaio, fra il leader leghista e Berlusconi. Quindi tutti fuori, perché "non si può essere complici né conniventi".
Votano contro, ma rimangono in aula i consiglieri della Lista Bonino, che con l'emendamento sostenuto anche da An avevano tentato di limitare i danni: "Trasferimento di funzioni" e non "delle funzioni", era stata la versione minimalista da loro proposta, per dire che non tutto andava devoluto.
Ma è fatta, nonostante tutto. La Lombardia imbocca per prima la strada della devolution e si dà un referendum con cui chiedere agli elettori un voto per ottenere il trasferimento delle competenze in materia di sanità, istruzione e formazione professionale, polizia locale. La Lega incassa il risultato, da portare come bottino domani al raduno di Venezia. Tuttavia il carniere è mezzo vuoto: mancano all'appello Piemonte e Veneto, i cui consigli regionali intasati da valanghe di emendamenti delle opposizioni sono costretti a un supplemento di esame prima di prendere un'analoga decisione. Ma ci si può accontentare, fa capire il vice-Bossi Bobo Maroni, sbarcato ieri al Pirellone per mettere il timbro del suo partito "a questo passo decisivo sulla strada della devolution", passo compiuto in una "giornata storica".
Piuttosto, si chiede l'ex ministro dell'Interno del governo Berlusconi, perché non c'è Formigoni? "Davvero strano - sibila Maroni - Eppure questo è un appuntamento davvero importante".
A sinistra la strana assenza diventa legna da ardere sul fuoco della polemica contro la maggioranza. "Anche Formigoni - si lascia andare il capogruppo dei Ds Pierangelo Ferrari - forse si è reso conto che questo referendum copre di ridicolo i suoi promotori". Ridicolo. E inutile, dannoso, strumentale: questa la linea su cui si attestano tutte le opposizioni. Quella di centrosinistra, in particolare, insiste sull'"occasione storica" che ai "veri federalisti" verrebbe offerta dall'apertura dell'imminente sessione parlamentare dedicata alle riforme costituzionali. Comincia martedì prossimo, e si capisce che per la maggioranza di governo sarà una corsa contro il tempo.
"Il Polo e la Lega - spiega Ferrari in aula - sono decisi a farla fallire, per dimostrare che al federalismo si può arrivare solo con questi referendum". Che evidentemente risulterebbero "sgonfiati" dal successo dell'iniziativa parlamentare. Il piano, sempre secondo le opposizioni, prevede anche che la consultazione regionale si tenga nella stessa data delle Politiche. Così vorrebbe Formigoni, che si è premurato di far conoscere questo suo orientamento la settimana scorsa. E a dire che l'accorpamento in realtà serve solo a ridurre al minimo il rischio di flop elettorale non è solo la sinistra, ma anche il consigliere di An che ha votato contro, il ribelle Bombarda.
Formigoni, dagli States, si dichiara "molto soddisfatto per l'esito della votazione" e sorvola sulle divisioni emerse ancora una volta nella sua maggioranza. Tutto bene, anzi benissimo, le forze della Casa delle libertà "si sono dimostrate determinate a percorrere effettivamente la strada del federalismo e della devoluzione in coerenza con gli impegni assunti con gli elettori". Le opposizioni si rassegnino, aggiunge il governatore azzurro: "Volevano il voto segreto sperando invano in chissà quali segrete divisioni, ma la mia maggioranza è ben più forte di simili giochetti".
 
Rodolfo Sala


 
I forzati della Devolution
Sì al referendum, esulta la Lega, in An dissenso strisciante
Sul voto al Pirellone la frusta di Mino Martinazzoli: "Questa è una truffa ai lombardi"
 
La marcia del Pirellone verso la devolution comincia alle 17.55 di ieri. In aula non c’è Formigoni, contrariamente alle attese ancora negli States, e Bobo Maroni — che fa le veci di Bossi per mettere il cappello leghista alla «giornata storica» — storce il naso: «Un’assenza strana». In aula solo i consiglieri della maggioranza e quelli della Lista Bonino: la proposta di referendum passa, ma tra i contrari non ci sono solo i radicali. Dice no Guido Bombarda, di An, l’unico del suo partito che fa uscire allo scoperto il dissenso. I consiglieri del Centrosinistra e di Rifondazione sono fuori, hanno deciso di marcare in questo modo la profonda avversione a un referendum «inutile, dannoso, smaccatamente strumentale». I lombardi dunque voteranno per la devolution, in una domenica di primavera che Formigoni vorrebbe fosse la stessa delle elezioni politiche. I leghisti esultano, anche se innervositi dai troppi distinguo di An. Che tuttavia è riuscita a inserire, nel testo approvato, il riferimento all’unità nazionale.
Seduta fiume, ma nemmeno troppo: il contingentamento dei tempi ha reso superflue le preoccupazioni della presidenza dell’Assemblea, che aveva messo in conto di proseguire fino a mezzanotte. Tutto scontato o quasi. Gli show di Prosperini, An, che torna a parlare di «Roma ladrona» come quando era leghista. Il disgusto di Mino Martinazzoli, il cui discorso è accolto dall’aula in un rispettoso silenzio: «Una truffa ai lombardi, chiedono loro di fare cose che già possono fare». Le certezze del forzista Gigi Farioli: «Non facciamo da apripista a Bossi, manteniamo l’accordo sottoscritto prima delle elezioni, noi andiamo avanti». E il sarcasmo del verde Carlo Monguzzi: «Allora proponiamo un referendum che dice «Volete una Lombardia più profumata, dolce, tenera…».
 
Rodolfo Sala
 


 
"Noi non accetteremo il federalismo fai-da-te"
Pierluigi Castagnetti, segretario ppi: provocazioni elettorali
 
CATTOLICA - "Sì, c'è da essere davvero preoccupati". Lo dice molto chiaramente, Pierluigi Castagnetti. La proposta di referendum lombardo per la devolution non va sottovalutata. "Non è accettabile", avverte il segretario del Ppi, "la concezione di un federalismo fai-da-te".
Perché, segretario?
"Perché il discorso del federalismo va affrontato all'interno di un disegno organico, altrimenti si rischia di mettere in discussione il quadro della stessa unità nazionale. Francamente, però, iniziative come queste fanno venire il sospetto che vogliano varare Statuti intenzionalmente provocatori soprattutto con uno scopo".
Quale?
"Arrivare giusto in campagna elettorale allo scontro con il Parlamento e il governo, che sono tenuti al rispetto del dettato costituzionale".
Per quanto tattica, però, questa vicenda la preoccupa.
"Per questa concezione così disinvolta dei meccanismi istituzionali. E per questo clima di conflittualità permanente che Polo e Lega vogliono trasferire dalla sede politica a quella istituzionale, mentre rifiutano le riforme che realisticamente si possono fare prima della fine della legislatura".
Si riferisce alla riforma elettorale?
"Il Polo continua a osteggiare una nuova legge elettorale che dia stabilità al paese, nonostante la maggioranza si sia dimostrata più che disponibile ad accogliere gran parte delle condizioni poste dal Polo stesso. Ma continuano anche a sabotare il varo di un disegno organico di federalismo, come quello in discussione in Parlamento, pretendendo, con l'avallo di iniziative del genere, di mettere Parlamento, governo, l'intero paese di fronte ad atti di prepotenza istituzionale".
Si potrebbe rispondere che proprio di fronte all'inerzia del Parlamento, le Regioni si sono mosse da sole. O no?
"Non si può dimenticare che sono stati proprio la Lega e Forza Italia a far saltare la Bicamerale. Era quella la sede per approvare un disegno organico di trasformazione in senso federale dello Stato, di modifica del nostro bicameralismo e della legge elettorale. I popolari allora proposero il modello tedesco, che non è solo un sistema elettorale ma un modello istituzionale. La responsabilità di quel fallimento è innanzitutto della Lega, che disertò sistematicamente i lavori della commissione, salvo presentarsi a un certo punto solo per causare un effetto paralizzante, e di Berlusconi".
Ma da allora, segretario, sono passati due anni abbondanti.
"La verità è che il disegno di legge del governo non ha potuto fare passi avanti in Parlamento per la spaccatura che c'è proprio all'interno del Polo. Ancora ieri, mentre Bossi era a Bari a riconoscere l'abolizione della Cassa del Mezzogiorno con dieci anni di ritardo e a promettere la valorizzazione del Sud, i parlamentari leghisti hanno presentato un emendamento per chiedere un'altra volta l'istitituzione del Parlamento della Padania.".
Il centrosinistra invece cosa offre?
"Un disegno di federalismo serio, organico e non improvvisato. La cosiddetta devolution riguarda non solo le Regioni, ma anche le aree metropolitane. E la preoccupazione di tutti oggi è evitare la nascita di un nuovo centralismo su base regionale. Crediamo si debbano smantellare gradualmente alcune parti della macchina dello Stato centrale, trasferendo alle Regioni non solo risorse ma anche il personale dei ministeri che si vanno eliminando. Occorrono tempi adeguati per formare dirigenze regionali capaci di gestire nuove competenze. Così come non è ipotizzabile una mera devoluzione di competenze importanti alla periferia senza ipotizzare forme di coordinamento a livello nazionale".
E poi c'è il problema del Mezzogiorno.
"La questione è stata posta dagli stessi presidenti del Polo delle Regioni del Sud: se si teorizza che il 70% delle risorse finanziarie deve rimanere nei luoghi di provenienza del reddito, è la condanna definitiva di quelle popolazioni. A Formigoni la cosa può non interessare, ma almeno a Berlusconi io chiedo coerenza con le cose che solo ieri è andato a dire a Bari".
E al Nord, cosa si rischia concretamente?
"Stando ai propositi annunciati da alcuni presidenti, lo smantellamento dell'attuale sistema di welfare. Al di là delle opinioni di merito, ci troveremmo di fronte, ad esempio, a un sistema non di autonomia scolastica, ma di vera e propria indipendenza. Con 20 sistemi scolastici o sanitari diversi, e i diritti fondamentali dei cittadini italiani discriminati in base al luogo di nascita e di residenza. Noi al contrario siamo contro l'anarchia istituzionale, e continueremo a difendere l'impianto dell'unità della nazione scritto nella nostra carta costituzionale".
 
Barbara Jerkov


 
"Niente di eversivo vince la democrazia"
Enzo Ghigo, "governatore" piemontese: stimolo alla riforma
 
TORINO - "Senta, che a me non piacciono i referendum sulla devolution non riuscirà proprio a farmelo dire. Anzi, quello deliberato oggi dalla Lombardia è un grande atto di democrazia e di legittimità e spero che presto possano imitare quell'esempio anche il mio Piemonte, il Veneto, la Liguria e qualche Regione del Sud".
Enzo Ghigo, "governatore" di Forza Italia per il Piemonte e "governatore dei governatori" come presidente della Conferenza delle Regioni, almeno ufficialmente gioisce per le notizie che giungono dal "Pirellone", per quel primo risultato della "rivoluzione federalista" attuata attraverso l'istituzione del referendum.
Eppure, presidente Ghigo, lei si è distinto nelle polemiche di questi mesi per i suoi toni "moderati". La strada che sembrava aver imboccato era quella di conciliare destra e sinistra su un federalismo affidato alle riforme del Parlamento. E adesso?
"Adesso non cambia nulla. La riforma stralcio della Costituzione deve andare avanti, grazie anche agli emendamenti unitari di Regioni, Province e Comuni. Ma proporre i referendum, che sono uno strumento di consultazione popolare, non è affatto eversivo. Significa invece favorire questo processo".
Questo lo dice lei, ma non la pensano così i "governatori" del centrosinistra come Antonio Bassolino o Vasco Errani che, a Roma, l'hanno sempre aiutata per trovare un accordo sulla riforma costituzionale. Non è così?
"Beh, ammetto che i referendum voluti e votati dalle maggioranze regionali della Casa delle Libertà assumono un significato politico. Subito dopo, però, tutto torna ad avere un significato istituzionale, perché si tratta di uno strumento democratico che chiama i cittadini ad esprimersi liberamente".
Già, ma quei referendum facevano parte del "pacchetto" offerto da Berlusconi e da Tremonti per assicurarsi l'alleanza con Bossi in vista delle regionali. Averli realizzati non significa che la politica di Forza Italia si piega a quella della Lega Nord?
"Niente affatto. Nessuna Regione del Nord è presieduta dalla Lega e nella mia giunta piemontese, ad esempio, gli uomini di Bossi sono fuori dall'esecutivo. Nei referendum io ci credo, tanto che in Piemonte la delibera relativa l'ha proposta la mia maggioranza e non il Carroccio".
Ma negli scontri all'interno della Conferenza Regioni lei aveva privilegiato il dialogo, contrapponendosi addirittura, in molte occasioni, agli strappi di Formigoni. Oggi, invece, plaude alle scelte della Lombardia. Non è una contraddizione?
"Anche questa è un'accusa inesistente. Noi governatori della Casa delle Libertà, d'altra parte, lo avevamo sempre detto: la riforma stralcio della Costituzione è importante, ma non deve essere gabellata come l'attuazione del pieno federalismo. Dunque, se serviranno ad accelerare e ad ampliare la riforma, ben vengano questi referendum".
Va bene, ma quando Eugenio Scalfari rivelò su "Repubblica" il contenuto del patto tra Berlusconi e Bossi, indicò anche la strategia dei referendum come una sorta di "campagna elettorale" strisciante in vista delle politiche del 2001. Ora, imponendo i referendum sulla devolution, la Casa delle Libertà sembra realizzare quel disegno. Non le pare?
"Non vedo pericoli di propaganda politica. Infatti, anche per replicare a chi ci accusa di far spendere miliardi per dei referendum inutili, noi presidenti delle giunte interessate stiamo pensando di abbinarli proprio al voto delle politiche. Ma la campagna elettorale per la consultazione nazionale dovrà comunque confrontarsi sul tema del federalismo e, dunque, non ci sarà nessuna speculazione di parte. A meno che il centrosinistra non consideri sbagliato chiedere ai cittadini di esprimersi".
Le obiezioni, però, non riguardano il diritto di esprimersi, quanto l'applicare lo strumento referendario al federalismo. Massimo Cacciari, il critico più intransigente delle vostre scelte, lo spiega così: "I referendum del Polo e della Lega chiedono alla gente se è d'accordo che la Regione presenti al Parlamento proposte di legge in materia federalista. Ma quel potere le Regioni lo hanno già e devono solo esercitarlo, senza consultazioni propagandistiche". Come gli risponde?
"Dicendogli che i suoi sono sofismi inutili, da filosofo. Fare di tutto perché l'Italia diventi federale può solo far bene al nostro Stato. E far star zitti i cittadini è sbagliato, anche se lo sostiene Cacciari".
 
Ettore Boffanno

Quel patto per ricucire il ribaltone del Senatùr
L'intesa tra Berlusconi e Bossi dopo le regionali, tanti referendum entro il 2000
 
ROMA (e.bof.) - E' il pomeriggio del 10 maggio scorso, pochi giorni dopo il grande trionfo delle regionali. In via del Plebiscito, nel salotto buono della casa romana di Silvio Berlusconi, nasce la "strategia dei referendum". Attorno a un tavolo, con il Cavaliere, ci sono loro, i protagonisti di una vittoria elettorale che era già pronta a diventare la politica futura di Forza Italia e della Casa delle Libertà. Ecco i "governatori del Nord" (Enzo Ghigo del Piemonte, Giancarlo Galan del Veneto, Roberto Formigoni della Lombardia) e le due teste pensanti di quell'accordo federalista che ha ricucito il "ribaltone" di Umberto Bossi: Giulio Tremonti (il "falco" della devolution) e Franco Frattini (la "colomba" della devolution).
Enzo Ghigo ricorda ancora e sorride: "Si parlava di che cosa fare, si commentava il voto. Poi qualcuno, forse Tremonti o forse Frattini, evocò la contesa dei fondi strutturali della Ue. E decidemmo l'iniziativa clamorosa di Genova, quando i governatori del Polo risolsero in meno di un'ora una vicenda nazionale che, invece, languiva da mesi. Poi spuntò l'argomento dei referendum".
Ancora una breve discussione e, in via del Plebiscito, quella dei referendum diventa subito la seconda tappa certa della "strategia". Da quel momento, le notizie e i commenti si fanno sempre più scarsi, ma la volontà dei "governatori del Cavaliere" e dei loro leader nazionali appare chiara, senza tentennamenti. I referendum consultivi sul federalismo si devono fare a tutti i costi, magari entro l'autunno del 2000, nel Nord ma anche nelle Regioni del Centro e del Sud dove la Casa delle Libertà è riuscita a sbancare le urne anche senza l'"intendenza" preziosa del Carroccio.
Tanti piccoli referendum tutti assieme, un formidabile volano per la campagna elettorale in vista delle politiche del 2001: il disegno è questo e nessuno, in casa del Polo, cerca di mascherarlo più di tanto. Al massimo, come il veneto Giancarlo Galan, qualcuno ci scherza sopra: "Abbiamo solo qualche dubbio sullo strumento referendario - dice Galan - dopo i recenti rovesci delle consultazioni volute da Mario Segni o dai radicali. Vorrà dire che cambieremo le leggi regionali ed aboliremo il quorum".
Da quel momento, mentre a livello nazionale il comportamento dei "governatori del Cavaliere" sceglie la via della collaborazione con i colleghi del centrosinistra sulla via delle riforme federaliste della Costituzione, la strategia referendaria comincia a muoversi in silenzio, ma senza mai fermarsi. E se le "colombe" Frattini e Ghigo privilegiano il dialogo, i "falchi" Tremonti e Formigoni non smettono mai di tentare accelerazioni e strappi. Nei Consigli regionali di Lombardia, Veneto e Piemonte la prima mossa tocca alla Lega, ma poi è tutta la macchina da guerra della Casa delle Libertà a mettersi in moto. Sino a questi giorni quando, nei Consigli regionali, l'ostruzionismo del centrosinistra riesce solo a ritardare di poche settimane l'approvazione dei referendum consultivi: come è avvenuto ieri pomeriggio a Milano.
L'ultima novità, forse decisiva, è giunta invece, sempre nei giorni scorsi, dal Sud. Quando gli uomini di Berlusconi e di Bossi hanno fatto capire che anche le Regioni meridionali guidate dal Polo sono pronte a seguire la "strategia referendaria" e il Senatur in persona è sceso a Bari per rassicurare: "Sul federalismo andremo avanti con il Meridione".



 
E oggi Bossi celebra sul Po
Riempirà la "sacra ampolla"
 
DOMANI la Lega celebrerà il "devolution day". Già oggi, Umberto Bossi andrà a Pian del Re, alle 11: dopo l' alzabandiera, il leader leghista raccoglierà l'acqua del fiume nella solita ampolla, alle sorgenti del Po.
Quindi, l'ampolla sarà trasportata a Venezia da una staffetta di associazioni padane che, con un corteo di camion, costeggeranno tutto il Po, per arrivare nel capoluogo veneto.
Prevista una sfilata di costumi tipi della padana e interventi, tra gli altri, di Roberto Maroni e dei capogruppi di Camera e Senato, Pagliarini e Castelli.
I leghisti annunciano l'arrivo a Venezia di 250 pullman e di treni, in partenza da tutti i capoluoghi del Nord. Un' imbarcazione, la "Nave del Sole", imbarcherà 300 militanti a Cesenatico.


 
"Una manovra elettorale inutile e anche rischiosa"

«Non vorrei che i lombardi pensassero che il referendum sia l’inizio del percorso del federalismo: è solo uno strumento di campagna elettorale». Così Guido Bombarda, An, unico consigliere di maggioranza che ieri ha votato contro la proposta di referendum sulla devolution.
Bombarda, perché ha detto no?
«La maggioranza degli elettori ha approvato lo scorso aprile il programma del Polo che prevede maggiore libertà e autonomia della Regione. Quindi con questo referendum si vorrebbe chiedere loro un mandato che il presidente Formigoni ha già».
Un’inziativa inutile?
«Certo, inutile. E anche rischiosa».
Perché?
«Non sono così sicuro che ci sarà una grande affluenza al voto. Se alle urne andassero in pochi, le giuste istanze di autonomia verrebbero sminuite».
Per questo Formigoni vuole che il referendum si tenga in concomitanza con le Politiche?
«Sarebbe l’unico modo per ridurre al minimo il rischio di una scarsa partecipazione. Ma così il referendum diventa uno strumento da utilizzare in campagna elettorale».
Non è il solo a sostenerlo…
«Sì, su questo la penso come l’opposizione, nessun problema».
Bombarda, sa che cosa si dice fra i suoi colleghi di partito? Che lei votando contro ha consumato una piccola vendetta per non essere stato riconfermato assessore…
«Assurdo. La informo che è imminente la mia nomina a presidente provinciale di An. Questo sarebbe davvero uno strano modo di vendicarmi: è chiaro che in questo momento mi converrebbe stare zitto e coperto. Se dico queste cose, è perché ne sono convinto, tutto qui».



"Molti colleghi del Polo sono stati costretti a votare"
È il momento del voto e Pierangelo Ferrari, capogruppo dei Ds al Pirellone, ha appena lasciato l’aula: «Noi — spiega — vogliamo davvero la riforma federalista, che si farà in Parlamento e non con i referendum finti; che questa consultazione sia finta, oltre che strumentale, lo riconoscono anche i colleghi della maggioranza, Lega esclusa».
Ferrari, a che cosa si riferisce?
«Non è un mistero. Parecchi consiglieri del Polo non sono affatto d’accordo con questo referendum. Sono stati costretti a votarlo per via del patto tra Berlusconi e Bossi».
Ne è sicuro?
«Sono venuti a dirci che alla fine del referendum non si farà nulla, che è inutile».
Nomi?
«Lasciamo stare i nomi. Comunque più d’uno, questo è certo».
Il leghista Maroni dice che il referendum è l’unica ragione dell’alleanza elettorale con il Polo e lo considera un passaggio decisivo…
«Ecco, appunto. La Lega è molto preoccupata dei risultati concreti che il Parlamento potrebbe produrre in tema di federalismo a partire dalla sessione di martedì prossimo. Perché la riforma sgonfierebbe il referendum. Di qui il tentativo di boicottare quella riforma: vogliono fare una campagna elettorale dicendo che il federalismo si può fare solo con i referendum. Vuole la prova?».
Sentiamo.
«L’accorpamento della consultazione referendaria regionale con le politiche, come ha già annunciato Formigoni».
È possibile questo accorpamento?
«Temo di sì».
A proposito di Formigoni, il presidente è ancora negli States…
«Forse non è un caso».
Perché?
«Immagino si renda conto anche lui della totale strumentalità di questo quesito. E della brutta figura che avrebbe fatto».


 
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