Devolution, primo passo alla regione Lombardia
Polo e Lega danno via libera al referendum
MILANO - La Lombardia è la prima Regione a votare la proposta
di referendum sulla devolution. Particolare curioso, la vota in assenza
del "governatore" Roberto Formigoni, in trasferta negli Stati Uniti. Ma
il via libera del consiglio regionale, a maggioranza polo-leghista, è
piuttosto sofferto. Il provvedimento passa, ma anche stavolta - com'era
successo a luglio per la vicenda dei portaborse - An crea qualche serio
problema agli alleati. Un suo consigliere, Guido Bombarda, vota contro
sposando gli argomenti delle opposizioni: "Iniziativa strumentale ed elettoralistica".
Mentre un assessore - Carlo Borsani, responsabile della Sanità -
solo per disciplina di partito e di coalizione alza la mano per approvare
una proposta che a più riprese dice di non condividere. Poi il colpo
di scena finale, con l'intero gruppo di An che prima del sì definitivo
dell'Assemblea al testo, vota un emendamento dei radicali: il che non basta
a farlo passare, ma manda in fibrillazione la pattuglia dei sospettosi
consiglieri leghisti.
Quando si passa alla conta - voto palese e non segreto, come richiesto
inutilmente dalle minoranze - i rappresentanti del centrosinistra e di
Rifondazione non sono in aula: "Questa cosa ve la votate voi - scandisce
in aula Mino Martinazzoli rivolto ai polisti - I patti che avete fatto
con Bossi sono roba vostra, un accordo tra privati stretto lontano da qui",
accusa, rievocando gli accordi siglati a febbraio, davanti ad un notaio,
fra il leader leghista e Berlusconi. Quindi tutti fuori, perché
"non si può essere complici né conniventi".
Votano contro, ma rimangono in aula i consiglieri della Lista Bonino,
che con l'emendamento sostenuto anche da An avevano tentato di limitare
i danni: "Trasferimento di funzioni" e non "delle funzioni", era stata
la versione minimalista da loro proposta, per dire che non tutto andava
devoluto.
Ma è fatta, nonostante tutto. La Lombardia imbocca per prima
la strada della devolution e si dà un referendum con cui chiedere
agli elettori un voto per ottenere il trasferimento delle competenze in
materia di sanità, istruzione e formazione professionale, polizia
locale. La Lega incassa il risultato, da portare come bottino domani al
raduno di Venezia. Tuttavia il carniere è mezzo vuoto: mancano all'appello
Piemonte e Veneto, i cui consigli regionali intasati da valanghe di emendamenti
delle opposizioni sono costretti a un supplemento di esame prima di prendere
un'analoga decisione. Ma ci si può accontentare, fa capire il vice-Bossi
Bobo Maroni, sbarcato ieri al Pirellone per mettere il timbro del suo partito
"a questo passo decisivo sulla strada della devolution", passo compiuto
in una "giornata storica".
Piuttosto, si chiede l'ex ministro dell'Interno del governo Berlusconi,
perché non c'è Formigoni? "Davvero strano - sibila Maroni
- Eppure questo è un appuntamento davvero importante".
A sinistra la strana assenza diventa legna da ardere sul fuoco della
polemica contro la maggioranza. "Anche Formigoni - si lascia andare il
capogruppo dei Ds Pierangelo Ferrari - forse si è reso conto che
questo referendum copre di ridicolo i suoi promotori". Ridicolo. E inutile,
dannoso, strumentale: questa la linea su cui si attestano tutte le opposizioni.
Quella di centrosinistra, in particolare, insiste sull'"occasione storica"
che ai "veri federalisti" verrebbe offerta dall'apertura dell'imminente
sessione parlamentare dedicata alle riforme costituzionali. Comincia martedì
prossimo, e si capisce che per la maggioranza di governo sarà una
corsa contro il tempo.
"Il Polo e la Lega - spiega Ferrari in aula - sono decisi a farla fallire,
per dimostrare che al federalismo si può arrivare solo con questi
referendum". Che evidentemente risulterebbero "sgonfiati" dal successo
dell'iniziativa parlamentare. Il piano, sempre secondo le opposizioni,
prevede anche che la consultazione regionale si tenga nella stessa data
delle Politiche. Così vorrebbe Formigoni, che si è premurato
di far conoscere questo suo orientamento la settimana scorsa. E a dire
che l'accorpamento in realtà serve solo a ridurre al minimo il rischio
di flop elettorale non è solo la sinistra, ma anche il consigliere
di An che ha votato contro, il ribelle Bombarda.
Formigoni, dagli States, si dichiara "molto soddisfatto per l'esito
della votazione" e sorvola sulle divisioni emerse ancora una volta nella
sua maggioranza. Tutto bene, anzi benissimo, le forze della Casa delle
libertà "si sono dimostrate determinate a percorrere effettivamente
la strada del federalismo e della devoluzione in coerenza con gli impegni
assunti con gli elettori". Le opposizioni si rassegnino, aggiunge il governatore
azzurro: "Volevano il voto segreto sperando invano in chissà quali
segrete divisioni, ma la mia maggioranza è ben più forte
di simili giochetti".
Rodolfo Sala
I forzati della Devolution
Sì al referendum, esulta la Lega, in An dissenso
strisciante
Sul voto al Pirellone la frusta di Mino Martinazzoli:
"Questa è una truffa ai lombardi"
La marcia del Pirellone verso la devolution comincia alle 17.55 di
ieri. In aula non c’è Formigoni, contrariamente alle attese ancora
negli States, e Bobo Maroni — che fa le veci di Bossi per mettere il cappello
leghista alla «giornata storica» — storce il naso: «Un’assenza
strana». In aula solo i consiglieri della maggioranza e quelli della
Lista Bonino: la proposta di referendum passa, ma tra i contrari non ci
sono solo i radicali. Dice no Guido Bombarda, di An, l’unico del suo partito
che fa uscire allo scoperto il dissenso. I consiglieri del Centrosinistra
e di Rifondazione sono fuori, hanno deciso di marcare in questo modo la
profonda avversione a un referendum «inutile, dannoso, smaccatamente
strumentale». I lombardi dunque voteranno per la devolution, in una
domenica di primavera che Formigoni vorrebbe fosse la stessa delle elezioni
politiche. I leghisti esultano, anche se innervositi dai troppi distinguo
di An. Che tuttavia è riuscita a inserire, nel testo approvato,
il riferimento all’unità nazionale.
Seduta fiume, ma nemmeno troppo: il contingentamento dei tempi ha reso
superflue le preoccupazioni della presidenza dell’Assemblea, che aveva
messo in conto di proseguire fino a mezzanotte. Tutto scontato o quasi.
Gli show di Prosperini, An, che torna a parlare di «Roma ladrona»
come quando era leghista. Il disgusto di Mino Martinazzoli, il cui discorso
è accolto dall’aula in un rispettoso silenzio: «Una truffa
ai lombardi, chiedono loro di fare cose che già possono fare».
Le certezze del forzista Gigi Farioli: «Non facciamo da apripista
a Bossi, manteniamo l’accordo sottoscritto prima delle elezioni, noi andiamo
avanti». E il sarcasmo del verde Carlo Monguzzi: «Allora proponiamo
un referendum che dice «Volete una Lombardia più profumata,
dolce, tenera…».
Rodolfo Sala
"Noi non accetteremo il federalismo fai-da-te"
Pierluigi Castagnetti, segretario ppi: provocazioni
elettorali
CATTOLICA - "Sì, c'è da essere davvero preoccupati".
Lo dice molto chiaramente, Pierluigi Castagnetti. La proposta di referendum
lombardo per la devolution non va sottovalutata. "Non è accettabile",
avverte il segretario del Ppi, "la concezione di un federalismo fai-da-te".
Perché, segretario?
"Perché il discorso del federalismo va affrontato all'interno
di un disegno organico, altrimenti si rischia di mettere in discussione
il quadro della stessa unità nazionale. Francamente, però,
iniziative come queste fanno venire il sospetto che vogliano varare Statuti
intenzionalmente provocatori soprattutto con uno scopo".
Quale?
"Arrivare giusto in campagna elettorale allo scontro con il Parlamento
e il governo, che sono tenuti al rispetto del dettato costituzionale".
Per quanto tattica, però, questa vicenda la preoccupa.
"Per questa concezione così disinvolta dei meccanismi istituzionali.
E per questo clima di conflittualità permanente che Polo e Lega
vogliono trasferire dalla sede politica a quella istituzionale, mentre
rifiutano le riforme che realisticamente si possono fare prima della fine
della legislatura".
Si riferisce alla riforma elettorale?
"Il Polo continua a osteggiare una nuova legge elettorale che dia stabilità
al paese, nonostante la maggioranza si sia dimostrata più che disponibile
ad accogliere gran parte delle condizioni poste dal Polo stesso. Ma continuano
anche a sabotare il varo di un disegno organico di federalismo, come quello
in discussione in Parlamento, pretendendo, con l'avallo di iniziative del
genere, di mettere Parlamento, governo, l'intero paese di fronte ad atti
di prepotenza istituzionale".
Si potrebbe rispondere che proprio di fronte all'inerzia del Parlamento,
le Regioni si sono mosse da sole. O no?
"Non si può dimenticare che sono stati proprio la Lega e Forza
Italia a far saltare la Bicamerale. Era quella la sede per approvare un
disegno organico di trasformazione in senso federale dello Stato, di modifica
del nostro bicameralismo e della legge elettorale. I popolari allora proposero
il modello tedesco, che non è solo un sistema elettorale ma un modello
istituzionale. La responsabilità di quel fallimento è innanzitutto
della Lega, che disertò sistematicamente i lavori della commissione,
salvo presentarsi a un certo punto solo per causare un effetto paralizzante,
e di Berlusconi".
Ma da allora, segretario, sono passati due anni abbondanti.
"La verità è che il disegno di legge del governo non
ha potuto fare passi avanti in Parlamento per la spaccatura che c'è
proprio all'interno del Polo. Ancora ieri, mentre Bossi era a Bari a riconoscere
l'abolizione della Cassa del Mezzogiorno con dieci anni di ritardo e a
promettere la valorizzazione del Sud, i parlamentari leghisti hanno presentato
un emendamento per chiedere un'altra volta l'istitituzione del Parlamento
della Padania.".
Il centrosinistra invece cosa offre?
"Un disegno di federalismo serio, organico e non improvvisato. La cosiddetta
devolution riguarda non solo le Regioni, ma anche le aree metropolitane.
E la preoccupazione di tutti oggi è evitare la nascita di un nuovo
centralismo su base regionale. Crediamo si debbano smantellare gradualmente
alcune parti della macchina dello Stato centrale, trasferendo alle Regioni
non solo risorse ma anche il personale dei ministeri che si vanno eliminando.
Occorrono tempi adeguati per formare dirigenze regionali capaci di gestire
nuove competenze. Così come non è ipotizzabile una mera devoluzione
di competenze importanti alla periferia senza ipotizzare forme di coordinamento
a livello nazionale".
E poi c'è il problema del Mezzogiorno.
"La questione è stata posta dagli stessi presidenti del Polo
delle Regioni del Sud: se si teorizza che il 70% delle risorse finanziarie
deve rimanere nei luoghi di provenienza del reddito, è la condanna
definitiva di quelle popolazioni. A Formigoni la cosa può non interessare,
ma almeno a Berlusconi io chiedo coerenza con le cose che solo ieri è
andato a dire a Bari".
E al Nord, cosa si rischia concretamente?
"Stando ai propositi annunciati da alcuni presidenti, lo smantellamento
dell'attuale sistema di welfare. Al di là delle opinioni di merito,
ci troveremmo di fronte, ad esempio, a un sistema non di autonomia scolastica,
ma di vera e propria indipendenza. Con 20 sistemi scolastici o sanitari
diversi, e i diritti fondamentali dei cittadini italiani discriminati in
base al luogo di nascita e di residenza. Noi al contrario siamo contro
l'anarchia istituzionale, e continueremo a difendere l'impianto dell'unità
della nazione scritto nella nostra carta costituzionale".
Barbara Jerkov
"Niente di eversivo vince la democrazia"
Enzo Ghigo, "governatore" piemontese: stimolo alla
riforma
TORINO - "Senta, che a me non piacciono i referendum sulla devolution
non riuscirà proprio a farmelo dire. Anzi, quello deliberato oggi
dalla Lombardia è un grande atto di democrazia e di legittimità
e spero che presto possano imitare quell'esempio anche il mio Piemonte,
il Veneto, la Liguria e qualche Regione del Sud".
Enzo Ghigo, "governatore" di Forza Italia per il Piemonte e "governatore
dei governatori" come presidente della Conferenza delle Regioni, almeno
ufficialmente gioisce per le notizie che giungono dal "Pirellone", per
quel primo risultato della "rivoluzione federalista" attuata attraverso
l'istituzione del referendum.
Eppure, presidente Ghigo, lei si è distinto nelle polemiche
di questi mesi per i suoi toni "moderati". La strada che sembrava aver
imboccato era quella di conciliare destra e sinistra su un federalismo
affidato alle riforme del Parlamento. E adesso?
"Adesso non cambia nulla. La riforma stralcio della Costituzione deve
andare avanti, grazie anche agli emendamenti unitari di Regioni, Province
e Comuni. Ma proporre i referendum, che sono uno strumento di consultazione
popolare, non è affatto eversivo. Significa invece favorire questo
processo".
Questo lo dice lei, ma non la pensano così i "governatori" del
centrosinistra come Antonio Bassolino o Vasco Errani che, a Roma, l'hanno
sempre aiutata per trovare un accordo sulla riforma costituzionale. Non
è così?
"Beh, ammetto che i referendum voluti e votati dalle maggioranze regionali
della Casa delle Libertà assumono un significato politico. Subito
dopo, però, tutto torna ad avere un significato istituzionale, perché
si tratta di uno strumento democratico che chiama i cittadini ad esprimersi
liberamente".
Già, ma quei referendum facevano parte del "pacchetto" offerto
da Berlusconi e da Tremonti per assicurarsi l'alleanza con Bossi in vista
delle regionali. Averli realizzati non significa che la politica di Forza
Italia si piega a quella della Lega Nord?
"Niente affatto. Nessuna Regione del Nord è presieduta dalla
Lega e nella mia giunta piemontese, ad esempio, gli uomini di Bossi sono
fuori dall'esecutivo. Nei referendum io ci credo, tanto che in Piemonte
la delibera relativa l'ha proposta la mia maggioranza e non il Carroccio".
Ma negli scontri all'interno della Conferenza Regioni lei aveva privilegiato
il dialogo, contrapponendosi addirittura, in molte occasioni, agli strappi
di Formigoni. Oggi, invece, plaude alle scelte della Lombardia. Non è
una contraddizione?
"Anche questa è un'accusa inesistente. Noi governatori della
Casa delle Libertà, d'altra parte, lo avevamo sempre detto: la riforma
stralcio della Costituzione è importante, ma non deve essere gabellata
come l'attuazione del pieno federalismo. Dunque, se serviranno ad accelerare
e ad ampliare la riforma, ben vengano questi referendum".
Va bene, ma quando Eugenio Scalfari rivelò su "Repubblica" il
contenuto del patto tra Berlusconi e Bossi, indicò anche la strategia
dei referendum come una sorta di "campagna elettorale" strisciante in vista
delle politiche del 2001. Ora, imponendo i referendum sulla devolution,
la Casa delle Libertà sembra realizzare quel disegno. Non le pare?
"Non vedo pericoli di propaganda politica. Infatti, anche per replicare
a chi ci accusa di far spendere miliardi per dei referendum inutili, noi
presidenti delle giunte interessate stiamo pensando di abbinarli proprio
al voto delle politiche. Ma la campagna elettorale per la consultazione
nazionale dovrà comunque confrontarsi sul tema del federalismo e,
dunque, non ci sarà nessuna speculazione di parte. A meno che il
centrosinistra non consideri sbagliato chiedere ai cittadini di esprimersi".
Le obiezioni, però, non riguardano il diritto di esprimersi,
quanto l'applicare lo strumento referendario al federalismo. Massimo Cacciari,
il critico più intransigente delle vostre scelte, lo spiega così:
"I referendum del Polo e della Lega chiedono alla gente se è d'accordo
che la Regione presenti al Parlamento proposte di legge in materia federalista.
Ma quel potere le Regioni lo hanno già e devono solo esercitarlo,
senza consultazioni propagandistiche". Come gli risponde?
"Dicendogli che i suoi sono sofismi inutili, da filosofo. Fare di tutto
perché l'Italia diventi federale può solo far bene al nostro
Stato. E far star zitti i cittadini è sbagliato, anche se lo sostiene
Cacciari".
Ettore Boffanno
Quel patto per ricucire il ribaltone del Senatùr
L'intesa tra Berlusconi e Bossi dopo le regionali,
tanti referendum entro il 2000
ROMA (e.bof.) - E' il pomeriggio del 10 maggio scorso, pochi giorni
dopo il grande trionfo delle regionali. In via del Plebiscito, nel salotto
buono della casa romana di Silvio Berlusconi, nasce la "strategia dei referendum".
Attorno a un tavolo, con il Cavaliere, ci sono loro, i protagonisti di
una vittoria elettorale che era già pronta a diventare la politica
futura di Forza Italia e della Casa delle Libertà. Ecco i "governatori
del Nord" (Enzo Ghigo del Piemonte, Giancarlo Galan del Veneto, Roberto
Formigoni della Lombardia) e le due teste pensanti di quell'accordo federalista
che ha ricucito il "ribaltone" di Umberto Bossi: Giulio Tremonti (il "falco"
della devolution) e Franco Frattini (la "colomba" della devolution).
Enzo Ghigo ricorda ancora e sorride: "Si parlava di che cosa fare,
si commentava il voto. Poi qualcuno, forse Tremonti o forse Frattini, evocò
la contesa dei fondi strutturali della Ue. E decidemmo l'iniziativa clamorosa
di Genova, quando i governatori del Polo risolsero in meno di un'ora una
vicenda nazionale che, invece, languiva da mesi. Poi spuntò l'argomento
dei referendum".
Ancora una breve discussione e, in via del Plebiscito, quella dei referendum
diventa subito la seconda tappa certa della "strategia". Da quel momento,
le notizie e i commenti si fanno sempre più scarsi, ma la volontà
dei "governatori del Cavaliere" e dei loro leader nazionali appare chiara,
senza tentennamenti. I referendum consultivi sul federalismo si devono
fare a tutti i costi, magari entro l'autunno del 2000, nel Nord ma anche
nelle Regioni del Centro e del Sud dove la Casa delle Libertà è
riuscita a sbancare le urne anche senza l'"intendenza" preziosa del Carroccio.
Tanti piccoli referendum tutti assieme, un formidabile volano per la
campagna elettorale in vista delle politiche del 2001: il disegno è
questo e nessuno, in casa del Polo, cerca di mascherarlo più di
tanto. Al massimo, come il veneto Giancarlo Galan, qualcuno ci scherza
sopra: "Abbiamo solo qualche dubbio sullo strumento referendario - dice
Galan - dopo i recenti rovesci delle consultazioni volute da Mario Segni
o dai radicali. Vorrà dire che cambieremo le leggi regionali ed
aboliremo il quorum".
Da quel momento, mentre a livello nazionale il comportamento dei "governatori
del Cavaliere" sceglie la via della collaborazione con i colleghi del centrosinistra
sulla via delle riforme federaliste della Costituzione, la strategia referendaria
comincia a muoversi in silenzio, ma senza mai fermarsi. E se le "colombe"
Frattini e Ghigo privilegiano il dialogo, i "falchi" Tremonti e Formigoni
non smettono mai di tentare accelerazioni e strappi. Nei Consigli regionali
di Lombardia, Veneto e Piemonte la prima mossa tocca alla Lega, ma poi
è tutta la macchina da guerra della Casa delle Libertà a
mettersi in moto. Sino a questi giorni quando, nei Consigli regionali,
l'ostruzionismo del centrosinistra riesce solo a ritardare di poche settimane
l'approvazione dei referendum consultivi: come è avvenuto ieri pomeriggio
a Milano.
L'ultima novità, forse decisiva, è giunta invece, sempre
nei giorni scorsi, dal Sud. Quando gli uomini di Berlusconi e di Bossi
hanno fatto capire che anche le Regioni meridionali guidate dal Polo sono
pronte a seguire la "strategia referendaria" e il Senatur in persona è
sceso a Bari per rassicurare: "Sul federalismo andremo avanti con il Meridione".
E oggi Bossi celebra sul Po
Riempirà la "sacra ampolla"
DOMANI la Lega celebrerà il "devolution day". Già oggi,
Umberto Bossi andrà a Pian del Re, alle 11: dopo l' alzabandiera,
il leader leghista raccoglierà l'acqua del fiume nella solita ampolla,
alle sorgenti del Po.
Quindi, l'ampolla sarà trasportata a Venezia da una staffetta
di associazioni padane che, con un corteo di camion, costeggeranno tutto
il Po, per arrivare nel capoluogo veneto.
Prevista una sfilata di costumi tipi della padana e interventi, tra
gli altri, di Roberto Maroni e dei capogruppi di Camera e Senato, Pagliarini
e Castelli.
I leghisti annunciano l'arrivo a Venezia di 250 pullman e di treni,
in partenza da tutti i capoluoghi del Nord. Un' imbarcazione, la "Nave
del Sole", imbarcherà 300 militanti a Cesenatico.
"Una manovra elettorale inutile e anche rischiosa"
«Non vorrei che i lombardi pensassero che il referendum sia l’inizio
del percorso del federalismo: è solo uno strumento di campagna elettorale».
Così Guido Bombarda, An, unico consigliere di maggioranza che ieri
ha votato contro la proposta di referendum sulla devolution.
Bombarda, perché ha detto no?
«La maggioranza degli elettori ha approvato lo scorso aprile
il programma del Polo che prevede maggiore libertà e autonomia della
Regione. Quindi con questo referendum si vorrebbe chiedere loro un mandato
che il presidente Formigoni ha già».
Un’inziativa inutile?
«Certo, inutile. E anche rischiosa».
Perché?
«Non sono così sicuro che ci sarà una grande affluenza
al voto. Se alle urne andassero in pochi, le giuste istanze di autonomia
verrebbero sminuite».
Per questo Formigoni vuole che il referendum si tenga in concomitanza
con le Politiche?
«Sarebbe l’unico modo per ridurre al minimo il rischio di una
scarsa partecipazione. Ma così il referendum diventa uno strumento
da utilizzare in campagna elettorale».
Non è il solo a sostenerlo…
«Sì, su questo la penso come l’opposizione, nessun problema».
Bombarda, sa che cosa si dice fra i suoi colleghi di partito? Che lei
votando contro ha consumato una piccola vendetta per non essere stato riconfermato
assessore…
«Assurdo. La informo che è imminente la mia nomina a presidente
provinciale di An. Questo sarebbe davvero uno strano modo di vendicarmi:
è chiaro che in questo momento mi converrebbe stare zitto e coperto.
Se dico queste cose, è perché ne sono convinto, tutto qui».
"Molti colleghi del Polo sono stati costretti a votare"
È il momento del voto e Pierangelo Ferrari, capogruppo dei Ds
al Pirellone, ha appena lasciato l’aula: «Noi — spiega — vogliamo
davvero la riforma federalista, che si farà in Parlamento e non
con i referendum finti; che questa consultazione sia finta, oltre che strumentale,
lo riconoscono anche i colleghi della maggioranza, Lega esclusa».
Ferrari, a che cosa si riferisce?
«Non è un mistero. Parecchi consiglieri del Polo non sono
affatto d’accordo con questo referendum. Sono stati costretti a votarlo
per via del patto tra Berlusconi e Bossi».
Ne è sicuro?
«Sono venuti a dirci che alla fine del referendum non si farà
nulla, che è inutile».
Nomi?
«Lasciamo stare i nomi. Comunque più d’uno, questo è
certo».
Il leghista Maroni dice che il referendum è l’unica ragione
dell’alleanza elettorale con il Polo e lo considera un passaggio decisivo…
«Ecco, appunto. La Lega è molto preoccupata dei risultati
concreti che il Parlamento potrebbe produrre in tema di federalismo a partire
dalla sessione di martedì prossimo. Perché la riforma sgonfierebbe
il referendum. Di qui il tentativo di boicottare quella riforma: vogliono
fare una campagna elettorale dicendo che il federalismo si può fare
solo con i referendum. Vuole la prova?».
Sentiamo.
«L’accorpamento della consultazione referendaria regionale con
le politiche, come ha già annunciato Formigoni».
È possibile questo accorpamento?
«Temo di sì».
A proposito di Formigoni, il presidente è ancora negli States…
«Forse non è un caso».
Perché?
«Immagino si renda conto anche lui della totale strumentalità
di questo quesito. E della brutta figura che avrebbe fatto».