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Lombardia: Referendum "devolution" - rassegna stampa dal Corriere della sera 17 settembre 2000
 

Scontro fra i Poli dopo lo strappo sulla «devolution». Il ministro Bassanini: la Lega non rinuncia alla secessione

«Referendum al di là della Costituzione»
Il premier Amato boccia l’iniziativa della Lombardia sul trasferimento di poteri alle Regioni Bossi dalle sorgenti del Po: il federalismo lo costruiremo da soli. Attacchi dal centrosinistra

 
ROMA - Il centrosinistra boccia la «devolution» lombarda. Da Pontignano (Siena), dove si trova per un incontro anglo-italiano, il premier Giuliano Amato afferma che la richiesta di trasferimento di poteri dallo Stato alle Regioni è «decisamente discutibile, perché va al di là del quadro legale che definisce costituzionalmente lo Statuto delle Regioni. Nel nostro sistema, vi è l’indicazione delle aree in cui vi è giurisdizione. Il referendum è consultivo, e ogni potere in più va oltre i poteri dello Statuto». Mancino: «Iniziativa strumentale». Il presidente del Senato Nicola Mancino parla di «iniziativa strumentale» perché tenderebbe a boicottare la legge sul federalismo che sta per approdare in Parlamento. Il ministro per la Funzione pubblica, il diessino Franco Bassanini, è convinto che «dietro la dichiarata fede federalista del Polo, la Lega resti ferma al suo progetto secessionista». Il presidente della Camera Luciano Violante critica i referendum decisi dalla Lombardia, ma li considera «uno stimolo» per le riforme, oltre ad essere «un diritto dei cittadini».
La due giorni leghista. A Pian del Re (Cuneo), Umberto Bossi ha inaugurato la due giorni leghista sul Po con la cerimonia dell’ampolla alla sorgente del fiume: l’acqua prelevata da una bambina «padana» sarà versata oggi nella laguna di Venezia. Il senatur ha criticato la miniriforma federalista che approda martedì in Parlamento, sostenuta anche dai governatori del Polo: «Il federalismo va approvato dal popolo con il referendum. Le riforme le faremo noi» una volta al governo.

INUTILI BARRICATE

di ANGELO PANEBIANCO

 
Fa male il centrosinistra ad opporsi frontalmente alla decisione della Regione Lombardia di chiamare gli elettori a un referendum consultivo sul trasferimento di poteri dallo Stato alle regioni. Fa male soprattutto perché «alzare le barricate», fare fuoco di sbarramento ideologico, è un’attività che in genere non aiuta a ragionare lucidamente e a individuare i problemi veri (e problemi, ma diversi da quelli denunciati dal centrosinistra, ce ne sono nel progetto federalista che sta ora prendendo corpo). Era evidente, fin da quando Lega e Polo si riconciliarono, che il centrodestra avrebbe fatto sul serio. Il centrosinistra paga, su questo fronte, alcuni anni di «chiacchiere» senza costrutto, paga il fatto di avere agitato strumentalmente il federalismo, senza crederci affatto, solo per corteggiare la Lega. Nonostante le riserve espresse dal presidente Amato, non sembra esservi vizio di incostituzionalità nel fatto che le regioni più interessate al federalismo (dopo la Lombardia si muoveranno altre regioni del Nord) chiedano agli elettori di pronunciarsi sull'argomento, intendendo dare così più forza - la forza che viene da una pronuncia popolare - alla riforma dello Stato che il Parlamento nazionale dovrà (un giorno, non si sa quando) varare. Né appare credibile la tesi secondo cui sarebbe un federalismo, questo, tutto giocato contro il Sud. Lo sarebbe senz'altro se la forza politicamente egemone al Nord fosse la Lega di Bossi. Ma la Lega, al Nord, è ormai solo un frammento di una coalizione dominata da Forza Italia e che ha An come secondo partito. Forza Italia e An sono partiti nazionali, e non regionali, partiti che contendono il potere al centrosinistra, anche al Centro e al Sud. Sarebbe sciocco e suicida da parte loro avallare un federalismo di ispirazione «antimeridionale» o mettere in discussione l'unità nazionale. Se questi sono gli argomenti usati dal centrosinistra contro le iniziative regionali in atto, bisogna dire che essi sono fiacchi e per nulla convincenti.
Né, mi pare, è più convincente l’argomento- principe dei nemici aperti del federalismo: la tesi secondo cui, storicamente, non si è mai visto un federalismo di successo nascere per devolution , per trasferimento di poteri dal centro alla periferia, anziché per «unione», per aggregazione (in quest'ultimo modo sono nati i principali sistemi federali esistenti, Stati Uniti in testa). Confesso che questa obiezione non mi ha mai convinto. «Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, ...». Ciò che è stato vero nel passato potrebbe non esserlo più nel futuro. Il fatto che non si siano dati federalismi per devolution nell’era degli Stati nazionali trionfanti non significa che ciò non possa accadere nell'epoca che registra invece l'indebolimento, il ripiegamento (ma non la scomparsa), degli Stati nazionali. Buona parte delle critiche in circolazione al progetto federalista del centrodestra, insomma, secondo me, non convincono. E non aiutano a mettere a fuoco i veri problemi.
Il primo problema consiste senz'altro nei residui pruriti «etnici» della Lega di Bossi. E' a causa di quei pruriti che la Lega ha sempre oscillato, in passato, fra federalismo «etnico» (esempio: «Diamo gli impieghi pubblici al Nord solo ai settentrionali») e federalismo «liberale», senza mai risolversi a scegliere definitivamente il secondo.
 
I dirigenti di Forza Italia, il partito egemone della coalizione, dovrebbero manifestare più consapevolezza dei problemi che quei pruriti tuttora circolanti nelle vene del loro socio di minoranza potrebbero domani creare a tutti in una Italia federale, o sulla strada di diventarlo. E mettere, di conseguenza, adeguati e solidi paletti. Il secondo problema sta nella confusione sugli obiettivi. Il federalismo continua ad essere proposto dai suoi sostenitori di centrodestra in modi spesso bislacchi, distorti, sbagliati. Sovente viene presentato come un «di più» di democrazia. Come se uno Stato federale fosse «più democratico» di uno Stato non federale. Ma no. Non è così. Al contrario, la principale funzione del federalismo correttamente inteso è quella di rappresentare un vincolo, un limite, per la democrazia. Esso serve a difendere le libertà (locali) dalle eventuali minacce portate ad esse, democraticamente, dalle maggioranze (nazionali). Lo scopo, o almeno uno degli scopi, del federalismo è frammentare, dividere, il potere politico, in modo da rendere meno potenti e minacciose le maggioranze. Il federalismo è un limite posto alla democrazia che lo Stato centralista non conosce. Per evitare frodi in commercio è sempre meglio dichiarare francamente quale sia la vera natura della merce che si sta vendendo. Il terzo problema è molto, ma molto, pratico. Le amministrazioni regionali e locali, anche al Nord, sono, spesso, ancor più inefficienti dell'amministrazione dello Stato centrale. Come fronteggeranno un così massiccio trasferimento di poteri e compiti dal centro? Come faranno a svolgere i nuovi compiti senza provocare ancor più sprechi di denaro pubblico di quelli in cui incorre l'amministrazione centrale? Quanti anni di caos devono essere messi in conto prima che il nuovo assetto vada «a regime» e cominci a funzionare decentemente?


 
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