Riforme Istituzionali
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Spesa sanitaria: scontro Stato-Regioni e gioco delle parti
 


Corriere della sera - 15-06-2002
 
Asse tra Regioni, contrattacco a Tremonti

Ghigo e Errani: inutili i richiami sulla spesa. Federalismo: via libera dal governo, la Corte dei Conti controllerà
 
 Roberto Bagnoli

ROMA - «Non c’era bisogno di alcun richiamo, il testo della Costituzione è ben noto a tutti i presidenti delle Regioni e desideriamo rammentarle che siamo impegnati a ridurre la spesa sanitaria». Poche righe, ma pesanti come macigni. I «governatori» Enzo Ghigo (Forza Italia) del Piemonte e Vasco Errani (Ulivo) dell’Emilia Romagna, nel loro ruolo di presidente e vicepresidente della Conferenza delle Regioni italiane, scrivono al ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Una risposta formale da cui traspare una forte indignazione, «perché conosciamo anche noi la legge che ci consente di contrarre mutui per la spesa corrente per il 2000». Il giorno prima Tremonti aveva inviato due lettere (una alla Banca d’Italia, l’altra alla Corte dei Conti) sollecitandole a controllare le spese delle Regioni sospettandole, quindi, di finanza allegra. Una tirata d’orecchie che non è piaciuta per niente ai governatori. E ieri la reazione ufficiale a nome anche di Roberto Formigoni (Lombardia) che si è chiamato fuori - «Non ci riguarda, noi siamo in regola» -, ma che ora rischia di veder rallentato il progetto di ricorrere al mercato obbligazionario per un miliardo di dollari. Lo scontro tra Regioni e Tremonti arriva il giorno stesso in cui il governo ha approvato il disegno di legge che accelera il viaggio del nuovo assetto federale: nove articoli per dare corpo alla modifica del Titolo V della Costituzione. Tra le altre cose, che andranno tutte all’esame del Parlamento, l’assegnazione alla Corte dei Conti del ruolo di «cane da guardia» sui bilanci degli Enti locali. E un giro di vite ai tempi lunghi della Corte costituzionale: entro 45 giorni al massimo, dal deposito del ricorso, si devono chiudere i contenziosi sulle leggi regionali o statali.
La magistratura contabile, in particolare, dovrà vigilare su eventuali sforamenti sui bilanci nell’ambito del patto di stabilità interno. E accorgersi se le Regioni fanno le «furbe», cioè se contraggono mutui anche per la spesa corrente e non solo per gli investimenti come dice la legge. E ieri la Corte dei Conti si è detta «disponibilissima a mettere al servizio del Paese la sua esperienza».
Per il resto la giornata è stata dominata dalla questione sanità e dal muro contro muro governo-Regioni. Il primo chiarimento tra il ministro Tremonti e i governatori ci sarà già mercoledì prossimo con il tavolo del «monitoraggio» presieduto dal sottosegretario al Tesoro Giuseppe Vegas. Ma intanto il governo si prepara a «blindare» la spesa sanitaria già nel documento di programmazione economico e finanziario. Lo hanno fatto capire chiaramente ieri il viceministro dell’Economia Mario Baldassarri e il sottosegretario Vito Tanzi che ha ricordato come «in questo momento la sanità è una delle voci più importanti della spesa pubblica e che ci sta dando delle preoccupazioni».
Opposizione molto critica. Per l’ex ministro del Tesoro Vincenzo Visco, Tremonti «ha scelto il conflitto istituzionale anziché impegnarsi a risolvere i problemi dei conti pubblici». L’ex presidente del Senato e senatore della Margherita Nicola Mancino ha chiesto al ministro dell’Economia di ritirare la proposta di legge di devolution che attribuisce alle Regioni la competenza esclusiva in materia sanitaria. «E’ già difficile il controllo adesso, figuriamoci domani».


il manifesto - 15-06-2002

I governatori contro Tremonti
Dura replica al ministro che ha attaccato la spesa sanitaria regionale. Varato il ddl sul federalismo. Manovra bis in vista
 
Andrea Colombo
 
«Non c'era bisogno di alcun richiamo». Dopo la reprimenda del ministro dell'Economia le Regioni rispondono durissime a Tremonti. «Desideriamo manifestarle le nostre osservazioni - scrivono Enzo Ghigo e Vasco Errani, presidente e vicepresidente della conferenza dei presidenti di regione - relative all'iniziativa da lei assunta di sollecitare la Corte dei conti e la banca d'Italia a una forte azione di controllo nei confronti della Regioni». Di quell'iniziativa, affermano i firmatari, non c'era alcun bisogno, dal momento che a tutti i governatori «è ben noto» il contenuto del dettato costituzionale invocato da Tremonti, quello che consente agli enti locali di contrarre debiti solo per finanziare spese d'investimento e non per far fronte ai buchi di spesa. Al governo, contrattaccano poi i governatori, è a sua volta «nota la disposizione che consente alle Regioni di accendere mutui per l'indebitamento relativo all'anno 2000». In ogni caso, i governatori «desiderano rammentare» al ministro «che le Regioni sono fortemente impegnate nel controllo della spesa sanitaria».

Il ministro, giovedì scorso, aveva affidato il suo monito a due lettere, una indirizzata al governatore di BankItalia, l'altra al presidente della Corte dei conti. In entrambe Tremonti ribadiva lo stesso messaggio: le Regioni non possono contrarre debiti per fronteggiare i buchi di spesa. Scritte pochi giorni dopo l'analisi della Corte dei conti sullo sforamento della spesa sanitaria, il loro significato era esplicito: ammonire le Regioni per evitare che puntino sui prestiti per far fronte alle spese sanitarie. Un ulteriore segnale di quanto il buco nei conti pubblici stia allarmando il governo, al punto da spingere il ministro alla collisione con gli stessi presidenti di Regione del centrodestra.

Oltre a Ghigo, rispondono a Tremonti anche il lombardo Formigoni e il veneto Galan. «Il suo monito - dichiara il primo - non riguarda la Lombardia, che non si è affatto indebitata per la spesa corrente, né sanitaria né di alcun altro genere». Formigoni manifesta il suo «stupore» perché Tremonti parla di «un sistema delle Regioni che non esiste, dato che l'Italia non è ancora una paese federalista e che la legge attribuisce a ogni regione la responsabilità di attuare adempimenti specifici per il controllo della spesa sanitaria». Tremonti dovrebbe dunque «specificare quali regioni meritano a suo avviso il monito e quali no, in questa fase molto delicata».

Galan è meno polemico. Si limita a respingere tutti gli addebiti ministeriali: «Il ministro ha perfettamente ragione quando afferma che le Regioni non possono accendere mutui per coprire le spese di gestione. Infatti il Veneto non ne ha nemmeno uno, e proprio per questo siamo stati costretti a inserire un ticket sui medicinali».

L'opposizione attacca prendendo di mira la devolution bossiana, ma soprattutto il ministro. «Tremonti - dichiara il suo predecessore, il diessino Vincenzo Visco - ha scelto il conflitto istituzionale invece di impegnarsi a risolvere il problema dei conti pubblici. Il principale responsabile della situazione attuale è proprio lui». Gli strali non partono solo dall'opposizione. I centristi del Polo infatti tornano alla carica. «L'andamento dei conti pubblici - afferma il presidente della commissione Agricoltura del senato Ronconi, dell'Udc - dovrebbe far ripensare il modello di federalismo, così come lo si è fino ad oggi immaginato». Il federalismo, rincara il presidente della commissione Attività produttive della camera Tabacci, anche lui Udc, «non può significare allegra autonomia delle spese e soccorrevole ripiano dei debiti da parte centrale».

«Tabacci non ha tutti i torti», commenta a sorpresa il leghista Cé, ma solo per capovolgere a vantaggio della devolution il ragionamento. Tabacci, prosegue infatti il capogruppo del Carroccio, «mette sullo stesso piano lo pseudo-federalismo della sinistra con le riforme della maggioranza. Nel nostro progetto noi prevediamo l'autonomia legislativa delle Regioni, che è fondamentale per tenere sotto controllo la spesa».

Per quanto dure, le smentite della realtà non avranno ragione della Lega. Ieri il governo ha votato il decreto attuativo della legge sul federalismo, che dovrebbe risolvere i casi di contenzioso e conflitto di competenze tra stato centrale e governi locali. Il testo del decreto non è stato ancora reso noto, ma per capire quale spirito lo informi basta leggere la voce che recita «nelle materie di legislazione concorrente ed esclusiva regionale non possono essere più adottati atti di indirizzo e coordinamento». Del resto non potrebbe essere diversamente, con la devolution bossiana di mezzo.

Per fronteggiare l'emergenza, dunque, il governo ha una sola strada e si può star certi che non esiterà a imboccarla. Da un lato mantenere una posizione rigida perché le Regioni colmino la voragine con ticket e tasse, senza chiamare in causa il governo centrale. Dall'altro intervenire con pesanti tagli alla spesa nel Dpef, la cui presentazione è slittata a luglio e poi mediante la manovra correttiva in finanziaria. Le voci che circolano (definite dal ministero «numeri al lotto») parlano di una manovra correttiva nell'ordine di 10-12mila miliardi di euro. Una stangata di serie A.



 
«Deficit sanitario a fini privati»
Parla Lainer Armuzzi (Fp-Cgil): «L'obiettivo è passare progressivamente al sistema assicurativo»

Cosimo Rossi
 
«L'operazione che il governo ha in testa è quella avviata molti anni fa a cominciare dalla Lombardia: dimostrare la non sostenibilità economica del sistema sanitario pubblico e passare progressivamente al sistema assicurativo». Lainer Armuzzi, segretario della Funzione pubblica Cgil, legge questo disegno dietro l'allarme per il deficit della spesa sanitaria delle regioni lanciato dalla Corte dei conti trasformato in monito dal ministro dell'economia Tremonti, che ha avvertito i governatori di non indebitarsi con le banche per far fronte al disavanzo.

Come sindacato, che valutazione fate dell'allarme ripetuto con insistenza sulla spesa sanitaria?

Intanto bisogna dire che la spesa sanitaria complessiva in Italia è al di sotto la media europea, perché non raggiunge il 6% del pil. Se poi si guarda dov'è che la spesa sfora, cioè dove si produce deficit, si scopre immediatamente che le regioni che producono maggior disavanzo sono quelle che non hanno applicato riforma Bindi. Basta guardare Emilia, Toscana o Umbria: nel corso degli anni hanno diminuito progressivamente il deficit, riorganizzando il sistema dentro le linee della riforma, cioè all'interno del sistema pubblico e garantendo un sistema di qualità.

Ma quella che aumenta è proprio la spesa pubblica, la competizione con il sistema privato non riesce ad avvantaggiare i cittadini?

No, perché quando il sistema è privo di qualunque programmazione in realtà la spesa sanitaria viene incentivata. Se il problema è quello di immettersi nel mercato, il mercato tende a incentivare la spesa fino alla saturazione. Se si modifica e si snatura il sistema, stravolgendo la sua missione in modo che anziché produrre salute si producono prestazioni, abbandonando cioè la prevenzione e puntando sulle cure, a quel punto le prestazioni si moltiplicano. Insomma, se il sistema non lavora per contenersi ma per creare mercato, è chiaro che aumenta spesa. Il vero problema è che si vuole cedere ai privati, abbassando soglia dei diritti dei cittadini, gli oltre 15 mila miliardi del fondo sanitario nazionale. Non c'entra niente con la sanità, è un'operazione commerciale. Si dimostra la non sostenibilità economica del sistema per passare progressivamente a quello assicurativo. Non è un caso che la riforma Tremonti del fisco rischi di far pagare di più ai redditi bassi rispetto a chi possiede di più e si può assicurare.

Il governo adesso parla di «misure strutturali» nel Dpef, significa che verranno reintrodotti i ticket o cos'altro?

Più strutturale dello smantellamento del sistema non vedo che cosa ci sia. Il vero obiettivo è smantellare, non c'è un disegno di riforma della sanità.

E i ticket?

Erano inutili prima e sono inutili adesso. Il centrodestra ha sempre tentato di attribuire all'abolizione il nuovo indebitamento, tant'è che le regioni di destra li hanno ripristinati.

Ma poi sono quelle che aumentano di più la spesa provocando le minacce di Tremonti. Perché?

Quando non si riesce a scaricare la spesa su cittadini ma si devono accendere mutui, a quel punto ci vuole l'impegno dello stato. Invece l'obiettivo è il disimpegno: da un lato di smantellare, dall'altro di mettere in difficoltà chi vuole tenere in piedi in sistema pubblico. Altrimenti perché Tremonti non chiede a Sirchia di non cancellare l'esclusività rapporto di lavoro contenuta nella riforma Bindi? In quell'occasione fu introdotta un'indennità legata al fatto che non si poteva più scegliere, quell'indennità costa 3.500 miliardi. Ora Sirchia toglie l'esclusività, ma quei soldi restano nelle tasche dei medici. Vogliono distruggere un sistema e comprare intere corporazioni. Il vero problema, invece, è che vanno garantite risorse dentro la media europea del 6% del pil, mentre noi siamo al 5,8. E vanno mantenute le riforme varate negli anni scorsi e da noi condivise. Un sistema per produrre salute, non prestazioni.

Insomma, il deficit serve a un preciso obiettivo politico.

Se non si produce deficit e non si dimostra l'insostenibilità del sistema pubblico, perché mai lo si dovrebbe cedere? Così, invece, il punto centrale diventa il deficit. Ed è il pretesto per cedere alle assicurazioni. Forse anche qui c'è un conflitto di interesse: chiediamoci di chi è Mediolanum. Ma tutto il sistema assicurativo funziona esattamente come negli Stati uniti, e se io sono un pensionato un po' acciaccato che vale poco sul mercato, dopo la prima prestazione finisco nella sanità dei poveri. Su questo c'è un ordine del giorno votato nel direttivo nazionale della Cgil e apriremo nei possimi giorni una vertenza per la difesa del sistema sanitario nazionale, che è un diritto al pari di quello previdenziale e degli altri su cui in questi mesi ci stiamo battendo.



 
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