E poi dicono federalismo
Massimo Luciani
E’ passato quasi un anno, ormai, da che una riforma
«federalista» della Costituzione è entrata in vigore.
Era una riforma, quella, che prometteva una trasformazione
radicale non solo degli equilibri fra le istituzioni, ma anche dei rapporti
delle istituzioni con i cittadini, grazie ad un decentramento di poteri
politici e di responsabilità amministrative senza precedenti nella
storia del nostro paese.
E’ passato quasi un anno, appunto, ma non si può
certo dire che quella trasformazione si sia realizzata.
Un esempio: basta scorrere un anno di Gazzetta Ufficiale
per rendersi conto che lo Stato ha continuato spesso e volentieri a legiferare
con la stessa tecnica che usava prima, come se nulla fosse accaduto.
In una sentenza recente, anche se in un rapido passaggio,
la Corte Costituzionale aveva chiarito che nelle materie di competenza
comune dello Stato e delle Regioni la legge statale deve limitarsi a stabilire
i principi fondamentali, perché ormai la normativa di dettaglio
è riservata alla periferia.
Eppure, di questa autolimitazione del legislatore
statale non ci sono, ancora, grandi tracce. Le Regioni, a loro volta, o
almeno molte di loro, non hanno ancora saputo mettere in campo la progettualità
politica che sarebbe stata richiesta dalla logica della riforma, sicché
molto è rimasto ancora immutato.
Su tutto, comunque, gravano le incognite del quadro
economico e fiscale. Il Presidente della Camera, giustamente, ha detto
che il federalismo costa.
Proprio per questo è urgente il completamento
del quadro normativo, con una più chiara ripartizione di risorse
e competenze fra Stato, Regioni, Enti locali.
Finché questo non avverrà, comunque,
è indispensabile che tutti i livelli di governo agiscano con quel
metodo di cooperazione che è la vera forza dei modelli federali
che funzionano.
Il confronto tra Governo Regioni ed Enti locali che
si è aperto in questi giorni, non potrà certo essere una
passeggiata, ma, in questa fase economica così delicata, a nessuno
dei protagonisti converrà fare come i polli di Renzo. Che non hanno
fatto una bella fine.