Corriere della sera - 28-09-2002
Regioni in rivolta e norme da ripensare
Quel federalismo un po' scomposto
Sergio Romano
Se il lettore ha perduto il filo e non riesce
più a comprendere il dibattito sul federalismo che si è riacceso
non appena Regioni e Comuni hanno appreso dei sacrifici che la Legge finanziaria
avrebbe comportato per i loro bilanci, non rimproveri se stesso. La prima
ad averlo perduto è la classe politica, di sinistra e di destra,
che ha governato l’Italia negli ultimi anni. Proviamo a riepilogare. Nella
seconda fase dell’ultima legislatura il Parlamento decise che i presidenti
delle Regioni sarebbero stati eletti direttamente dai loro concittadini.
Fu creata così una figura nuova: il «governatore», scelto
dal corpo elettorale e tenuto a rispondere personalmente a coloro che gli
avevano conferito il mandato. Qualcuno capì che il «governatore»
avrebbe preteso di esercitare poteri corrispondenti alla propria autorità
e che la nuova norma era quindi, in mancanza di altre riforme, una bomba
a orologeria, destinata prima o dopo a scoppiare. In altre parole, avevamo
messo il «carro davanti ai buoi».
Qualche tempo dopo il governo Amato e la sua
maggioranza modificarono frettolosamente la Costituzione per definire le
competenze che lo Stato avrebbe trasferito alle Regioni. L’opposizione
ritenne che la legge fosse insufficiente e promise che il vero federalismo
l’avrebbe fatto lei, non appena al potere. Mentre la maggioranza d’allora
voleva, con una specie di «guerra preventiva», privare l’avversario
di una parte del suo programma, Bossi non poteva permettere che la sua
vecchia carta gli fosse tolta di mano. Dette al suo progetto un nuovo nome
( devolution ) e ne fece la principale ragione della sua partecipazione
al governo. Anche se non era strettamente indispensabile venne messa in
cantiere, per l’armonia della Casa delle libertà, una nuova legge
costituzionale che avrebbe trasferito alle Regioni un maggior numero di
competenze.
Ma chi avrebbe provveduto a regolare i conti?
Avrebbe pagato lo Stato, come sempre, con trasferimenti di denaro dal centro
alla periferia? O avrebbero provveduto le Regioni, almeno in buona parte,
con il denaro dei loro contribuenti? E come sarebbe stato costituito il
fondo nazionale destinato a correggere le differenze di reddito tra le
Regioni? Anziché affrontare contemporaneamente questi problemi la
classe politica rinviò il federalismo fiscale ad un altro momento
(è stato ora inserito nella nuova Finanziaria) e tirò avanti
come in passato. Ma non si rese conto che i «governatori»,
nel frattempo, non avrebbero rinunciato alla loro nuova autorità.
Avevano un mandato e intendevano farne uso. Lo hanno fatto prendendo provvedimenti,
soprattutto in materia di sanità, che hanno inevitabilmente gonfiato
i loro bilanci. Se l’economia fosse cresciuta secondo le ottimistiche previsioni
degli scorsi mesi, lo Stato avrebbe pagato. Ma oggi non può più
farlo: le condizioni dell’economia europea e il Patto di stabilità
gli impongono di tirare i remi in barca e di ridurre all’osso i trasferimenti.
E gli amministratori locali beninteso strillano come aquile ferite. Era
davvero difficile prevederlo? Non sarebbe stato meglio rovesciare l’ordine
del percorso e collocare l’elezione popolare dei governatori alla fine?
Un’altra vicenda, intanto, sembra dimostrare
che la lezione non è stata ancora imparata. Per realizzare le grandi
opere (esigenza sacrosanta) il governo ha proposto una «legge obiettivo»
che permette di prescindere dal parere di Comuni e Province. Un’opera approvata
dal Parlamento diventa così una priorità a cui gli enti locali
non possono opporsi. E’ giusto. Ma la legge è poco federalista,
se non addirittura in contraddizione con la riforma costituzionale dell’ultima
legislatura: mentre la legge consente di scavalcare molti ostacoli amministrativi,
la riforma tende invece a moltiplicare filtri e controlli locali. Non sarebbe
stato meglio decidere prima quali opere, per la loro generale utilità,
devono considerarsi competenza dello Stato? Non sarebbe stato meglio mettere
i buoi davanti al carro?