Riforme Istituzionali
Osservatorio sulla devolution
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il manifesto  28-11-2002
 
Pontida irrompe in Senato

A palazzo Madama, per difendere la devolution, Umberto Bossi si scaglia contro la «palude centralista», accusa l'opposizione di «razzismo contro il Nord». Lo accolgono i fischi dell'Ulivo e pochi applausi del Polo
 
   Giovanna Pajetta
 
«Io non volevo neanche toccare questo problema, ma questa mattina ho sentito interventi intolleranti, razzisti contro il Nord...Come se questo non avesse dato non due, ma dieci mani al Sud. Fin dal tempo dei Mille, che erano soprattutto bergamaschi e bresciani». Quando Umberto Bossi, alle cinque del pomeriggio, prende la parola in senato per la sua replica sulla devolution ci vuol poco a capire che non parlerà da ministro per le riforme. Indifferente al crescendo di urla, sfottò, canti e ben scarsi applausi, il senatur si lancia a testa bassa contro l'opposizione, la accusa di «catastrofismo strumentale, come quello dei partiti che, alla fine degli anni'70, non volevano l'istituzione delle Regioni». Ma, soprattutto, torna ai temi più cari e noti, dall'attacco alla «palude centralistica», bestia nera di tanti comizi di Pontida, al «disamore del Nord per quello stato unitario che aveva contribuito a costruire», fino ad un classico e conclusivo «chi la dura la vince, indietro non si torna». Così, dopo aver urlato in aula (provocando scampanelli e richiami a non finire della presidenza), i senatori dell'opposizione partono al contrattacco. Uno dopo l'altro, i diessini Angius e Vitali, quelli della Margherita Mancino e Bordon, protestano per «Un discorso da ministro della repubblica padana» (Vitali), si indignano perché «è stato al di sotto del minimo consentito persino a un parlamentare» (Bordon) o si felicitano e tirano un sospiro di sollievo perché nessuno ha aperto la porta al dialogo «pensavamo a qualche ripensamento...ora siamo più sereni» (Angius). Anzi, qualcuno già canta vittoria, sottolineando come la furia bossiana ha provocato il palese sconcerto dei suoi alleati.

Pochi, pochissimi applausi a scena aperta, e solo qualche sgranato battimano persino al momento delle conclusioni sono infatti l'unico contraltare allo scatenarsi del centrosinistra. Una così palese freddezza dell'intera Casa delle libertà (leghisti esclusi s'intende) che nemmeno le le dichiarazioni di prammatica dei forzisti Schifani e La Loggia riescono ad attenuare l'impressione di un Bossi lasciato a se stesso. «E' stato un messaggio opportuno e rasserenante - dirà, arrampicandosi sugli specchi, il capogruppo al senato di Forza Italia - In particolare la parte iniziale è stata più che incisiva». «Bossi ha stroncato inutili e dannose strumentalizzazioni sulla prima parte della Costituzione», commenta, con qualche ragione in più, il ministro per gli Affari regionali. Perché in effetti, prima di partire in difesa di «Pontida e il Leone di Venezia», il ministro per le riforme qualche novità l'aveva detta. E su un punto non da poco.

«La devolution non tocca i livelli essenziali dei servizi, che devono essere garantiti sull'intero territorio nazionale - ha tenuto a ribadire infatti Umberto Bossi - E lascia intatta i principi sanciti dalla prima parte della Costituzione, l'uguaglianza, il diritto alla salute e quello all'istruzione». Anzi, ricorda in un momento di pacatezza il senatur, tutto questo era scritto nel testo del progetto di legge sulla devolution. «Ma poi fu suggerito di toglierlo per non mettere cose ultronee, cioè pleonastiche». Un sì insomma al famoso emendamento «salva patria», ma nessuno lo noterà, nè in aula nè dopo.

Del resto quello che va in scena in senato è un copione già scritto. Già prima del discorso di Bossi, l'Ulivo aveva dato il via, come in mattinata, all'«ostruzionismo totale» (interventi su tutto, dall'aereo dirottato fino ai manifestanti bloccati davanti a palazzo Madama). E così si andrà avanti fino a martedì 3, la data più papabile per la fine dell'esame dei mille e trecento emendamenti e il voto finale. Schermaglie che servono ad affilare le armi per lo scontro vero, quello che ci sarà quando la devolution approderà alla camera. «Bossi ha dato un insperato aiuto alla nostra battaglia» dice infatti Willer Bordon, mentre Vitali prevede «un percorso molto accidentato» a Montecitorio. Si conta sulle resistenze dei centristi (ieri Tabacci è arrivato ad attaccare frontalemente anche il minifederalismo della riforma ulivista del titolo V) e sull'insofferenza di An. Ma anche se le rose non fioriranno nella maggioranza, poco conta. «Noi andremo al referendum - ribadisce Angius - Anzi direi che prima si fa la legge e meglio è, perché così si andrà prima al referendum».


Corriere della sera - 28-11-2002
 

Bossi: «E’ stato il Nord che ha unito l’Italia»

Il ministro: tanti bergamaschi e bresciani tra i Mille. Gelo di An. D’Alema ed Epifani: referendum anti-devolution
 
ROMA - Nella battaglia della devolution si celebra la giornata di Umberto Bossi. E il «padre» della legge costituzionale, che trasferisce alle Regioni le competenze esclusive su sanità, scuola e polizia locale, non delude le attese. Perché pronuncia nell’Aula del Senato un discorso dagli accenti fortemente «padani» che non fa solo insorgere l’opposizione, ma che mette in imbarazzo anche gli alleati della maggioranza, a partire da Alleanza nazionale. Assente Silvio Berlusconi, che in un primo momento aveva espresso l’intenzione di presenziare.
«L’ITALIA L’HA UNITA IL NORD» - Il ministro per le Riforme può cominciare a parlare solo qualche minuto prima delle 18 perché fino a quel momento il centrosinistra fa ostruzionismo. Nonostante l’invito di Massimo D’Alema ad «evitarlo» e «favorire una rapida approvazione del provvedimento» per poi utilizzare l’articolo 138 «per appellarci al popolo con il referendum». Una soluzione che trova d’accordo il leader della Cgil Guglielmo Epifani: «Lo sosterremo». Ma quando Bossi comincia, sui banchi dell’opposizione, che sono più pieni di quelli della maggioranza, c’è grande attenzione. Prima si ferma a dire che le obiezioni di chi non vuole la devolution «sono simili a chi, alla fine degli anni Sessanta, contestava l’introduzione delle Regioni nel nostro ordinamento». Rassicura quindi che la nuova legge costituzionale «non vuole distruggere la solidarietà» e che «ogni catastrofismo è fuori luogo». Spiega, da ministro, che «si tratta di norme aggiuntive» e non «sostitutive» della Costituzione. Poi però, da leader del Carroccio, lancia un attacco a tutto campo contro «gli interventi intolleranti e razzisti contro il Nord» che a suo giudizio erano stati espressi in mattinata dall’opposizione: «Come se il Settentrione non avesse dato non dico una ma dieci mani al Sud del Paese». E qui colloca la sua lettura del Risorgimento: «È il Nord che ha unito l’Italia. I Mille erano soprattutto bergamaschi e bresciani». Infine, arriva l’apertura al Sud: «Oggi, accanto a Pontida e al Leone di San Marco si uniscono i Vespri Siciliani a chiedere il federalismo». L’opposizione insorge e rispedisce l’accusa al mittente: «E’ Bossi ad avere usato parole razziste».
L’IMBARAZZO DI AN - Quando Bossi passa all’esaltazione del ruolo svolto dal Nord durante il Risorgimento, si avverte il gelo sui banchi di An: nessun applauso. Anzi, qualcuno scuote la testa. E non solo Domenico Fisichella che già il giorno prima si era pronunciato contro. Si nota l’uscita dall’Aula di due senatori. Alla fine il capogruppo Domenico Nania, pur minimizzando («si tratta di una delle tante letture del Risorgimento»), non a caso rivendica il ruolo del suo partito nella coalizione: «Non c’è da preoccuparsi. Finchè c’è la destra non si corre alcun pericolo per l’unità d’Italia. E poi tutti sanno che il prossimo passo sarà il presidenzialismo». Riforma che Umberto Bossi colloca però dopo la nuova Consulta e il Senato delle Regioni. E sulla devolution arriva anche un avvertimento del ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu: «Il sistema di sicurezza è e rimarrà unitario e indivisibile». 


 
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