Con
la devolution daremo risposta alla richiesta di sicurezza dei cittadini
Non c’è da allarmarsi, non è la rottura dell’unità
nazionale, ma una crescita di efficienza
MILANO
- Divise uguali per tutti, un unico numero telefonico di tre cifre (come
il 113), nuovi mezzi operativi (compresi elicotteri per il controllo aereo
del territorio) e nuovi strumenti di difesa (a partire dallo spray al peperoncino
e dai manganelli, ma guai a chiamarli così: il termine tecnico è
«bastoni estensibili»). E soprattutto un coordinamento degli
ottomila vigili urbani lombardi guidato dal presidente della Regione e
formato da sindaci, prefetti e presidenti di Provincia. La Lombardia sta
già lavorando alla realizzazione della sua polizia regionale. «Per
ora attraverso innovazioni del tutto compatibili con quanto previsto dal
nuovo Titolo V della Costituzione e dalle leggi statali in vigore - dice
Roberto Formigoni - Ma con la devoluzione spingiamo perché si possa
compiere un ulteriore passo avanti per dare risposta alla forte richiesta
di sicurezza che viene dai cittadini».
Con
una nuova polizia regionale?
«Vedremo.
Comunque perché non riflettere su esperienze di Paesi simili al
nostro come la Spagna o la Germania? Noi riconosciamo che l’ordine pubblico
è di competenza dello Stato. Lo è oggi, lo sarà domani,
lo sarà sempre. Quello che vogliamo introdurre è il concetto
di sicurezza del territorio che si traduce nel trasformare i vigili in
agenti».
Qual
è la differenza?
«I
vigili vigilano, mentre gli agenti agiscono. Intendo dire che dobbiamo
assegnare alla polizia locale maggiori compiti, maggiori responsabilità:
non devono occuparsi soltanto delle multe, ma anche della sicurezza del
territorio e della sicurezza dei cittadini».
E
chi comanderà questo piccolo esercito di ottomila uomini armati?
«Io
dico che bisogna passare dal semplice coordinamento a una maggiore unità
e questo si può fare rispettando il ruolo dei sindaci e dei presidenti
di Provincia».
Lei
aveva proposto un referendum sul trasferimento alla Regione dei poteri
in materia di istruzione, sanità e polizia locale. Oggi si riconosce
nel disegno di legge Bossi?
«Chiedevo
quello che adesso chiedono Bossi e con lui tutta la Casa delle libertà.
Queste tre materie le avevamo individuate in Lombardia e le avevamo messe
nel nostro programma elettorale».
Forse
non tutta la Casa delle libertà è d’accordo, viste le perplessità
dei centristi. Per esempio sulla polizia locale Tabacci ha proposto un
emendamento per la «esclusione dei compiti di tutela dell’ordine
e della sicurezza pubblica». Che cosa ne pensa?
«Non
mi entusiasma. L’ordine pubblico rimane allo Stato, ma la sicurezza del
territorio con questa legge ce la attribuiamo noi. Vogliamo che le devoluzione
compia il suo iter, senza passi indietro rispetto al Titolo V. Lo dico
a chi fa gli emendamenti, ma anche a certa sinistra che grida allo scandalo».
E
degli appelli del presidente Ciampi che cosa dice?
«Il
capo dello Stato esprime esigenze che condivido e che non sono assolutamente
messe in discussione dalla devoluzione che vogliamo, quella alla quale
pensano la Lombardia e la Casa delle libertà».
Bossi
però non ha gradito.
«Non
c’è motivo di criticare il capo dello Stato, né c’è
da allarmarsi per la devoluzione: non è la rottura dell’unità
nazionale, non è il suo stravolgimento. Insomma, la devoluzione
non è rivoluzione, ma crescita di efficienza. E’ il primo passo».
Quelli
successivi?
«Insieme
con la devoluzione bisogna arrivare alla riforma e all’applicazione del
Titolo V. Contemporaneamente deve partire il federalismo fiscale. E deve
partire subito, in questi mesi. Poi la Camera delle Regioni o il Senato
federale e la nomina dei giudici della Corte Costituzionale con il contributo
delle Regioni. Ma il vero federalismo ci sarà soltanto con il pieno
federalismo fiscale. Altrimenti non sta in piedi».
ROMA
- L’Italia che vorrebbe Silvio Berlusconi. O, almeno, quella che sogna,
sulla quale sta orientando la sua «macchina da guerra». Da
qui a fine legislatura, ovviamente se nel frattempo non interverranno «incidenti
di percorso» nella Casa delle Libertà, oggi in forte fibrillazione.
In altre parole, quali riforme stanno dietro al «faremo» e
«approveremo», espresso martedì, a ritmo di carica,
durante la presentazione del nuovo libro di Bruno Vespa? E cosa pensa il
premier quando dice al presidente del Perù, Alejandro Toledo, che
«le riforme bisogna farle anche se si paga un prezzo politico»?
Come, appunto Toledo che ha perso alle amministrative che si sono svolte
nel suo Paese? Ovviamente i dettagli sono ancora da mettere a punto, ma
la traduzione del Berlusconi-pensiero è affidata a Sandro Bondi,
portavoce di Forza Italia, ma soprattutto fedele interprete dei suoi orientamenti.
E ne emerge un programma preciso, fatto di tappe successive per cambiare
l’attuale assetto istituzionale.
Al
primo punto ci sono la devolution e il federalismo. Nel senso che dovrebbero
essere, secondo Bondi, le due facce della stessa medaglia: «Occorre
prima di tutto trovare una sincronia fra il testo firmato da Bossi, attualmente
in discussione al Senato, e il disegno di legge del ministro La Loggia.
Più in generale occorrerà trovare una forma armonica delle
nuove norme, correggendo il federalismo del centrosinistra: se si continua
a parlare solo di devolution non si capisce bene dove si vuole arrivare».
Ma
dopo questa prima modifica costituzionale, che interverrà sulla
modifica approvata dal centrosinistra e confermata dal referendum dell’ottobre
2001, la seconda tappa riguarderà la Corte costituzionale: «Anche
il presidente uscente Ruperto ha ammesso che in futuro sarà importante,
per la sua composizione, il concorso delle Regioni». Che secondo
lo schema bossiano potrebbero scegliere 5 giudici, vale a dire un terzo
del totale.
Il
terzo appuntamento, immediatamente successivo, sarà quello con la
Camera delle Regioni: «Si tratta di un punto fondamentale. Il Senato
dovrà trasformarsi in una Camera dove le Regioni concorreranno all’approvazione
delle leggi. Potrebbe funzionare secondo il modello tedesco, cioè
con rappresentanti che portino in assemblea le indicazioni dei governi
locali».
La
quarta tappa, vale a dire la forma di governo, è certamente la più
importante. Berlusconi ha parlato di presidenzialismo, ma l’obiettivo potrebbe
essere centrato in due diversi modi: «Il presidenzialsmo era nei
nostri programmi già nel ’94». E, date le indicazioni fornite
dallo stesso premier martedì scorso, se si dovesse optare per questa
forma, sarebbe in pole position il modello francese. Spiega Bondi: «Dà
ampi poteri al presidente della Repubblica, compresa la scelta del primo
ministro». In quel caso non sarebbe necessario giungere ad una riforma
elettorale. Altrimenti, fa sapere il portavoce di Forza Italia, «sarebbe
sempre in corsa il modello alternativo, cioè il cancellierato alla
tedesca». In questo caso il bipolarismo sarebbe assicurato dal cambiamento
del sistema elettorale: «Proporzionale con sbarramento del 5 per
cento e premio di maggioranza, così come emergeva anche in una parte
del programma per le elezioni del 2001: ciò che sta a cuore a noi
è garantire l’alternanza, non importa se seguendo strade diverse».
E anche questa volta si capisce che la riforma elettorale, se arriverà,
sarà solo il fanalino di coda del nuovo assetto istituzionale, anche
se di importanza strategica fondamentale.
Ma
contemporaneamente, in modo parallelo o «con binario autonomo»,
per dirla con le parole di Bondi, si porterà avanti la madre di
tutte le riforme berlusconiane, vale a dire quella della giustizia: «La
maggioranza metterà a punto velocemente le sue proposte e le offrirà
come base di discussione all’opposizione». Cioè: separazione
delle carriere. Bondi auspica che all’apertura dei giorni scorsi operata
dal segretario dei Ds, Piero Fassino, seguano i fatti: «Si è
trattato di un gesto significativo. Siamo aperti al loro apporto».
Perché,
certo, il presidente del Consiglio ha detto che non darà più
alcun credito al centrosinistra e che le riforme le farà «contando
sui numeri della maggioranza». Bondi è d’accordo: «Ce
la faremo anche da soli». Ma aggiunge: «Senza l’apporto dell’opposizione
sarà però più difficile completare l’intero percorso
delle riforme istituzionali entro questa legislatura. Auspico quindi che,
non solo sulla giustizia, ma anche su tutto il resto ci sia un’apertura
da parte del centrosinistra e il necessario dialogo».
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