Riforme Istituzionali
Osservatorio sulla devolution
Rassegna stampa
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Devolution: dalla polizia locale di Formigoni ai grandi progetti di riforma di Berlusconi


 Corriere della sera   06-12-2002
 
Sì del Senato, la devolution fa il primo passo - Bossi: una giornata storica. L’opposizione: maggioranza sotto ricatto della Lega, a rischio l’unità dell’Italia
 
ROMA - Il Senato approva in prima lettura la legge sulla devolution con la quale si trasferiscono alle Regioni competenze esclusive in materia di sanità, istruzione e polizia locale. I sì sono stati 151, i no 89. Tra questi ultimi anche il vicepresidente del Senato Domenico Fisichella di An e il presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga. Antonio Del Pennino del Pri non ha partecipato allo scrutinio. Al momento del voto in aula - per sottolineare l’importanza dell’atto politico che stava per essere compiuto - il governo era rappresentato dal premier Silvio Berlusconi e ai suoi lati il padre del provvedimento e ministro per le Riforme, Umberto Bossi, il titolare dell’Economia Giulio Tremonti, il Guardasigilli, Roberto Castelli, il ministro per gli Affari Regionali Enrico La Loggia. Dopo questo primo via libera il testo dovrà superare altri tre passaggi parlamentari (due alla Camera e un terzo al Senato) per essere approvato in via definitiva. Adesso il testo approderà alla Camera. E in vista di quell’appuntamento l’esponente dell’Udc, Francesco D’Onofrio, che è stato relatore a Palazzo Madama, invita il centrosinistra al dialogo, a evitare cioè il muro contro muro adottato in Senato: «Noi vogliamo costruire un edificio anche con l’aiuto delle vostre mani». SODDISFAZIONE - Il voto di Palazzo Madama è accolto con soddisfazione dalla maggioranza che ha sostenuto compatta il progetto del Senatur . «Una giornata storica», la definisce Bossi. I primi a complimentarsi con lui sono Berlusconi e Tremonti. Opposto il giudizio della minoranza. «La verità - dice il diessino Gavino Angius - è che la Casa delle Libertà è sotto il ricatto politico di Bossi». Parole che confermano quanto aspro sia stato il confronto tra i due schieramenti. Ma ci sono stati anche momenti curiosi, come quello che ha visto protagonisti Domenico Nania (An) e Umberto Bossi. Il primo ha donato al leader della Lega la sua coccarda tricolore ricevendo in cambio il fazzoletto verde che è il «distintivo» dei parlamentari leghisti.
Il devolution-day si apre con il voto sugli ultimi emendamenti. Poi si passa alla discussione degli ordini del giorno. La maggioranza presenta un documento che D’Onofrio, uno dei quattro firmatari assieme a Schifani (Forza Italia), Nania (An) e Moro (Lega), definisce «l’interpretazione autentica» del disegno di legge bossiano e che il governo, per bocca del sottosegretario alle Riforme Aldo Brancher, fa proprio. In sostanza si specifica che le nuove norme introdotte nell’articolo 117 «non modificano le competenze esclusive dello Stato, su ordine pubblico e sicurezza; sulla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; sulle norme generali relative all’istruzione». E si sottolinea che la devolution non cancella alcuna delle «disposizioni precedenti». Inoltre si citano le parole di Bossi in difesa dell’unità nazionale pronunciate in Senato al termine della discussione generale.
DICHIARAZIONI - L’opposizione sceglie l’ex presidente del Senato, Nicola Mancino, per motivare il no. «La devolution - spiega - può essere causa della perdita della nostra identità nazionale, di egoismi territoriali e di caduta della solidarietà. Se la romanocentrica Italia è tagliata fuori dell’esercizio di un potere correttivo, la diseguaglianza che già c’è sarebbe destinata ad approfondirsi». Mancino difende la riforma del Titolo V della Costituzione voluta dall’Ulivo. Invita inoltre a evitare «forzature» e bolla come «velleitarie» le modifiche proposte dalla Casa delle Libertà. E poi, rivolgendosi a Berlusconi che nei giorni scorsi ha garantito che non è in discussione l’unità del Paese, Mancino gli dice: «Ci consentirà il presidente del Consiglio di affermare che noi preferiamo la garanzia della carta scritta, della nostra Costituzione».
La maggioranza ribadisce le sue ragioni. Schifani di Forza Italia osserva che «la Casa delle Libertà ha rimediato al caos istituzionale causato dalla riforma dell’Ulivo, che ha aumentato del 500 per cento i conflitti di attribuzione presso la Corte costituzionale». Il leghista Francesco Moro bolla come «demagoghi e ciarlatani» coloro che criticano la devolution. Nania di An giustifica il progetto governativo e difende i leghisti: «Bossi ha fatto il suo dovere e ha proposto un federalismo unitario. Quello del centrosinistra invece costituiva la via parlamentare alla secessione».
APPLAUSI - Ma non tutti nel suo partito condividono queste affermazioni. Fisichella si dissocia e dice tra gli applausi dell’Ulivo: «Io non scambierei mai una coccarda tricolore con un fazzoletto...». Anche Francesco Cossiga vota contro, giudicando il progetto del Senatur «un imbroglio, un pasticciaccio brutto all’italiana, espressione di un inganno, di una truffa semantica, di una dissennata e irresponsabile concorrenza fra centrodestra e centrosinistra sul terreno della demagogia dell’inganno federalista». Poi, allontanandosi dall’aula, incrocia il diessino Bassanini e col dito puntato gli dice: «Caro Franco, è tutta colpa tua...».
Lorenzo Fuccaro


Corriere della sera   06-12-2002
 
Formigoni: sì alla polizia regionale - Coordineremo 8.000 vigili urbani

Con la devolution daremo risposta alla richiesta di sicurezza dei cittadini Non c’è da allarmarsi, non è la rottura dell’unità nazionale, ma una crescita di efficienza
 
MILANO - Divise uguali per tutti, un unico numero telefonico di tre cifre (come il 113), nuovi mezzi operativi (compresi elicotteri per il controllo aereo del territorio) e nuovi strumenti di difesa (a partire dallo spray al peperoncino e dai manganelli, ma guai a chiamarli così: il termine tecnico è «bastoni estensibili»). E soprattutto un coordinamento degli ottomila vigili urbani lombardi guidato dal presidente della Regione e formato da sindaci, prefetti e presidenti di Provincia. La Lombardia sta già lavorando alla realizzazione della sua polizia regionale. «Per ora attraverso innovazioni del tutto compatibili con quanto previsto dal nuovo Titolo V della Costituzione e dalle leggi statali in vigore - dice Roberto Formigoni - Ma con la devoluzione spingiamo perché si possa compiere un ulteriore passo avanti per dare risposta alla forte richiesta di sicurezza che viene dai cittadini».
Con una nuova polizia regionale?
«Vedremo. Comunque perché non riflettere su esperienze di Paesi simili al nostro come la Spagna o la Germania? Noi riconosciamo che l’ordine pubblico è di competenza dello Stato. Lo è oggi, lo sarà domani, lo sarà sempre. Quello che vogliamo introdurre è il concetto di sicurezza del territorio che si traduce nel trasformare i vigili in agenti».
Qual è la differenza?
«I vigili vigilano, mentre gli agenti agiscono. Intendo dire che dobbiamo assegnare alla polizia locale maggiori compiti, maggiori responsabilità: non devono occuparsi soltanto delle multe, ma anche della sicurezza del territorio e della sicurezza dei cittadini».
E chi comanderà questo piccolo esercito di ottomila uomini armati?
«Io dico che bisogna passare dal semplice coordinamento a una maggiore unità e questo si può fare rispettando il ruolo dei sindaci e dei presidenti di Provincia».
Lei aveva proposto un referendum sul trasferimento alla Regione dei poteri in materia di istruzione, sanità e polizia locale. Oggi si riconosce nel disegno di legge Bossi?
«Chiedevo quello che adesso chiedono Bossi e con lui tutta la Casa delle libertà. Queste tre materie le avevamo individuate in Lombardia e le avevamo messe nel nostro programma elettorale».
Forse non tutta la Casa delle libertà è d’accordo, viste le perplessità dei centristi. Per esempio sulla polizia locale Tabacci ha proposto un emendamento per la «esclusione dei compiti di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica». Che cosa ne pensa?
«Non mi entusiasma. L’ordine pubblico rimane allo Stato, ma la sicurezza del territorio con questa legge ce la attribuiamo noi. Vogliamo che le devoluzione compia il suo iter, senza passi indietro rispetto al Titolo V. Lo dico a chi fa gli emendamenti, ma anche a certa sinistra che grida allo scandalo».
E degli appelli del presidente Ciampi che cosa dice?
«Il capo dello Stato esprime esigenze che condivido e che non sono assolutamente messe in discussione dalla devoluzione che vogliamo, quella alla quale pensano la Lombardia e la Casa delle libertà».
Bossi però non ha gradito.
«Non c’è motivo di criticare il capo dello Stato, né c’è da allarmarsi per la devoluzione: non è la rottura dell’unità nazionale, non è il suo stravolgimento. Insomma, la devoluzione non è rivoluzione, ma crescita di efficienza. E’ il primo passo».
Quelli successivi?
«Insieme con la devoluzione bisogna arrivare alla riforma e all’applicazione del Titolo V. Contemporaneamente deve partire il federalismo fiscale. E deve partire subito, in questi mesi. Poi la Camera delle Regioni o il Senato federale e la nomina dei giudici della Corte Costituzionale con il contributo delle Regioni. Ma il vero federalismo ci sarà soltanto con il pieno federalismo fiscale. Altrimenti non sta in piedi».

Claudio Schirinzi


Corriere della sera   05-12-2002
 
Presidenziale, federale e con una giustizia riformata: la nuova Repubblica di Berlusconi

ROMA - L’Italia che vorrebbe Silvio Berlusconi. O, almeno, quella che sogna, sulla quale sta orientando la sua «macchina da guerra». Da qui a fine legislatura, ovviamente se nel frattempo non interverranno «incidenti di percorso» nella Casa delle Libertà, oggi in forte fibrillazione. In altre parole, quali riforme stanno dietro al «faremo» e «approveremo», espresso martedì, a ritmo di carica, durante la presentazione del nuovo libro di Bruno Vespa? E cosa pensa il premier quando dice al presidente del Perù, Alejandro Toledo, che «le riforme bisogna farle anche se si paga un prezzo politico»? Come, appunto Toledo che ha perso alle amministrative che si sono svolte nel suo Paese? Ovviamente i dettagli sono ancora da mettere a punto, ma la traduzione del Berlusconi-pensiero è affidata a Sandro Bondi, portavoce di Forza Italia, ma soprattutto fedele interprete dei suoi orientamenti. E ne emerge un programma preciso, fatto di tappe successive per cambiare l’attuale assetto istituzionale.
Al primo punto ci sono la devolution e il federalismo. Nel senso che dovrebbero essere, secondo Bondi, le due facce della stessa medaglia: «Occorre prima di tutto trovare una sincronia fra il testo firmato da Bossi, attualmente in discussione al Senato, e il disegno di legge del ministro La Loggia. Più in generale occorrerà trovare una forma armonica delle nuove norme, correggendo il federalismo del centrosinistra: se si continua a parlare solo di devolution non si capisce bene dove si vuole arrivare».
Ma dopo questa prima modifica costituzionale, che interverrà sulla modifica approvata dal centrosinistra e confermata dal referendum dell’ottobre 2001, la seconda tappa riguarderà la Corte costituzionale: «Anche il presidente uscente Ruperto ha ammesso che in futuro sarà importante, per la sua composizione, il concorso delle Regioni». Che secondo lo schema bossiano potrebbero scegliere 5 giudici, vale a dire un terzo del totale.
Il terzo appuntamento, immediatamente successivo, sarà quello con la Camera delle Regioni: «Si tratta di un punto fondamentale. Il Senato dovrà trasformarsi in una Camera dove le Regioni concorreranno all’approvazione delle leggi. Potrebbe funzionare secondo il modello tedesco, cioè con rappresentanti che portino in assemblea le indicazioni dei governi locali».
La quarta tappa, vale a dire la forma di governo, è certamente la più importante. Berlusconi ha parlato di presidenzialismo, ma l’obiettivo potrebbe essere centrato in due diversi modi: «Il presidenzialsmo era nei nostri programmi già nel ’94». E, date le indicazioni fornite dallo stesso premier martedì scorso, se si dovesse optare per questa forma, sarebbe in pole position il modello francese. Spiega Bondi: «Dà ampi poteri al presidente della Repubblica, compresa la scelta del primo ministro». In quel caso non sarebbe necessario giungere ad una riforma elettorale. Altrimenti, fa sapere il portavoce di Forza Italia, «sarebbe sempre in corsa il modello alternativo, cioè il cancellierato alla tedesca». In questo caso il bipolarismo sarebbe assicurato dal cambiamento del sistema elettorale: «Proporzionale con sbarramento del 5 per cento e premio di maggioranza, così come emergeva anche in una parte del programma per le elezioni del 2001: ciò che sta a cuore a noi è garantire l’alternanza, non importa se seguendo strade diverse». E anche questa volta si capisce che la riforma elettorale, se arriverà, sarà solo il fanalino di coda del nuovo assetto istituzionale, anche se di importanza strategica fondamentale.
Ma contemporaneamente, in modo parallelo o «con binario autonomo», per dirla con le parole di Bondi, si porterà avanti la madre di tutte le riforme berlusconiane, vale a dire quella della giustizia: «La maggioranza metterà a punto velocemente le sue proposte e le offrirà come base di discussione all’opposizione». Cioè: separazione delle carriere. Bondi auspica che all’apertura dei giorni scorsi operata dal segretario dei Ds, Piero Fassino, seguano i fatti: «Si è trattato di un gesto significativo. Siamo aperti al loro apporto».
Perché, certo, il presidente del Consiglio ha detto che non darà più alcun credito al centrosinistra e che le riforme le farà «contando sui numeri della maggioranza». Bondi è d’accordo: «Ce la faremo anche da soli». Ma aggiunge: «Senza l’apporto dell’opposizione sarà però più difficile completare l’intero percorso delle riforme istituzionali entro questa legislatura. Auspico quindi che, non solo sulla giustizia, ma anche su tutto il resto ci sia un’apertura da parte del centrosinistra e il necessario dialogo».

R. Zuc.

 
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