La prima riguarda la natura stessa del referendum consultivo. È sempre opportuno che, quando vengono chiamati a votare, i cittadini contino, dunque decidano e non si limitino soltanto a dare un parere. Questa obiezione, però, non intacca affatto gli obiettivi che la Regione Lombardia persegue. Infatti, è evidente il cospicuo e voluto effetto propagandistico che seguirebbe anche da un referendum consultivo. Ed è questo effetto che il centro-sinistra, incamminatosi controvoglia sul percorso federale, teme. La seconda obiezione riguarda le materie prescelte per ottenere l’approvazione degli elettori. Sanità, istruzione anche professionale e polizia locale sono, come ha subito rilevato Massimo Cacciari, materie esplicitamente previste dall’articolo 117 della Costituzione sulle quali le regioni possono già fin d’ora legiferare. Dunque, i governanti della Lombardia finirebbero per chiedere ai loro elettori se vogliono che esercitino poteri di cui già dispongono. In questa prospettiva, il referendum si configura come sostanzialmente inutile sia perché non accresce i poteri della Regione Lombardia rispetto allo Stato sia perché i cittadini non possono affatto conferire poteri aggiuntivi ai loro governanti.
In sintesi, il referendum lombardo è plausibilmente costituzionale, molto propagandistico e sostanzialmente inutile. Tuttavia, chi pensa che in politica conti soltanto la sostanza si sbaglia. Fra l’altro, tutta la tematica federalista, fin da quando Bossi cominciò ad agitarla e la sinistra cadde nel tranello, ha avuto una pesantissima componente simbolica. Oggi, in Italia quasi nessuno osa dichiararsi contrario al federalismo poiché "federalista" è diventato sinonimo di buono come "centralista" viene considerato sinonimo di cattivo, ma pochi sanno che cosa è il federalismo. Per esempio, il federalismo non è, naturalmente, la devolution, cioè la concessione di poteri dall’alto, dallo Stato centrale, che decide quali e quanti poteri, alle autonomie locali. Federalismo non è neppure quello che cercano di fare con i referendum consultivi le regioni del Nord, neanche troppo convinte e troppo unite in materia. È, al contrario, quel faticoso, complicato, costoso e controverso processo di limitazione e di cessione della sovranità nazionale che riguarda gli Stati-membri nei confronti dell’Unione Europea.
Il vero federalismo nasce dal basso e va verso l’alto per creare una entità superiore che governi meglio, che produca maggiore prosperità e consenta maggiore sicurezza. Il federalismo non si caratterizza come una serie di tentativi di strappare poteri allo Stato centrale al quale, poi, dovrebbe spettare di intervenire per rimediare alle incapacità dei federalisti inadeguati. Forse, il dibattito su proposte e soluzioni dovrebbe accettare una pausa di riflessione e poi ripartire meglio impostato, magari senza che nessuno si dimentichi che uno Stato federale gode sempre della esistenza di una seconda Camera di varia composizione che rappresenta il territorio (e non i partiti) e che si può avere una migliore ripartizione di poteri, competenze e risorse anche senza avere il federalismo, ma conseguendo il buongoverno. Comunque, le provocazioni possono anche servire. Quello che non serve è, da un lato, fare soltanto propaganda, più o meno folcloristica, per di più costosa, dall’altro, respingere qualsiasi proposta, anche le più propagandistiche, sull’unico terreno di una dubbia interpretazione della Costituzione, senza preoccuparsi di formulare controproposte e di dimostrare altrettanta capacità di mobilitazione politica. Altrimenti, come è già successo in molte materie istituzionali, sarà soltanto "molto rumore per nulla".
Con l'articolo pubblicato il 20 settembre 2000 da Il Sole 24 Ore,
Gianfranco Pasquino affronta la questione del referendum consultivo approvato
dalla Regione Lombardia con "incredibile" superficialità. Sono sufficienti
poche battute, infatti, per liquidare tutti gli argomenti a sostegno della
tesi dell'anticostituzionalità dell'iniziativa referendaria lombarda.
"Se il referendum consultivo è previsto," scrive Pasquino
"come effettivamente è, dallo Statuto della Regione Lombardia, quel
referendum non può essere dichiarato incostituzionale, ... anche
perché l’approvazione degli Statuti regionali è stata data
a suo tempo dal Parlamento senza obiezioni della Corte costituzionale".
Dalla considerazione espressa da Gianfranco Pasquino, quindi, il lettore
poco informato sulle questioni di diritto costituzionale potrebbe essere
indotto a credere che in Italia esista una qualche forma di controllo preventivo
di costituzionalità delle leggi dello Stato; oppure che la Corte
Costituzionale possa, di sua iniziativa, permettersi obiezioni e, quindi,
intervenire. Per cui ne dovrebbe discendere, sempre seguendo il filo logico
espresso da Pasquino, che tutte le leggi dello Stato e delle Regioni siano,
laddove la Corte Costituzionale non abbia espresso obiezioni, "certamente"
costituzionali.
Nulla di più sbagliato e immediatamente smentito dalle tante
sentenze di illegittimità costituzionale di leggi approvate, in
vigore, e soltanto successivamente, a distanza di anni, giudicate dalla
Corte Costituzionale.
Questa semplice constatazione dovrebbe essere, di per sé, più
che sufficiente per evidenziare la superficialità con la quale i
cosiddetti esperti affrontano la delicata questione del rispetto
dei principi e delle garanzie costituzionali.
Una superficialità che non ha motivo di essere sottaciuta vista
l'impossibilità di poter fraintendere il dettato costituzionale.
Come si può infatti leggere dall'art. 137 della Costituzione,
Una legge costituzionale stabilisce le condizioni, le forme, i termini
di proponibilità dei giudizi di legittimità costituzionale...
E come rileva V. Crisafulli (pag. 262 “Lezioni di diritto costituzionale
- II” - Ed. CEDAM, 1989):“ ... quella legge costituzionale avrebbe anche
potuto - in ipotesi - optare per un sistema di sindacato, oltre che accentrato,
azionato dietro impugnativa diretta, ossia con ricorso. E il potere di
ricorso, a sua volta, avrebbe potuto, in ipotesi, spettare a qualsiasi
cittadino; ovvero soltanto a coloro che vantassero uno speciale e personale
interesse giuridicamente protetto; od anche ad un apposito organo pubblico,
congegnato secondo lo schema di un «pubblico ministero» presso
la Corte.
Ma così non è avvenuto, la legge cost. del 9/2/48
- Nº1 ... nel suo art. I, ha adottato, invece, quello (come
sistema generale d'applicazione - N.d.R.) dell'accesso alla Corte «in
via incidentale», vale a dire nel corso di un comune giudizio (civile,
penale od amministrativo).
Non soltanto, cioè, per poter impugnare una legge, bisogna
attenderla «al varco», per così esprimersi, di un giudizio
qualsiasi, nel quale si abbia a farne applicazione, ma si richiede per
di più che la questione di costituzionalità, insorta nel
corso del giudizio, non sia ritenuta dal giudice che di questo è
investito «manifestamente infondata».”
A questo rigido meccanismo di attivazione, certamente insufficiente,
si debbono poi aggiungere quelli previsti dagli art. 123 e 127, su iniziativa
del Governo (ma potrebbe anche darsi il caso che il Governo possa decidere,
per fini di opportunità politica, di non ricorrere), avverso l'approvazione,
da parte delle regioni, degli statuti e delle leggi regionali.
Bisogna però ricordare che in precedenza l'art. 123 non prevedeva
il ricorso del Governo davanti alla Corte Costituzionale per presunta illegittimità
costituzionale degli Statuti, bensì l'approvazione di questi con
legge dello Stato. Ma per l'appunto, come per tutte le leggi dello Stato,
anche gli Statuti regionali ricadono nella sfera degli atti legislativi
soggetti a controllo di costituzionalità, quando se ne determini
la circostanza, secondo quanto affermato dall'art. 134 della Costituzione:
La Corte Costituzionale giudica:
sulle controversie relative alla legittimità costituzionale
delle leggi e degli atti, aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni;
...
22 settembre 2000 - Franco Ragusa