Riforme Istituzionali
Osservatorio sulla devolution
 
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Senza entrare nel merito delle opinioni politiche espresse nell'articolo, il curatore di queste pagine ritiene sia doveroso segnalare, a fine lettura, l'incredibile superficialità con la quale Gianfranco Pasquino ha cercato di liquidare la questione di legittimità costituzionale del referendum consultivo approvato dalla Regione Lombardia.
 
Il Sole 24 Ore - 20/09/2000
 
Provocazione legittima (ma di fatto inutile)
 
di Gianfranco Pasquino
Molto rumore molto federalismo? La Lombardia di Formigoni sembra avere prescelto la strategia d’urto e la prova di forza e la sinistra di Amato-Veltroni e anche il "Coordinatore del Nord", Pietro Folena, sono subito precipitati nella trappola. Se il referendum consultivo è previsto, come effettivamente è, dallo Statuto della Regione Lombardia, quel referendum non può essere dichiarato incostituzionale, nonostante le finissime argomentazioni di Enrico De Mita (che, in realtà, sembra obiettare, non da oggi, contro tutti i tipi di referendum: si veda «Il Sole-24 Ore» del 19 settembre) anche perché l’approvazione degli Statuti regionali è stata data a suo tempo dal Parlamento senza obiezioni della Corte costituzionale. Tuttavia, si possono avere due obiezioni politicamente rilevanti nei confronti del referendum consultivo lombardo.

La prima riguarda la natura stessa del referendum consultivo. È sempre opportuno che, quando vengono chiamati a votare, i cittadini contino, dunque decidano e non si limitino soltanto a dare un parere. Questa obiezione, però, non intacca affatto gli obiettivi che la Regione Lombardia persegue. Infatti, è evidente il cospicuo e voluto effetto propagandistico che seguirebbe anche da un referendum consultivo. Ed è questo effetto che il centro-sinistra, incamminatosi controvoglia sul percorso federale, teme. La seconda obiezione riguarda le materie prescelte per ottenere l’approvazione degli elettori. Sanità, istruzione anche professionale e polizia locale sono, come ha subito rilevato Massimo Cacciari, materie esplicitamente previste dall’articolo 117 della Costituzione sulle quali le regioni possono già fin d’ora legiferare. Dunque, i governanti della Lombardia finirebbero per chiedere ai loro elettori se vogliono che esercitino poteri di cui già dispongono. In questa prospettiva, il referendum si configura come sostanzialmente inutile sia perché non accresce i poteri della Regione Lombardia rispetto allo Stato sia perché i cittadini non possono affatto conferire poteri aggiuntivi ai loro governanti.

In sintesi, il referendum lombardo è plausibilmente costituzionale, molto propagandistico e sostanzialmente inutile. Tuttavia, chi pensa che in politica conti soltanto la sostanza si sbaglia. Fra l’altro, tutta la tematica federalista, fin da quando Bossi cominciò ad agitarla e la sinistra cadde nel tranello, ha avuto una pesantissima componente simbolica. Oggi, in Italia quasi nessuno osa dichiararsi contrario al federalismo poiché "federalista" è diventato sinonimo di buono come "centralista" viene considerato sinonimo di cattivo, ma pochi sanno che cosa è il federalismo. Per esempio, il federalismo non è, naturalmente, la devolution, cioè la concessione di poteri dall’alto, dallo Stato centrale, che decide quali e quanti poteri, alle autonomie locali. Federalismo non è neppure quello che cercano di fare con i referendum consultivi le regioni del Nord, neanche troppo convinte e troppo unite in materia. È, al contrario, quel faticoso, complicato, costoso e controverso processo di limitazione e di cessione della sovranità nazionale che riguarda gli Stati-membri nei confronti dell’Unione Europea.

Il vero federalismo nasce dal basso e va verso l’alto per creare una entità superiore che governi meglio, che produca maggiore prosperità e consenta maggiore sicurezza. Il federalismo non si caratterizza come una serie di tentativi di strappare poteri allo Stato centrale al quale, poi, dovrebbe spettare di intervenire per rimediare alle incapacità dei federalisti inadeguati. Forse, il dibattito su proposte e soluzioni dovrebbe accettare una pausa di riflessione e poi ripartire meglio impostato, magari senza che nessuno si dimentichi che uno Stato federale gode sempre della esistenza di una seconda Camera di varia composizione che rappresenta il territorio (e non i partiti) e che si può avere una migliore ripartizione di poteri, competenze e risorse anche senza avere il federalismo, ma conseguendo il buongoverno. Comunque, le provocazioni possono anche servire. Quello che non serve è, da un lato, fare soltanto propaganda, più o meno folcloristica, per di più costosa, dall’altro, respingere qualsiasi proposta, anche le più propagandistiche, sull’unico terreno di una dubbia interpretazione della Costituzione, senza preoccuparsi di formulare controproposte e di dimostrare altrettanta capacità di mobilitazione politica. Altrimenti, come è già successo in molte materie istituzionali, sarà soltanto "molto rumore per nulla".



 
Nota critica all'articolo.

Con l'articolo pubblicato il 20 settembre 2000 da Il Sole 24 Ore, Gianfranco Pasquino affronta la questione del referendum consultivo approvato dalla Regione Lombardia con "incredibile" superficialità. Sono sufficienti poche battute, infatti, per liquidare tutti gli argomenti a sostegno della tesi dell'anticostituzionalità dell'iniziativa referendaria lombarda.
"Se il referendum consultivo è previsto," scrive Pasquino "come effettivamente è, dallo Statuto della Regione Lombardia, quel referendum non può essere dichiarato incostituzionale, ... anche perché l’approvazione degli Statuti regionali è stata data a suo tempo dal Parlamento senza obiezioni della Corte costituzionale".
 
Dalla considerazione espressa da Gianfranco Pasquino, quindi, il lettore poco informato sulle questioni di diritto costituzionale potrebbe essere indotto a credere che in Italia esista una qualche forma di controllo preventivo di costituzionalità delle leggi dello Stato; oppure che la Corte Costituzionale possa, di sua iniziativa, permettersi obiezioni e, quindi, intervenire. Per cui ne dovrebbe discendere, sempre seguendo il filo logico espresso da Pasquino, che tutte le leggi dello Stato e delle Regioni siano, laddove la Corte Costituzionale non abbia espresso obiezioni, "certamente" costituzionali.

Nulla di più sbagliato e immediatamente smentito dalle tante sentenze di illegittimità costituzionale di leggi approvate, in vigore, e soltanto successivamente, a distanza di anni, giudicate dalla Corte Costituzionale.
Questa semplice constatazione dovrebbe essere, di per sé, più che sufficiente per evidenziare la superficialità con la quale i cosiddetti esperti affrontano la delicata questione del rispetto dei principi e delle garanzie costituzionali.
Una superficialità che non ha motivo di essere sottaciuta vista l'impossibilità di poter fraintendere il dettato costituzionale.

Come si può infatti leggere dall'art. 137 della Costituzione, Una legge costituzionale stabilisce le condizioni, le forme, i termini di proponibilità dei giudizi di legittimità costituzionale...
E come rileva V. Crisafulli (pag. 262 “Lezioni di diritto costituzionale - II” - Ed. CEDAM, 1989):“ ... quella legge costituzionale avrebbe anche potuto - in ipotesi - optare per un sistema di sindacato, oltre che accentrato, azionato dietro impugnativa diretta, ossia con ricorso. E il potere di ricorso, a sua volta, avrebbe potuto, in ipotesi, spettare a qualsiasi cittadino; ovvero soltanto a coloro che vantassero uno speciale e personale interesse giuridicamente protetto; od anche ad un apposito organo pubblico, congegnato secondo lo schema di un «pubblico ministero» presso la Corte.
Ma così non è avvenuto, la legge cost. del 9/2/48 - Nº1 ... nel suo art. I, ha adottato, invece, quello (come sistema generale d'applicazione - N.d.R.) dell'accesso alla Corte «in via incidentale», vale a dire nel corso di un comune giudizio (civile, penale od amministrativo).
Non soltanto, cioè, per poter impugnare una legge, bisogna attenderla «al varco», per così esprimersi, di un giudizio qualsiasi, nel quale si abbia a farne applicazione, ma si richiede per di più che la questione di costituzionalità, insorta nel corso del giudizio, non sia ritenuta dal giudice che di questo è investito «manifestamente infondata».
 
A questo rigido meccanismo di attivazione, certamente insufficiente, si debbono poi aggiungere quelli previsti dagli art. 123 e 127, su iniziativa del Governo (ma potrebbe anche darsi il caso che il Governo possa decidere, per fini di opportunità politica, di non ricorrere), avverso l'approvazione, da parte delle regioni, degli statuti e delle leggi regionali.
Bisogna però ricordare che in precedenza l'art. 123 non prevedeva il ricorso del Governo davanti alla Corte Costituzionale per presunta illegittimità costituzionale degli Statuti, bensì l'approvazione di questi con legge dello Stato. Ma per l'appunto, come per tutte le leggi dello Stato, anche gli Statuti regionali ricadono nella sfera degli atti legislativi soggetti a controllo di costituzionalità, quando se ne determini la circostanza, secondo quanto affermato dall'art. 134 della Costituzione:
La Corte Costituzionale giudica:
sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti, aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni;
...
 
22 settembre 2000 - Franco Ragusa
 

 

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