Riforme Istituzionali
Osservatorio sulla devolution
 
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Roma, 5 novembre 2000

Referendum consultivi per la devolution: un voto per il federalismo o per aumentare le divisioni? 
 

La polemica politica intorno alle iniziative d'indizione di referendum consultivi sui temi della devolution, portate avanti delle regioni governate dall'alleanza Polo-Lega, ha ormai assunto i connotati della farsa.
Volendo infatti tentare di trarre delle conclusioni sulla base delle dichiarazioni dei favorevoli allo svolgimento di questi referendum, si ha come l'impressione che questi referendum siano la condizione - indispensabile - per poter avviare un processo di riforma di tipo federale del paese.
Nulla di più errato.
In primo luogo è bene sottolineare che non esiste, allo stato attuale, una proposta di legge, dicasi una, che possa essere sottoposta al vaglio dei cittadini che con questi referendum verrebbero chiamati ad esprimersi.
Dai quesiti deliberati, per legge nella regione Veneto e con semplice atto amministrativo nelle regioni Lombardia e Piemonte, non è infatti possibile risalire  all'eventuale percorso legislativo (la proposta di legge da presentare alle Camere) attraverso il quale realizzare il trasferimento di funzioni dallo Stato alle Regioni.
In altre parole, attraverso questi referendum si chiede una delega in bianco agli elettori senza specificare loro se si passerà da un centralismo statale ad un centralismo regionale o quant'altro.
In un paese normale ciò dovrebbe essere più che sufficiente per evidenziare la strumentalità dell'iniziativa, tesa soltanto ad attribuire al ceto politico del centrodestra una presunta legittimazione popolare a portare avanti determinate proposte (ancora oscure viste le divisioni interne all'alleanza Polo-Lega) piuttosto che altre.
Fatta questa prima premessa, che da sola dovrebbe bastare per togliere ogni dignità politica alle iniziative referendarie in discussione, vi sono poi considerazioni di ordine giuridico-costituzionali che non possono cadere in secondo piano.

In primo luogo è facile rilevare come, di fronte ad atti delle regioni produttivi di medesimi effetti, vi sia un diverso regime di controlli: per la legge della regione Veneto è infatti sufficiente che il Governo ricorra alla Corte Costituzionale, nel caso di riapprovazione della stessa legge da parte della regione, per attivare il controllo di costituzionalità; per le deliberazioni delle regioni Lombardia e Piemonte si dovrà invece percorrere la difficile strada del ricorso al giudice amministrativo per tentare di tutelare le medesime garanzie costituzionali.
Per questo evidente aggiramento del sistema delle garanzie, l'Associazione Progetto Diritti ha già rivolto un appello ad intervenire alle forze politiche promuovendo una proposta d'interpellanza parlamentare; proposta raccolta dai senatori Russo Spena, Cò e Crippa e rispetto alla quale il Governo non si è ancora pronunciato.

Dalla povertà del dibattito in corso, infine, emerge la necessità di "ricordare" le ragioni, di ordine costituzionale, per le quali questi referendum sono da considerare lesivi dei diritti del corpo elettorale nel suo complesso.
In tutti gli ordinamenti democratici non esiste alcuna possibilità che riguardo a questioni d'interesse generale possano pronunciarsi soltanto alcuni settori, quale che sia il metodo di selezione, dell'elettorato. Per le questioni di carattere unitario sono infatti indispensabili procedure e modi da seguire al fine di garantire che sia l'unitarietà del corpo elettorale a decidere (attraverso gli appositi organi legislativi ed, eventualmente, con i meccanismi di consultazione referendaria previsti), il tutto in assenza di indebite pressioni in grado di condizionare i processi legislativi.
E' questa, in sostanza, la ragione per la quale nel '92 la Corte Costituzionale ha già dichiarato illegittima un'analoga legge regionale del Veneto d'indizione di referendum consultivo.
Cosa sia cambiato d'allora, in relazione agli interessi nazionali coinvolti e alla necessità di garantire una corretta dialettica democratica fra le diverse posizioni, è cosa che sfugge alla nostra comprensione, ed è per questo che, unitamente ad altre associazioni, tenteremo tutte le strade possibili, in primo luogo ricorrendo ai T.A.R. di Lombardia e Piemonte, per impedire ai demagoghi di turno di calpestare le più elementari regole di convivenza democratica.

Associazione Progetto Diritti

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