Riforme Istituzionali
Osservatorio sulla devolution
Rassegna stampa
www.riforme.net

 Corriere della sera   08-04-2003
 
Devolution, sì alla riforma con il «salvapatria»

Accordo nella maggioranza, di pari passo i cambiamenti alla legge federalista dell’Ulivo
 
ROMA - E’ iniziata con un Umberto Bossi ombroso che, nell’esame del testo La Loggia - quello che modifica il Titolo V della Costituzione - ha puntato il dito praticamente su tutto: «Questa dichiarazione sull’"interesse nazionale" e qui, dove si dice che lo Stato garantisce la tutela dei diritti e dei doveri della prima parte della Costituzione, non mi stanno tanto bene: rischiano di far impantanare tutto, fanno sì che la Corte Costituzionale possa impicciarsi di tutto. E vedo passi indietro sui poteri delle Regioni... E poi questa "Roma Capitale": ci fa perdere voti a Nord». «Sì, magari a Bussolengo, ma ce ne fa guadagnare milioni a Roma», ha ribattuto il ministro Buttiglione. E Fini, gelido: «Sulla difesa dell’interesse nazionale non c’è discussione». E’ proseguita con un Giulio Tremonti che ha trovato una soluzione tecnica gradita a tutti, con gli esperti La Loggia, D’Onofrio e Nania a illustrare nei particolari il testo e con Silvio Berlusconi a mediare, smussare: «Ma guardate che remiamo tutti nella stessa direzione: vogliamo una riforma che sia percepita con chiarezza dagli elettori, non come quella dell’Ulivo, e che regga al referendum, che rimedi ai guasti della riforma dell’Ulivo. Quindi non dividiamoci sulle virgole!».

E’ finita con Bossi che avvertiva gli alleati: «Mi raccomando la prossima settimana, vi voglio presenti al voto sulla devoluzione», e con Berlusconi che ammoniva: «Tranquillo, ci saranno tutti: dopo la Gasparri credo sia stata imparata la lezione...». E’ finita insomma con un’intesa, che fa esultare il premier: «Tutto a posto, ho messo d’accordo Lega e Udc - dice al termine del vertice di maggioranza su devolution e federalismo -. Entro un anno avremo la riforma compiuta».
L’accordo è stato faticosamente raggiunto su queste basi: la devoluzione, che doveva approdare alla Camera oggi, verrà votata la prossima settimana; il disegno di legge complessivo di riforma del Titolo V, che centristi e An chiedevano contestuale alla devoluzione, verrà varato dal Consiglio dei ministri venerdì; i due provvedimenti - così spera Berlusconi - seguiranno binari paralleli ma alla fine la devoluzione sarà incorporata dalla riforma del Titolo V, anche per far sì che l’eventuale referendum sia uno solo.
Ed è vero che alla fine tutti portano un risultato a casa: Bossi il voto sulla devoluzione in tempi brevissimi, che gli permette di arrivare a Pontida e alle amministrative con una bandiera da sventolare; Follini, Buttiglione e Fini il via libera alla riforma del titolo V che reinserisce la «clausola salva-Italia» e di fatto «annacqua», come dicono nell’Udc, la devolution; Berlusconi incassa la pace, o la tregua, tra i suoi alleati. E può dire che dopo «contatti telefonici nel week end con gli alleati» anche sulle amministrative l’accordo è «ormai fatto»: non è proprio così (Bossi corre da solo a Brescia, a Pescara e a Catania l’intesa non è ancora siglata), ma il premier è già in campagna elettorale. Oggi sarà a Brescia, giovedì a Pescara. 
Paola Di Caro

 
La Stampa   08-04-2003
 
Devolution, intesa nel Polo tra Bossi e i centristi
Il governo presenterà una modifica alla Costituzione sul federalismo
 
Si son lasciati convinti, ciascuno, di essere stato il più astuto. Umberto Bossi, perché incasserà entro Pasqua la devolution, che gli serve come trofeo da esibire nelle valli del Nord. I centristi, in quanto possono sostenere che (tempo qualche mese) la riforma bossiana finirà annegata in quella del Titolo V della Costituzione, dove non si concede un’unghia al secessionismo. E Silvio Berlusconi, perché intanto può tirare un sospiro di sollievo: almeno su questo, i suoi alleati la pianteranno di litigare. Insomma, difficile dire chi abbia vinto e chi abbia perso nel vertice di maggioranza convocato ieri a casa del premier («non vogliamo profittare delle sedi di governo tenendovi riunioni di maggioranza», ha spiegato). Si è trattato al fondo di un compromesso. Per raggiungerlo, sono servite tre ore di discussione piuttosto faticosa. La materia è ostica, bisogna destreggiarsi fra commi, codicilli e richiami giurisprudenziali. Si capisce come mai, intorno al desco del Cavaliere, la parte del leone sia toccata agli «esperti» Domenico Nania e Francesco D’Onofrio. Anche Rocco Buttiglione ha dottoreggiato spesso, nella sua veste di cultore del diritto. Tutti gli altri hanno preferito concentrare l’attenzione sul menù (niente pennette tricolori, stavolta, ma frittata vegetale, tagliata di manzo e dolci di riso) e sui pomi della discordia. Due in particolare. Discutendo su come riformare la riforma federalista dell’Ulivo, cioè il Titolo V della Costituzione, l’Udc e An hanno voluto piantare alcuni paletti. Va bene dare più autonomia alle regioni, ha insistito Marco Follini, però non commettiamo l’errore di svincolarle dai «diritti e doveri» scritti nella Costituzione. E comunque, nessuna regione dove poter operare contro l’«interesse nazionale». Dunque, ha suggerito Follini, mettiamo il concetto nero su bianco nel testo che verrà sottoposto venerdì mattina al Consiglio dei ministri. Bossi l’ha vissuta come una provocazione. «Che bisogno c’è», ha protestato. L’espressione del volto si è aggrondata, il tono della voce si è fatto roco. Confida un partecipante che il dialogo ha preso una piega poco simpatica. E’ intervenuto infine Giulio Tremonti per mediare con una nuova formulazione: nessun richiamo ai «diritti e doveri», ma ai «principi» contenuti nella Carta costituzionale. Sembra una sfumatura, eppure tutti l’hanno accolta, Bossi compreso. Niente da fare, invece, sull’«interesse nazionale»: il Senatùr ha preso atto di avere tutti contro. Nemmeno Berlusconi, stavolta, gli ha retto il gioco. A sentire la campana degli ex-dc, l’Umberto s’è dovuto piegare numerose altre volte. Esempio: su tutte le materie più importanti (come politica estera, amministrazione della giustizia e ordine pubblico) la competenza futura sarà dello Stato. Ancora: se si tratta di industria o agricoltura, vinceranno i criteri fissati a Roma. «Abbiamo posto una barriera contro qualsiasi uso scissionistico dei poteri attribuiti alle regioni», ha cantato vittoria dopo il vertice Buttiglione. «E’ passata una soluzione di buon senso», ha convenuto Follini. Viene peraltro da chiedersi come mai Bossi l’abbia accettata. La risposta è semplice: i freni al secessionismo entreranno in azione solo quando sarà approvata la riforma del Titolo V. Bene che vada, come prevede Berlusconi, passerà un anno. Nel frattempo, la Lega porta a casa la «sua» devoluzione, in modo da farci sopra la campagna elettorale delle amministrative. Lunedì inizia l’esame alla Camera (doveva cominciare oggi, ma il centrodestra chiederà il rinvio). E sebbene si tratti di una riforma monca, in attesa del Titolo V, l’intesa è che la maggioranza stavolta voti compatta. «Mi raccomando, tutti presenti», ha messo le mani avanti Bossi a fine vertice. «Credo che dopo l’incidente sulla legge Gasparri tutti abbiano imparato la lezione», ha provato a rassicurarlo il Cavaliere. Ricapitolando con le parole del premier: «Ho messo d’accordo Lega e centristi, l’intesa alla fine si è trovata agevolmente». Per l’opposizione, inutile dire, si tratta di un pasticcio. Willer Bordon, della Margherita, lo definisce «l’ennesimo gioco di prestigio del Cavaliere». Vorrebbe essere una critica, ma Berlusconi l’ha preso come un elogio.
Ugo Magri

 
Indice "Rassegna Stampa"
 
 
Mailing List di Riforme istituzionali