Corriere
della sera 12-04-2003
Formigoni: tolti poteri alle Regioni, il governo ci deve consultare
MILANO - «E no, non va bene. Ho l’impressione
che si tolga un po’ troppo alle Regioni». Roberto Formigoni, il governatore
della Lombardia, storce il naso. Ieri mattina era a Roma per firmare un’accordo-quadro
con il governo che porterà in Lombardia 32 miliardi di euro (oltre
60 mila miliardi di vecchie lire) per finanziare nuove infrastrutture.
E’ il più importante stanziamento del dopoguerra e Formigoni ha
motivi di gratitudine nei confronti di Berlusconi («Mi ha assicurato
che i soldi ci sono»). Ma la devolution varata dal consiglio dei
ministri proprio non gli piace.
Sono i provvedimenti per Roma capitale che
la lasciano perplesso? E’ d’accordo con Bossi?
«Ma no: Roma è la capitale e questo
non si discute. Che le siano riservate particolari attenzioni è
giusto. L’importante è che non si introducano privilegi per qualcuno
e soprattutto che non si impedisca alla Lombardia di correre».
Come? Con Milano vicecapitale?
«Quella di Bossi è soltanto una
provocazione. Milano è già capitale per conto suo. Farla
diventare "vice" sarebbe una diminutio . Questa querelle non mi
scalda. Piuttosto a Bossi dico guardiamo ai contenuti, facciamo in modo
che non sia un arretramento rispetto a quegli spazi in più che comunque
il Titolo Quinto ci aveva dato».
C’è questo rischio?
«Temo di sì».
Per esempio?
«Vorremmo capire bene che cosa significa
in concreto la ricomparsa del cosiddetto "interesse nazionale": verrebbe
stabilito che per tutte le materie di competenza regionale, lo Stato ha
comunque la possibilità di intervenire per "interesse nazionale".
In via di principio sono assolutamente d’accordo, ma in pratica appare
quasi offensivo nei confronti delle Regioni che sono esse stesse attentissime
all’interesse nazionale e che la Costituzione riconosce essere componenti
della Repubblica con pari dignità rispetto allo Stato».
Qualcosa del genere è previsto anche
per la Sanità.
«Certo: mentre da una parte la devolution
trasferisce tutti i poteri alle Regioni, dall’altra compare una norma generale
di "tutela della salute" che è tutta da chiarire. "Interesse nazionale",
"tutela della salute", sono tutte espressioni che a guardarle con ingenuità
sono incontestabili, ma sappiamo che per cinquant’anni sono servite allo
Stato per ridurre l’autonomia delle Regioni e per coprire interventi assolutamente
centralisti».
Cos’altro non le piace?
«Ci sono cose che non capisco. Pare si
voglia far tornare la formazione professionale o parte di essa in capo
allo Stato. Si dice che le Regioni hanno competenza esclusiva in agricoltura
ma in ambito regionale? Che cosa significa? O è una tautologia,
oppure... E poi è possibile che se due piccoli Comuni di montagna
vogliono unirsi, debba intervenire lo Stato? Che cosa ne sa lo Stato? Ma
soprattutto mancano due cose fondamentali».
Quali?
«Da un lato la Camera o il Senato delle
autonomie. Dall’altra la riforma dell’elezione della Corte costituzionale
che deve essere nominata con il contributo delle Regioni. Come? Potrebbe
essere eletta da un nuovo Parlamento formato da una Camera politica e da
un Senato delle Regioni e in questo modo la Consulta avrebbe "sangue" dell’una
e dell’altro».
Che cosa chiede al governo?
«Che consulti subito le Regioni, che si
apra un confronto vero, concreto e che il provvedimento non sia blindato.
Io sono d’accordo sulla correzione del Titolo Quinto, ma a patto che questo
significhi maggiore federalismo. Indietro non si torna».
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