Riforme Istituzionali
Osservatorio sulla devolution
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La Stampa   30-04-2003
 
Federalismo con più poteri ai Comuni, primo «sì» alla Camera
Anche la Lega sostiene le norme di La Loggia per attuare la riforma del centrosinistra, l’Ulivo si astiene
 
Nuovi Contrasti invece nel Polo sulla nuova modifica al Titolo V
LANDOLFI: BASTA RICATTI. CE’: NESSUNA MINACCIA

Nuovo passo in avanti per chiudere il cantiere Costituzione sul federalismo. Nonostante le polemiche della Lega nei giorni scorsi avessero fatto pensare ad un «non voto» da parte del Carroccio, ieri la Camera ha approvato a larga maggioranza - con Casa delle libertà compatta e astensione «bipartisan» dell’Ulivo: 230 a favore, 15 contrari (Prc) e 164 astenuti - la legge del ministro La Loggia di attuazione del Titolo Quinto della Costituzione. Si tratta di un provvedimento più tecnico che politico, necessario a dare pieno avvio alla riforma costituzionale che il centrosinistra varò l’ultimo giorno della scorsa legislatura (con il governo Amato e il ministro Loiero) e che fu poi confermata con il referendum del 7 ottobre 2001. In pratica, si tratta di una profonda modifica della quinta parte della nostra Carta fondamentale - appunto il «Titolo Quinto» - nella quale vengono dati più poteri alle Regioni. Non ancora una riforma federalista in senso pieno, denunciò il centrodestra, ma il primo momento di un cammino, accolsero con favore i «governatori». Ma quando si modifica una Costituzione, occorre poi adeguare le leggi ordinarie per applicarla: è appunto quanto ha fatto il provvedimento varato ieri in prima lettura a Montecitorio, che necessita di un secondo voto al Senato. Dunque, non si tratta ancora della «riforma La Loggia», cioè del disegno di legge costituzionale varato l’11 aprile 2003 con l’opposizione di Bossi e contro il quale si stanno preparando gli strali leghisti al pratone di Pontida, domenica. La legge voluta dal ministro agli Affari regionali è nata per due ragioni: ridurre il contenzioso sulla «legislazione concorrente», cioè sulle materie attribuite in parte allo Stato e in parte alle Regioni dalla riforma ulivista, e ridisegnare i poteri tra enti locali, con un riequilibrio a favore dei Comuni e delle Province. In pratica, si vuole evitare un «neocentralismo» regionali, che per altro i governatori hanno sempre negato di voler praticare. Così ieri i primi commenti positivi sono venuti dall’Anci, l’Associazione dei Comuni, con il presidente diessino Leonardo Domenici e il suo vice, il deputato azzurro Osvaldo Napoli, sulla stessa lunghezza d’onda: «E’ un buon passo in avanti», commenta il sindaco di Firenze, mentre l’on. Napoli aggiunge che «la concertazione istituzionale ha dato buoni frutti». Sullo sfondo rimane la polemica sulle «nuove modifiche al Titolo Quinto», cioè la vera e propria riforma La Loggia, che intende correggere quelli che sono stati definiti gli «errori» ulivisti. Con la conseguenza di togliere del tutto le «materie concorrenti», di inserire la devolution bossiana nel concetto di «interesse nazionale», di dare un ruolo maggiore a «Roma Capitale» e ridurre anche i poteri alle Regioni. Il ministro agli Affari regionali - soddisfatto ieri dal primo «sì» della Camera alla legge ordinaria - ieri ha annunciato di essere pronto ad accettare una discussione aperta sulla riforma costituzionale, «purché senza estremismi». Un chiaro accenno ai toni ultimativi - molto condizionati dalla campagna elettorale per le amministrative al Nord - usati da alcuni esponenti leghisti. Toni che continuano ad essere al centro del confronto politico, come dimostra il «botta e risposta» tra il portavoce di An, Mario Landolfi, e il capogruppo del Carriccio a Montecitorio, Alessandro Cè. Dichiarazione del primo, alle ore 16 del pomeriggio: «Francamente la Lega comincia a stufare», perché «non è possibile sottostare ogni giorno a ultimatum o ricatti». Replica del secondo, alle 18: «La Lega non minaccia nessuno, ma ricorda solo agli alleati che i rigurgiti centralisti non fanno parte del programma elettorale della Cdl». Sulle riforme istituzionali interviene anche il presidente della Conferenza delle Regioni, il governatore del Piemonte Enzo Ghigo, il quale approfitta del voto positivo di ieri alla Camera per sottolineare - come ha fatto più volte - la necessità di un «dialogo istituzionale» sul processo riformatore, «al di fuori delle logiche partitiche». Le Regioni ne parleranno l’8 maggio prossimo. Tenteranno, cosa non facile, di trovare un posizione comune tra Ulivo e Polo. 


 
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