Riforme Istituzionali
Osservatorio sulla devolution
Rassegna stampa
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il manifesto   16-05-2003
 
«Gli stranieri possono votare»
 
Parla l'avvocato Faure: la costituzione non lo vieta, e gli enti locali ora sono sovrani
    CINZIA GUBBINI
La proposta di modifica dello Statuto in discussione al comune di Genova poggia su solide e interessanti basi giuridiche. Ne parliamo con Roberto Faure, avvocato genovese, che ha studiato attentamente la questione, prendendo contatto con costituzionalisti, rintracciando analoghe proposte in Italia e in Europa.

Avvocato Faure, ma la Costituzione non limita il diritto al voto ai soli cittadini?

No, e occorre fare una premessa. La dottrina costituzionale ha una sua importanza ed a volte è contrastante. Per fare un esempio molto attuale, c'è chi interpreta l'articolo 11 nel senso che l'Italia ripudia la guerra e chi nel senso che il paese può partecipare a operazioni di polizia internazionale. L'articolo 48 prevede il diritto di voto ai cittadini, con evidente riferimento ai cittadini italiani. Se, però, si vuole interpretare la norma nel senso di un diritto di libertà, allora il diritto di voto può essere esteso ad altri soggetti, fermo restando il limite minimo del diritto inviolabile per tutti i cittadini italiani. Il legislatore costituente del 1948, d'altronde, aveva a mente le limitazioni del diritto di voto per i cittadini italiani stabilite dal fascismo, e pertanto ha voluto garantire con certezza tale diritto a tutti gli italiani. Inoltre va considerato che, da tempo, in ottemperanza ad accordi internazionali europei votano in Italia alle amministrative i cittadini stranieri dell'Ue. Ma l'argomento principale è: qual è il significato, oggi, dell'articolo 1 della costituzione? Chi vive e lavora da anni in un Comune italiano, e probabilmente continuerà a viverci, non è parte del popolo a cui la costituzione attribuisce sovranità?

Va bene, ma una norma del genere non dovrebbe essere decisa a livello nazionale?

No. Il nuovo testo dell'articolo 114 della costituzione comma secondo («I comuni, le province, le città metropolitane e le regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla costituzione»), se interpretato letteralmente, pone come unico vincolo la Costituzione e non la legislazione ordi naria. Lo statuto dell'ente locale potrebbe pertanto introdurre - con le forme decise dall'ente, e nei limiti dei principi di legge - il diritto di voto alle amministrative. D'altro canto la cosiddetta Turco-Napolitano, testo unico sull'immigrazione, all'articolo 9, ammette il diritto di voto «quando previsto dall'ordinamento». Quindi anche se previsto dallo Statuto dell'ente locale. L'articolo 9, inoltre, fa proprio il contenuto della Convenzione di Strasburgo; dà efficacia alla Convenzione in modo diretto («ordine di esecuzione»). Tale Convenzione, come noto, prevede il diritto di voto alle elezioni amministrative per gli immigrati residenti. Si può affermare quindi che il diritto di voto gli immigrati ce l'hanno già. Secondo l'articolo 117 della costituzione al comma 1, inoltre, gli accordi internazionali come la Convenzione di Strasburgo vengono recepiti nel nostro diritto interno più direttamente di prima. L'Italia, quindi, ha aderito alla convenzione di Strasburgo ed è inadempiente se non concede l'elettorato amministrativo agli stranieri residenti.


 
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