Riforme Istituzionali
Osservatorio sulla devolution
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La Stampa   17-05-2003
 
Devolution stonata

    di Sandro Cappelletto 

«Signor Ministro, pensare di piegare il sistema della vita musicale ad una logica regionale sarebbe un errore davvero imperdonabile». Venticinque musicisti italiani - i migliori compositori, direttori, solisti: basterà ricordare Abbado con Muti e Chailly, Accardo con Ughi, Pollini, Corghi con Battistelli e Sciarrino - hanno scritto a Giuliano Urbani, ministro per i Beni e le Attività culturali, esprimendo il timore che lo spirito della devolution possa avere conseguenze gravi sull’indipendenza e l’attività delle principali istituzioni musicali italiane.

E’ un dato di fatto: come ai sovrintendenti ai monumenti e alle belle arti, così agli artisti e agli organizzatori di spettacolo non piace la prospettiva di trovarsi a dialogare esclusivamente con un assessore regionale, provinciale, comunale, con un delegato di circoscrizione. Pensano che la competenza professionale di questi funzionari, la loro sensibilità artistica, assieme al rapporto molto vincolante con la miriade delle realtà locali, costituisca un rischio per chi lavora con prospettive e qualità internazionali, «in un settore che ha assunto dimensioni globali».

Dalla lettera dei musicisti - mai, in Italia, così uniti a firmare un appello - ha preso impulso il Comitato Istituzioni Musicali Nazionali che, in un periodo di durissima contrapposizione tra maggioranza e opposizione, ha usato l’astuzia della ragione nominando alla presidenza il senatore di Alleanza nazionale Domenico Fisichella, mentre vicepresidenti sono il senatore dei democratici di sinistra Stefano Passigli e Francesco Agnello, storico organizzatore musicale, uomo tenace e dalle molte relazioni. Del Comitato fanno parte quegli Amici della Musica e Unioni Musicali che, da Torino a Palermo, tengono viva la tradizione della musica da camera, strumentale e vocale; le migliori Scuole e Accademie di formazione e perfezionamento; i più prestigiosi concorsi pianistici, festival non banali, centri di ricerca e produzione di musica elettronica. Non vogliono perdere la qualifica di «istituzioni di prioritario interesse nazionale», rivendicano la loro storia (alcune associazioni esistono da prima dell’unità d’Italia), il rigore delle scelte, l’orizzonte internazionale che è necessario mantenere se non si vuole abbassare il livello.

Sono stati ascoltati dal ministro Urbani e da alcuni degli eletti dal popolo che stanno lavorando alla nuova legge sulla musica. Sembra ne abbiano compreso le ragioni, ora bisognerà trovare un’intesa con le Regioni, così golose delle loro nuove competenze. 


 
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