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 Corriere della sera   08-10-2003
 
Riforme, Formigoni sfida il governo

«Basta buone maniere, il Senato è federale solo per l’aggettivo. O ci rappresenta oppure continueremo a fare ricorsi»
 
MILANO - «Ha ragione Bossi: dobbiamo essere politicamente scorretti. E' finito il tempo delle buone maniere». Alla vigilia dell'incontro delle Regioni con il premier Berlusconi, fissato per domani, Formigoni va all'attacco e spiega che il Senato federalista disegnato dai «saggi» della Casa delle Libertà «di federalista ha soltanto l'aggettivo». E alla notizia che la Camera ha approvato un disegno di legge per impedire ai presidenti di Regione di candidarsi per più di due mandati consecutivi, sbotta: «Mi sembra che il Parlamento entri abbondantemente nel ridicolo quando invece di legiferare sulle sue competenze, dà consigli ai consigli regionali su quello che devono fare. E' la conferma della sua vocazione centralista».
 
Non è una provocazione da poco dire che è finito il tempo delle buone maniere.
«Non è una provocazione: dico sul serio. È un momento decisivo e non possiamo trincerarci dietro il politically correct. Quello che conta è il risultato: dare uno sbocco alla crisi istituzionale del nostro Paese. Da dieci anni si dice che il centralismo è superato e che bisogna andare verso un sistema federalista autentico. E allora il confronto con il Governo deve essere un confronto vero, deve entrare nella sostanza delle cose».
Che cosa dirà a Berlusconi?
«Che sul federalismo così non va. Il governo ha presentato una proposta che contiene molti aspetti positivi: dalla devoluzione, al superamento del bicameralismo perfetto, alla riduzione del numero dei parlamentari. Ma le garanzie per il federalismo non sono sufficienti e quindi su questo punto abbiamo il dovere della verità anche se è scomoda».
Qual è questa verità?
«Di federalista il nuovo Senato ha soltanto l'aggettivo. Le leggi di bilancio devono passare anche per il Senato. E poi i giudici della Corte Costituzionale: per anni si è detto che devono essere eletti in parte anche dalle Regioni. Ebbene, è venuto il momento di attuare questa richiesta».
Perché il Senato ipotizzato non è federalista?
«Perché le elezioni avvengono ancora su liste di partiti nazionali e perché non c’è nessun collegamento con i governi locali tranne l’obbligo per i candidati di essere stati precedentemente consiglieri comunali o regionali. E’ davvero un vincolo troppo blando: avviene già così nei fatti».
E invece come dovrebbe avvenire l’elezione?
«Con un’unica scheda con la quale si eleggono il presidente della Regione, i consiglieri regionali e i senatori di quel territorio. In questo modo la rappresentanza in Senato sarebbe fortemente legata a quella in Regione. I senatori verrebbero eletti sulla base dello stesso programma del candidato presidente della Regione e avrebbero il mandato di andare a Roma a difendere gli interessi della propria regione. Allora sì che il Senato sarebbe un’evoluzione della Conferenza Stato Regioni: un luogo dove si discute, magari si litiga, ma alla fine si trova una mediazione. Altrimenti...».
Altrimenti?
«O siamo rappresentati anche noi, oppure continueremo a fare ricorso alla Corte Costituzionale contro i provvedimenti varati da Governo e Parlamento intrusivi rispetto alle competenze regionali».
Fra le misure adottate dal Governo c’è il condono edilizio. Lei come lo giudica?
«La Lombardia sta studiando modalità di collaborazione con i Comuni per ridurre al minimo l’impatto e soprattutto evitare furbate dell’ultimo momento. Anche con strumenti innovativi che stiamo studiando».
Ma lei è favorevole o contrario?
«Noi abbiamo scelto di evitare una posizione ideologica del tipo sì o no. Preferisco dare una risposta concreta, bloccare i grandi abusi e regolamentare quei fenomeni di piccolo intervento che sono fisiologici in un regime vincolistico come quello italiano».
 
Claudio Schirinzi


 
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