Ci si chiede, qui nell'occhio del ciclone federalista (e
campanilista, municipalista, secessionista - o tutte queste cose insieme),
se davvero hanno idea, i nostri amici o parenti del governo di Roma, di
cosa stia succedendo "giù al Nord", come dice Antonio Albanese,
in particolare a nordest. Può darsi che neanche pensino che le caratterizzazioni
regionali hanno valenze di rilievo, anche politico. In questo caso, non
resterebbe che consigliare una più attenta meditazione, e magari
qualche buona lettura: ad esempio quella del volume di Paolo Mauri, Nord,
appena pubblicato da Einaudi, pp.292, Lire 34 mila, raccolta di saggi sul
rapporto tra letteratura e luoghi, sulla scorta della grande lezione di
Carlo Dionisotti. "Mentre ci avviamo all'epoca dei non luoghi, del virtuale,
della globalità - scrive Mauri - resuscitare e rivisitare i centri
culturali delle diverse Italie che ancora oggi l'Italia si porta dentro
non è dunque un esercizio sterile e tanto meno nostalgico...".
L'impressione che il governo dà di sé, di fronte alla
domanda federalista, vista da qui, è di goffaggine e di chiusura.
Lo confermano le ultime esternazioni e concrete decisioni sullo Statuto
regionale proposto dal presidente Galan e sul quesito referendario proposto
dalla maggioranza del Veneto. Ciò impedisce non solo un'esatta valutazione
delle proposte del centrosinistra, ma nasconde la vera sostanza di quelle
del centrodestra. Aver fatto di Galan il campione del federalismo, quando
è piuttosto il paladino di un neocentralismo regionale, è
puro autolesionismo. Prendiamo la sua proposta di Statuto. Non c'è
la secessione alla quale si è gridato, non si propone di battere
moneta propria o di riprendersi l'Istria e la Dalmazia. Ma il casino sollevato
dalle "grida" romane ha lasciato in ombra ben altro.
C'è, intanto, la pretesa velleitaria di definire "motu proprio"
le competenze dello Stato (art. 14)!. Ci sono alcuni sconfinamenti in tema
di politica estera (art. 7 e 9). C'è una totale sottovalutazione
del ruolo degli Enti Locali (province, comuni e comunità montane),
che dovrebbero invece rappresentare il cuore di un vero federalismo delle
autonomie, insieme a enti e istituzioni anche di nuova formazione (ad esempio
autorità speciali per questioni territoriali e ambientali, organismi
capaci di elaborare e difendere quello che Alberto Magnaghi chiama lo "statuto
dei luoghi", oppure, e nel Veneto c'è il caso di Venezia, la previsione
di entità come la "città metropolitana": nulla di tutto questo
prevede Galan). E c'è, infine, una proposta inquietante e inaudita:
all'art. 5 si prevede una legge regionale che "riconosce i diritti e determina
i doveri dei cittadini di Stati non appartenenti all'Unione Europea"! Si
postula, cioè, una legislazione "a parte" per i cittadini non comunitari,
come se diritti e doveri fossero divisibili, come se in questa materia
la legge nazionale e la Costituzione fossero derogabili con apposita legge
regionale! Una serie B dei diritti, una doppia legislazione. Se il governo
o il centrosinistra romani avessero contestato a Galan questo, o il neocentralismo
regionalista e l'impianto integralmente neoliberista, sarebbe ora più
facile mostrare che il Re del Veneto è nudo sia dal lato delle libertà
fondamentali sia da quello delle vere autonomie.