Riforme Istituzionali
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il manifesto - 07/11/2000
 
 Il Re del Veneto è nudo
 
 Gianfranco Bettin

   Ci si chiede, qui nell'occhio del ciclone federalista (e campanilista, municipalista, secessionista - o tutte queste cose insieme), se davvero hanno idea, i nostri amici o parenti del governo di Roma, di cosa stia succedendo "giù al Nord", come dice Antonio Albanese, in particolare a nordest. Può darsi che neanche pensino che le caratterizzazioni regionali hanno valenze di rilievo, anche politico. In questo caso, non resterebbe che consigliare una più attenta meditazione, e magari qualche buona lettura: ad esempio quella del volume di Paolo Mauri, Nord, appena pubblicato da Einaudi, pp.292, Lire 34 mila, raccolta di saggi sul rapporto tra letteratura e luoghi, sulla scorta della grande lezione di Carlo Dionisotti. "Mentre ci avviamo all'epoca dei non luoghi, del virtuale, della globalità - scrive Mauri - resuscitare e rivisitare i centri culturali delle diverse Italie che ancora oggi l'Italia si porta dentro non è dunque un esercizio sterile e tanto meno nostalgico...".
L'impressione che il governo dà di sé, di fronte alla domanda federalista, vista da qui, è di goffaggine e di chiusura. Lo confermano le ultime esternazioni e concrete decisioni sullo Statuto regionale proposto dal presidente Galan e sul quesito referendario proposto dalla maggioranza del Veneto. Ciò impedisce non solo un'esatta valutazione delle proposte del centrosinistra, ma nasconde la vera sostanza di quelle del centrodestra. Aver fatto di Galan il campione del federalismo, quando è piuttosto il paladino di un neocentralismo regionale, è puro autolesionismo. Prendiamo la sua proposta di Statuto. Non c'è la secessione alla quale si è gridato, non si propone di battere moneta propria o di riprendersi l'Istria e la Dalmazia. Ma il casino sollevato dalle "grida" romane ha lasciato in ombra ben altro.
C'è, intanto, la pretesa velleitaria di definire "motu proprio" le competenze dello Stato (art. 14)!. Ci sono alcuni sconfinamenti in tema di politica estera (art. 7 e 9). C'è una totale sottovalutazione del ruolo degli Enti Locali (province, comuni e comunità montane), che dovrebbero invece rappresentare il cuore di un vero federalismo delle autonomie, insieme a enti e istituzioni anche di nuova formazione (ad esempio autorità speciali per questioni territoriali e ambientali, organismi capaci di elaborare e difendere quello che Alberto Magnaghi chiama lo "statuto dei luoghi", oppure, e nel Veneto c'è il caso di Venezia, la previsione di entità come la "città metropolitana": nulla di tutto questo prevede Galan). E c'è, infine, una proposta inquietante e inaudita: all'art. 5 si prevede una legge regionale che "riconosce i diritti e determina i doveri dei cittadini di Stati non appartenenti all'Unione Europea"! Si postula, cioè, una legislazione "a parte" per i cittadini non comunitari, come se diritti e doveri fossero divisibili, come se in questa materia la legge nazionale e la Costituzione fossero derogabili con apposita legge regionale! Una serie B dei diritti, una doppia legislazione. Se il governo o il centrosinistra romani avessero contestato a Galan questo, o il neocentralismo regionalista e l'impianto integralmente neoliberista, sarebbe ora più facile mostrare che il Re del Veneto è nudo sia dal lato delle libertà fondamentali sia da quello delle vere autonomie.



 

 

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