ROMA - Il federalismo in aula lunedì al Senato, il conflitto
di interessi sempre al Senato la settimana prossima, il sottosegretario
alle Riforme Enrico Franceschini che rilancia la riforma elettorale. Il
tema delle riforme, a maggior ragione dopo il nuovo appello del presidente
della Repubblica, è quanto mai al centro della vita politica, provoca
colpi e contraccolpi. Nella Casa della libertà, soprattutto, dove
arriva l'annuncio dell'ostruzionismo sul federalismo ma intanto scoppia
la polemica. Protagonisti Enzo Ghigo, "governatore" forzista del Piemonte,
ma anche presidente della Conferenza dei presidenti delle Regioni, ed il
leghista Roberto Maroni.
Il primo spinge per l'approvazione del testo in discussione al Senato,
il secondo gli chiede brutalmente da che parte stia, visto e considerato
che la Casa delle libertà vuole la devolution e sta preparando a
Palazzo Madama le barricate contro quello stesso testo. Testo" blindato"
della maggioranza. "Reazione scomposta" quella di Maroni, replica Ghigo,
sto dalla parte del Polo, ma istituzionalmente sono il presidente dei governatori
e questo federalismo è meglio che niente. Ma abbia pazienza, replica
Alfredo Mantica, vicepresidente dei senatori di An, aspetti la prossima
legislatura che vinciamo noi e facciamo tutto, compresa la Camera delle
Regioni.
In mezzo si barcamena Enrico La Loggia, presidente dei sentori forzisti,
comprensivo con le ragioni che spingono Ghigo a chiedere l'approvazione
del testo, ma pronto a dire che il suo appello è "fuori tempo massimo".
Intanto il centrodestra ha già preparato un migliaio di ememdamenti,
una montagna di eccezioni, a partire da quelle di costituzionalità
del testo presentato ieri in aula dal relatore Antonio Cabras.
Una massa di carta che potrebbe sparire se la maggioranza accettasse
di aprire il confronto su dieci emendamenti che il centrodestra ritiene
fondamentali. Ma dal centrosinistra la risposta è no: condividiamo
alcune delle proposte del centrodestra - dicono - ma il testo non si modifica
per motivi di tempo. Al massimo - spiegano - possiamo prendere in considerazione
l'ipotesi, avanzata dallo stesso Ghigo, di ordini del giorno che impegnino
il Parlamento a varare quelle cose che il testo della maggioranza non prevede.
Lunedì, dunque, inizierà nell' aula di Palazzo Madama
una nuova, dura, battaglia parlamentare. In parallelo continuerà
il connfronto in commissione Affari costituzionali sul conflitto di interessi.
Argomento quanto mai spinoso. E non solo perché il problema tocca
Silvio Berlusconi in prima persona. Polo e Lega, infatti, accusano Rutelli
di essere lui portatore di un conflitto di intersssi, in quanto non lascia
la carica di sindaco dalla quale può gestire somme ingenti. E non
solo. Il candidato premier sarebbe anche ineleggibile perché non
ha lasciato la carica di primo cittadino il 9 novembre, sei mesi prima
della fine della legislatura.
Così Maurizio Gasparri chiede le dimissioni da sindaco, e insiste
anche la Lega. Sotto accusa finisce pure il governo, reo di avere emanato
una circolare che avrebbe invogliato i sindaci, soprattutto quelli dell'Ulivo,
a non dimettersi in attesa dello scioglimento anticipato delle Camere,
caso in cui la regola dei sei mesi non vale. Tutte questioni che però
verranno oscurate quando la settimana prossima Ida Dentamaro, relatrice
sul conflitto d'interessi, presenterà un secondo pacchetto di emendamenti
che chiariranno gli aspetti restrittivi rispetto al testo approvato da
Senato. Compresa la norma che prevede una multa pari al 50 per cento del
valore dell'azienda per l'inquilino di Palazzo che non si libera della
proprietà entro 45 giorni dall'arrivo al potere.
Corriere della sera - 11/11/2000