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La Stampa   20-02-2004
 
Federalismo virtuale senza i fondi ai governatori

IL SECONDO RAPPORTO ISAE: ANCORA DA TRASFERIRE RISORSE IN PERIFERIA PER 153 MILIARDI DI EURO

C’è un’immagine abusata che identifica la situazione del federalismo in Italia, oggi: «A metà del guado». E questa volta ad usarla non sono soltanto i politici, in particolare i governatori che stanno pressando sul governo per ottenere poteri e soldi necessari a gestire le competenze loro attribuite, ma i ricercatori dell’Isae. L’Istituto di Studi e Analisi Economica, che l’anno scorso aveva presentato il primo Rapporto sul federalismo, ha presentato ieri la sua seconda analisi del lungo braccio di ferro tra Regioni e governo. Per giungere ad una conclusione: servono trasferimenti di parti del bilancio statale (soldi) alla periferia, in attuazione anche soltanto del decentramento amministrativo, mentre «l’istituzione della Camera delle Regioni si rivela del tutto necessaria» per uscire dal corto circuito di conflitti pendenti presso la Consulta. Il rapporto, denso di cifre e dati molto specialistici, è stato presentato ieri a Roma e per le Regioni c’era l’assessore capofila per la parte finanziaria, l’azzurro (della Lombardia) Romano Colozzi. Il quale, a commento, ha detto: «Basta con il federalismo virtuale». Il rapporto Isae sostiene che i vari ministeri dovrebbero passare fondi iscritti nei loro bilanci alle varie giunte regionali per una somma totale di 61 miliardi di euro. E poi aggiunge che - per far funzionare la Sanità, l’assistenza, i servizi - dovrebbero essere trasferiti 153 miliardi di entrate fiscali (compresi i 61 sopra citati) da Roma a Milano, Torino, Napoli, Bari, Venezia... Anche perché il modello centralista oggi esistente - sostiene Colozzi - ha portato a forti diversità, in quanto i singoli assessori non hanno potuto «governare il sistema con forti assunzioni di responsabilità». La conseguenza è che (fatta cento la media pro-capite italiana), in Piemonte si spende 110,2 per la protezione sociale, in Emilia-Romagna 125,9, mentre nel Sud si precipita al 57,4% della Puglia e al 70,4% della Campania, con una media del 71,3 per tutto il Sud. Come rimediare? Secondo l’Isae modificando gli accordi sulla sanità dell’agosto 2000 e 2001 che non reggono più (come d’altra parte hanno chiesto i governatori a Tremonti e Berlusconi nel vertice dell’altro giorno), attribuendo le competenze alla pubblica amministrazione, con un grado di autofinanziamento che passi dall’attuale 56 per cento al 99 per cento. Anche il personale, accusa il rapporto, è passato soltanto per la metà del previsto, dallo Stato alle Regioni. E così le entrate tributarie locali dovrebbero passare dall’attuale 21,5 al 60 per cento. Tutto questo senza nessuna nuova riforma, ma semplicemente applicando quelle esistenti (la modifica del Titolo V della Costituzione) varate nella scorsa legislatura. Altrimenti, rischia di vincere il «non-federalismo strisciante». Ma anche questo, all’italiana, non dichiarato.

Gigi Padovani



 
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