il manifesto 07-03-2001
Giovanna Pajetta
I primi a firmare saranno i senatori, poi la settimana prossima toccherà
Silvio Berlusconi riunirà i suoi "governatori" e la parola passerà
ai presidenti di Regione. Ripresosi dallo schiaffo subito la settimana
scorsa, il centrodestra ha deciso di impugnare l'arma del referendum contro
"il falso federalismo della sinistra". "Lo proporremo il giorno in cui
la legge sarà pubblicata sulla Gazzetta ufficiale" annuncia
entusiasta Roberto Maroni, che per cinque minuti si guadagna il posto di
comando al tavolo delle conferenze stampa di via del Plebiscito. E se anche
lui è costretto a ammettere che abbinare referendum e elezioni di
maggio è impossibile ("non credo ci siano i tempi tecnici") poco
conta. Anzi, forse meglio così. Perché l'importante è
mettere i bastoni tra le ruote all'Ulivo, impedirgli di agitare in campagna
elettorale, come dice Silvio Berlusconi, "la bandiera del federalismo che
la sinistra ha trasformato in una falsa riforma". E che avrebbe messo in
difficoltà al Nord almeno un inquilino della Casa delle libertà,
la Lega.
Ma il lancio del referendum, per Maroni come per Bossi, vale molto
di più. Dopo un weekend passato a rimuginare sulle aperture all'Ulivo
di Giulio Tremonti, o sulle confidenze del forzista Pisanu ("bene, così
noi non dovremo affrontare il problema nella prossima legislatura") il
duo leghista può finalmente tirare un sospiro di sollievo. Il paciere,
come sempre, è stato Silvio Berlusconi che, si dice, avrebbe chiamato
Bossi già ieri notte per tranquillizzarlo. Poi ieri mattina, mentre
si volava verso Roma, seduto tra Bossi e Maroni, il Cavaliere ha messo
a punto il progetto. Regalando ai due anche, nel comunicato ufficiale,
quell'attacco all'"Europa delle grandi burocrazie contro l'Europa dei popoli
e dei cittadini" cavallo di battaglia di tanti comizi di Umberto Bossi.
Arrivati in via del Plebiscito i tre non hanno certo faticato a convincere
gli altri partner dell'alleanza. Il primo a dare convinto il suo assenso
è stato Gianfranco Fini, allarmato quasi quanto il senatur
dell'uscita di Tremonti. Un'assonanza che poteva sembrare strana fino a
poche settimane fa, ma che rivela ancora una volta quale sia la chiave
di volta delle mille, per ora sotterranee tensioni che agitano la Casa
delle libertà. Con le due "ali" tese a cercare di limitare lo strapotere
(prima delle elezioni ma soprattutto dopo) di Silvio Berlusconi, e dei
colonnelli di Forza Italia. Un braccio di ferro che certo non si ferma
al federalismo, come diceva la faccia scura con cui Bossi, nonostante la
traversata aerea, si è presentato al vertice. Pronto a azzannare
le timide proposte di Assemblea costituente avanzate da Pierferdinando
Casini, zittito con un brusco "Sciocchezze, le riforme le facciamo in parlamento,
quando la maggioranza è nostra".
All'annuncio della raccolta di firme per il referendum, l'Ulivo ha
risposto con grande savoir faire. La proposta, come ha ricordato
Mussi, era venuta proprio dal centrosinistra, lo stesso giorno del voto
della legge a Montecitorio. Ma per non essere da meno, e sfruttare fino
in fondo il federalismo elettorale, l'Ulivo in serata ha rilanciato. Dopo
aver invitato "tutti i senatori a sostenere la positiva conclusione della
legge costituzionale", l'appello finale è per un "documento comune".
Da votare tutti insieme per l'appunto giovedì, quando nel suo ultimo
giorno di legislatura il senato darà il via definitivo alla riforma.
"Siamo pronti a sottoscrivere un documento che indichi le proposte di riforma
da discutere e approvare con il più ampio consenso" dicono ora i
leader dell'Ulivo riscoprendo, almeno per il futuro, lo spirito bipartisan.
Ma la proposta assomiglia in effetti a uno sfottò, visto che i tre
punti citati dalla nota corrispondono a altrettanti emendamenti, inutilmente
proposti dal centrodestra. Ovvero la costituzione di un "senato federale",
la famosa camera delle autonomie, la riduzione del numero dei parlamentari,
e persino la "modifica delle modalità di elezione dei giudici della
Corte costituzionale, che per un quarto devono essere eletti dal senato
federale". Come ci si poteva aspettare, dalla Casa delle libertà,
che in mattinata aveva sparato a zero contro "un falso federalismo che
viola il principio di sussidiarietà", non è arrivata nessuna
risposta. Anzi, persino Enzo Ghigo, il presidente forzista del Piemonte
tanto caro al centrosinistra, si è schierato ieri con Silvio Berlusconi
e si è detto pronto a firmare per il referendum abrogativo.
La Stampa 7-3-2001
«Un referendum per fermare il federalismo» Il Polo contesta la legge che domani sarà varata dal Senato
Ugo Magri
ROMA Manca solo la data, ma non c’è più
dubbio: oltre che alle elezioni politiche e comunali, saremo chiamati pure
a un referendum sul federalismo. Il centrosinistra aveva già espresso
l’intenzione di coinvolgere i cittadini nel «sì» alla
riforma in dirittura d’arrivo al Senato. La novità è che
ieri la Casa delle libertà s’è pronunciata anch’essa per
questo referendum, ma con l’obiettivo di bloccare la legge di riforma,
anziché convalidarla.
Si è subito scatenato un ping-pong sulla natura
«confermativa» o piuttosto «abrogativa» del referendum
in gestazione. Per la prima tesi si sono pronunciati Francesco Rutelli,
Lamberto Dini, Pietro Folena e Pierluigi Castagnetti. Alla seconda scuola
di pensiero s’è iscritto Silvio Berlusconi perché «lo
strumento offerto dalla Costituzione è abrogativo, dunque non può
usarlo chi vuole confermare la legge bensì chi ha votato contro».
Sul piano pratico, la discussione non sposta una virgola. Ma c’è
un problema di immagine: dopo la sconfitta patita una settimana fa alla
Camera, con la legge sul «finto federalismo» (così la
chiama Bossi) passata per un pelo, la Lega voleva dagli alleati un gesto
di forte reazione, e ieri l’ha ottenuto. «Con il referendum»,
ha confermato il Cavaliere dopo un summit in via del Plebiscito, «abbiamo
ripreso la bandiera del federalismo».
Un chiarimento s’impone. E’ la Costituzione, all’articolo
138, a prevedere che ci si possa appellare al popolo qualora una riforma
costituzionale non venga approvata con la maggioranza dei due terzi. Ieri
pomeriggio il vertice dell’Ulivo ha lanciato un estremo appello a varare
tutti insieme la legge sul federalismo. In cambio, il centrosinistra s’è
detto «pronto a sottoscrivere un documento comune» sulle riforme
da intraprendere nella prossima legislatura. Ma le probabilità di
ascolto sono uguali a zero, per cui oggi o domani al massimo il Senato
licenzierà la legge. A quel punto scatterà una complicatissima
procedura referendaria che prevede prima la pubblicazione della riforma
sulla Gazzetta Ufficiale , poi la raccolta di firme tra i parlamentari
(o in alternativa i pronunciamenti delle Regioni), infine il vaglio di
legittimità della Cassazione... Che il referendum possa coincidere
con la data delle politiche, ipotizzate per il 13 maggio, è alquanto
difficile. Più probabile che slitti in autunno, in un contesto politico
per ora insondabile.
La mossa del centro-destra era nell’aria già da
lunedì sera, dopo che l’estrema offerta di Giulio Tremonti («Se
la maggioranza ritira la legge, nella prossima legislatura faremo le riforme
insieme») era stata rispedita al mittente. Berlusconi e Bossi hanno
definito i dettagli ieri mattina in volo tra Milano e Roma. Poi, una volta
riuniti con Fini, Buttiglione, Casini e Maroni, il Cavaliere ha lanciato
l’idea del referendum come pegno di solidarietà nei confronti della
Lega. Messa in quei termini, nessuno ha avuto di che obiettare: nemmeno
quanti, tra i presenti, sono caduti dalle nuvole. La prova che si è
trattata di una decisione-lampo sta nell’assenza di sondaggi preventivi.
«Avremo tempo e modo di spiegare ai cittadini», ha detto poi
Berlusconi, «le ragioni per cui questa pseudo-riforma è addirittura
pericolosa». Di certo, sarebbe letale per la Casa delle libertà.
Così ragionava in privato dopo il vertice il professor Buttiglione:
«Se la legge dovesse passare, sarebbe per noi molto arduo riprendere
l’argomento federalismo. Dunque, verrebbe meno un pilastro dell’alleanza
tra Polo e Lega...».
Bossi e Berlusconi si sentono peraltro tranquilli. Sulla
scorta di certi studi di diritto internazionale, pensano di aver individuato
l’argomento che spingerà l’Italia a bocciare il «falso federalismo».
Si tratta dell’articolo 117 della Costituzione che, nella versione riformata,
renderebbe automaticamente applicabile in Italia la legislazione europea.
Come dire che ogni decisione presa a Bruxelles sarebbe operativa da noi
senza bisogno di una legge che la recepisca e la adatti. «Una norma
così suicida», si frega le mani Tremonti, «che mi domando
a chi sia venuta in mente. Escludendo Rosa Russo Jervolino, la caccia è
aperta tra i professori di governo, incluso il primo firmatario della legge,
Giuliano Amato...». Bossi, manco a dirlo, è pronto a fare
della questione un cavallo di battaglia. Non a caso in questi giorni ha
alzato il tiro contro l’«Europa stalinista». Altri, come gli
ex-Dc, tirano il freno: attenzione, dicono, a non farci bollare come anti-europei.
Il federalismo è legge, lite sul referendum
Maccanico: la consultazione ci sarà. Il Polo: riforma-boomerang, l’Ulivo sarà punito
R. Zuc.
«CI SARA’ IL REFERENDUM» - La nuova
normativa è passata con 171 «sì», 3 «no»
e 3 astenuti. Si sono espressi a favore i senatori del centrosinistra e
contro Rifondazione comunista, mentre la Casa delle Libertà, pur
restando in Aula, non ha partecipato alla votazione. Ma ora l’attenzione
è puntata sul referendum popolare che può essere richiesto
quando una legge costituzionale non viene approvata dalla maggioranza qualificata
dei due terzi del Parlamento. Il ministro per le Riforme Antonio Maccanico
promette: «Il referendum ci sarà». Ma sulla questione
c’è grande confusione in entrambi i Poli. Il centrosinistra lo considera
«confermativo» e tende a distinguerlo da quello richiesto dalla
Casa delle Libertà che lo definisce «abrogativo», anche
se già numerosi costituzionalisti hanno spiegato che si tratta della
stessa cosa. C’è poi la questione dell’abbinamento alle politiche.
Il centrodestra si divide, con il capogruppo al Senato Enrico La Loggia
che non lo ritiene possibile e il ccd Francesco D’Onofrio convinto invece
del contrario. Ma l’orientamento prevalente, con l’accordo dell’Ulivo,
sembra quello di indire il referendum in autunno.
L’ULIVO ESULTA - Il candidato leader del centrosinistra
Francesco Rutelli parla della nuova legge come di «un fatto straordinariamente
positivo che mostra la differenza tra chi il federalismo lo vuole e chi
fa solo propaganda». Il capogruppo diessino Gavino Angius rincara
la dose: «Il Polo "rosica": pensavano di suonarcele e invece le hanno
prese». Anche i popolari esultano. Il segretario Pierluigi Castagnetti
parla di «tappa importante al pari dell’ingresso dell’Unione monetaria
europea» e Rosa Russo Jervolino accusa il Polo di essere «privo
di senso dello Stato». Conclude il presidente della Camera Luciano
Violante: «È un passo avanti per tutte le Regioni».
«È UNA FINTA RIFORMA» - La
Casa delle Libertà parla di «riforma-boomerang» perché
alla fine «si ritorcerà contro il centrosinistra». Dentro
e fuori l’aula di Palazzo Madama il compito di lanciare un affondo contro
la maggioranza viene lasciato al forzista Enrico La Loggia: «Questo
finto federalismo farà molto male all’Italia: non c’è la
sussidiarietà e un vero federalismo fiscale, mancano la Camera delle
Regioni e la riforma della Corte Costituzionale. La votazione di questa
legge è stato l’ultimo atto di arroganza del centrosinistra. Ad
ogni modo il federalismo vero lo faremo noi dopo aver vinto le elezioni».
Il leader del Ccd Pier Ferdinando Casini parla invece di «occasione
persa, riforma non avvenuta». Ma aggiunge: «Il giudizio della
Casa delle Libertà è negativo anche se fortemente per la
Lega, moderatamente per me».
LE REGIONI - Il Congresso delle Regioni, riunito ieri a Montecitorio, boccia nel complesso la riforma. Ma i presidenti di alcune giunte governate dal centrodestra usano toni più sfumati, come quello della Calabria, Giuseppe Chiaravalloti: «Valuteremo la proposta». Positivo è invece il commento dei presidenti del centrosinistra come Antonio Bassolino (Campania) e Claudio Martini (Toscana).
Corriere della sera - 9-3-2001
DOPO LA DIFESA DELLE NUOVE NORME
La Lega «processa» Ghigo: è
un disertore
Enrico Caiano