Di Gigi Padovani
Nel lungo braccio di ferro con il governo sul federalismo, il primo round va a Formigoni. A sorpresa, ieri la Corte Costituzionale ha deciso che il referendum lombardo sulla «devolution» si farà: a Milano città il 13 maggio gli elettori si troveranno tra le mani sei schede. Ma al di là delle difficoltà che qualcuno potrebbe lamentare una volta nella cabina elettorale, si tratta di una importante vittoria per il centrodestra, che corona l’alleanza Bossi-Berlusconi varata più di un anno fa per le regionali.
Su spinta della Lega, ma con l’accordo di alcuni «governatori» polisti, le Regioni del Nord hanno ingaggiato una corsa contro il tempo per riuscire a votare insieme per le politiche e per l’attribuzione di più poteri alla periferia su sanità, istruzione e polizia locale. Veneto, Liguria e Piemonte non ce l’hanno fatta, la Lombardia sì. Nel Carroccio esultano Maroni e Calderoli, il quale ricorda in particolare quando salì con Bossi al Colle per consegnare al presidente Ciampi, la sera del 5 dicembre ‘99, la «nostra proposta di devoluzione: il sogno si è avverato».
Abbozza il centrosinistra, con D’Alema che bolla l’iniziativa come «propagandistica» e Fassino che accusa Formigoni di voler contrapporre la Lombardia allo Stato. Tutti, compresi i governatori dell’Ulivo, sostengono che il «vero» referendum sarà quello sulla riforma del federalismo varata dal Parlamento. Ma se ne parlerà ad ottobre, ben dopo il voto politico. In realtà, la vera sorpresa per il Polo è stata la sentenza.
Nei giorni scorsi lo stesso Silvio Berlusconi, parlando a Torino al Lingotto per il «social day», aveva ricordato che i membri della Corte sono quasi tutti eletti dalla sinistra, quasi a voler mettere le mani avanti su possibili scelte anti-devolution. E così ieri, accogliendo con un sospiro di sollievo la scelta dei giudici costituzionali, ha corretto il tiro, precisando di non aver «mai criticato la Consulta, ma di aver soltanto fotografato la situazione che tutti conoscono».
La decisione del presidente Cesare Ruperto e dei suoi colleghi, riuniti ieri mattina in camera di consiglio ad ascoltare la relazione di Gustavo Zagrebelsky, non è stata sul merito del quesito referendario, ma sul conflitto di attribuzione sollevato dal governo, che aveva cercato di bloccare i comizi elettorali. L’ordinanza di rigetto della Consulta dà quindi il via libera alla consultazione, perché «non coinvolge “scelte fondamentali di livello costituzionale” in presenza delle quali non è consentita la separata consultazione di frazione del corpo elettorale».
I giudici costituzionali non si sono così attenuti ad una precedente bocciatura di un analogo referendum proposto dal Veneto, avanzato da Galan nella scorsa legislatura, perché nella domanda di Formigoni vi è un esplicito richiamo all’unità nazionale. Una scelta che non convince alcuni costituzionalisti, come Leopoldo Elia (oggi capogruppo uscente del Ppi al Senato), il quale sostiene che anche il referendum di Formigoni coinvolgerebbe «materie rilevanti per la stessa unità nazionale, quali sanità, istruzione e polizia locale».
Mentre per un altro ex del Palazzo della Consulta, Vincenzo Caianiello, si tratta di una decisione inspiegabile, perché il referendum sarebbe una indebita interferenza sul Parlamento. Come è noto, la vittoria del «sì» il 13 maggio non avrebbe conseguenze pratiche, ma soltanto politiche.
Lo ricorda persino Fini, pur ricordando che così si salda l’accordo Polo-Lega, perché «non significa, per esempio, che per quanto riguarda la scuola si eliminirà il ministro della Pubblica istruzione». Infatti i cittadini lombardi darebbero soltanto il «via libera» alla giunta Formigoni a formulare proposte di legge costituzionale per ottenere più poteri, oppure per attuare trasferimenti con leggi ordinarie. Si vedrà il 5 giugno se la Corte interverrà ancora sul merito.
In ogni caso, sulla sorte della consultazione pende un altro ricorso, sul quale dovrà esprimersi il Tar della Lombardia il 20 aprile. E’ stato promosso da un comitato di cittadini, tra i quali c’è il consigliere regionale lombardo dei Verdi, Carlo Monguzzi, e sostiene che l’iniziativa del Pirellone viola alcune norme ordinarie della Regione.
Anche uno dei «padri» dell’accordo Polo-Lega, Giulio Tremonti, ammette che tra referendum locali e nazionali, confermativi o abrogativi, consultivi o no, si sta creando un «ingorgo» istituzionale. Piemonte, Veneto e Liguria stanno a guardare. Il presidente dei governatori, Enzo Ghigo, ieri ha detto di apprezzare la delibera dei giudici, come dimostrazione di una «nuova sensibilità verso le Regioni». Ma prudentemente non ha convocato i piemontesi alle urne.
La Repubblica
- 06/04/2001
Devolution, via al referendum
La Consulta dice sì alla Lombardia, si vota
il 13 maggio
Di Silvio Buzzanca
ROMA - Il 13 maggio i lombardi si ritroveranno fra le mani una scheda
in più: quella del referendum consultivo sulla devolution voluto
ad ogni costo da Roberto Formigoni e la sua giunta di centrodestra. Il
via libera è arrivato ieri dalla Corte costituzionale che ha respinto
la richiesta di sospensiva della consultazione avanzata dal governo il
mese scorso. Esultano il Polo e la Lega, un po' sorpreso l'Ulivo che puntava
sul precedente no al referendum analogo presentato dal Veneto. La Consulta
però non si è pronunciata nel merito del problema, il conflitto
di attribuzioni fra Stato e Regione, e ha solo rinviato la decisione al
5 giugno. In quella data i giudici decideranno anche sull'identica proposta
di referendum avanzata dal Piemonte.
La motivazione che ha spinto i giudici a respingere la sospensiva chiesta
da Palazzo Chigi è che nella proposta di referendum lombardo «non
ricorrono quelle gravi ragioni che, sole, giustificano la sospensione dell'esecuzione
degli atti che danno luogo al conflitto di attribuzione tra Stato e Regione»
L'estensore dell'ordinanza, Gustavo Zagrebelski, uno dei giudici nominati
da Oscar Luigi Scalfaro messi sotto accusa recentemente da Silvio Berlusconi,
spiega che la consultazione voluta da Formigoni «non coinvolge "scelte
fondamentali di livello costituzionale" in presenza delle quali non è
consentita la separata consultazione di frazioni del corpo elettorale».
In pratica, la Consulta non ha riscontrato nel testo presentato da Formigoni
gli stessi pericoli per le procedure di revisione costituzionali che aveva
invece trovato nel referendum proposto dal Veneto. Una tesi, quella della
differenza fra i due quesiti, sostenuta fin dall'inizio dall'avvocato della
Regione, Beniamino Caravita di Torrito, padre e difensore davanti alla
Consulta, di molti referendum radicali.
È evidente che dietro il tecnicismo giuridico c'è una
sostanza politica molto forte. Polo e Lega hanno vinto un round importante
e il 13 maggio si voterà sulla devolution. La contromossa dell'Ulivo
è invece in alto mare. La rapida approvazione delle modifiche costituzionali
sul federalismo prevedeva, infatti, l'idea di votare il referendum confermativo
nello stesso giorno di quello pensato da Formigoni. Un referendum vero
che cambia la Costituzione contro uno consultivo e molto vago nei suoi
contenuti: questo era il progetto ulivista. E la veloce sentenza della
Cassazione sui referendum proposti da Polo e Ulivo aveva aperto spazi per
un voto il 13 maggio. Ma Giuliano Amato ha escluso questa possibilità.
E anche nel Consiglio dei ministri di mercoledì non si è
parlato della data del referendum consultivo.
Inoltre è evidente che il 5 giugno il referendum, consultivo,
si sarà già svolto e quindi un eventuale no della Consulta
nel merito avrà un effetto vicino allo zero. Ammesso che il no ci
sia. Ettore Gallo, per esempio, uno degli ex presidente della Corte, spiega
che «ci sono già stati casi del genere in passato: la Corte
rifiuta la sospensiva, ma poi dice no nel merito». Ma, aggiunge il
presidente emerito, «il no alla sospensiva fa capire che forse c'è
già un orientamento a dire no anche nel merito». Più
esplicito un altro ex presidente, Antonio Baldassarre: «Ritengo che
ormai la Corte abbia deciso per l'ammissibilità e - spiega - suppongo
che lo abbia fatto perché ritiene che la Regione abbia un potere
di iniziativa in materia di riforma delle leggi costituzionali, quindi
anche del titolo quinto della Costituzione». Sorpreso della decisione
della Consulta è invece Vincenzo Caianiello. L'ex presidente non
si spiega come molti referendum radicali siano stati bocciati in passato
e quello di Formigoni, - «un'indebita interferenza nel procedimento
di revisione costituzionale e un condizionamento del Parlamento nazionale»,
- sia stato ammesso. La vicenda giudica però non è del tutto
chiusa: di fronte al Tar della Lombardia giace un ricorso contro il referendum
presentato dal consigliere regionale verde Carlo Monguzzi e alcuni comitati.
Per un puro caso, il tribunale amministrativo ha affrontato proprio ieri
la questione e ha rinviato ogni decisione al 20 aprile.
Il quesito del referendum sulla devolution recita: «Volete voi che la Regione Lombardia, nel quadro dell'unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie alla promozione del trasferimento di funzioni statali in materia di sanità, istruzione, anche professionale, e polizia locale, alla Regione?».
Corriere della sera - 06/04/2001
Lombardia, si voterà sulla devolution Via libera dalla Consulta: il 13 maggio referendum per dare più poteri alla Regione
«Non ci sono le gravi ragioni prospettate dall’esecutivo per sospendere la delibera»
IL SI’ DELLA CORTE - I giudici hanno ritenuto che non vi fossero «gravi ragioni» per sospendere - come chiedeva il governo - la delibera lombarda sul referendum. A loro parere (relatore il giudice Zagrebelsky) «l’atto della Regione non coinvolge scelte fondamentali di livello costituzionale, le sole che giustificano la sospensione dell’esecuzione della delibera». In pratica: la tesi della Consulta è che la Lombardia, utilizzando lo strumento dell’atto amministrativo per indire il referendum, non corre il rischio di entrare in rotta di collisione con i principi della Costituzione. I giudici, però, hanno rinviato al 5 giugno il pronunciamento sul merito della delibera, ma per allora il referendum sarà già stato celebrato. E questo è ciò che sta a cuore a Formigoni.
GOVERNO SCONFITTO - L’esecutivo sosteneva invece «l’illegittimità e l’invasività» dell’atto lombardo. Contestava i contenuti del quesito referendario, ritenendolo «scarsamente omogeneo e chiaro». Ma soprattutto ricordava i precedenti pronunciamenti della Corte contro analoghe iniziative del Veneto, quando i giudici ritennero illegittima «una doppia consultazione popolare: prima da parte di una Regione e poi dell’intero territorio nazionale».
LA DIFESA LOMBARDA - Formigoni ha sempre sostenuto che la sua è «un’iniziativa istituzionale» che, pur forzando al massimo le competenze della Regione, «rientra nel quadro dell’unità nazionale». Nessuna volontà quindi di «modificare la Costituzione», bensì la richiesta di ottenere «il trasferimento alla Lombardia delle funzioni attualmente in mano allo Stato su sanità, scuola e polizia locale».
DIFFERENZE CON IL VENETO - Nel ’92 e nel ’98 anche il presidente Giancarlo Galan chiese di poter celebrare un referendum analogo. Ma venne bocciato dalla Corte. Il motivo va probabilmente ricercato nel fatto che Galan, a differenza di Formigoni, ricorse non ad una delibera ma ad una legge regionale che puntava ad una revisione della Costituzione. E inoltre i contenuti del suo referendum furono ritenuti dai giudici in conflitto con la Carta. Il Piemonte ha seguito una strada simile a quella della Lombardia, ma senza indicare la data del referendum: la Corte ha rinviato la questione a giugno.
REFERENDUM FEDERALISTA - Non ha invece nulla a che fare con la consultazione lombarda il referendum (chiesto da Ulivo e Polo) sulla miniriforma federalista approvata dal Parlamento. L’obiettivo della consultazione è confermare o meno il lavoro delle Camere. L’Ulivo è per il sì, il Polo per il no. La data non è ancora stata fissata.