Riforme Istituzionali
Osservatorio sulla devolution
 
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La Stampa - 06/04/2001
 
Formigoni: una valanga di sì per condizionare il governo

LA notizia gli è arrivata tramite l’equipaggio del jet Air France in volo da Città del Messico a Parigi, ieri pomeriggio: Roberto Formigoni, di ritorno da uno dei suoi consueti viaggi in Sud America parla di «giornata storica». Esulta, il presidente della Lombardia: in questo referendum ha creduto fin dall’inizio, con ostinazione, superando anche la diffidenza di altri «governatori» del Nord. Formigoni è convinto che il 13 maggio i lombardi accoglieranno con una sorta di «plebiscito» il quesito federalista: un voto che condizionerà il nuovo governo. Presidente Formigoni, è sorpreso dalla decisione della Corte Costituzionale?
«Sapevo che la nostra impostazione ha una correttezza istituzionale millimetrica: avevo pienamente fiducia».
Lei aveva detto: tutti sanno che il centrosinistra farà pressioni sulla Corte. Se ci sono state, non hanno avuto l’esito sperato dal governo, a quanto pare.
«Volentieri do atto alla Corte Costituzionale della sua imparzialità. Con questa sentenza ha scritto, non è retorica, una pagina nuova nella storia italiana. Ha confermato la piena compatibilità tra la devoluzione e il quadro dell’unità nazionale».
Nel quesito avete inserito quel riferimento...
«Noi abbiamo aperto un cammino nuovo. Il federalismo si costruisce dal basso, attraverso referendum regionali, differenziati tra di loro. Ogni Regione ha una sua strada, purché rispetti la Costituzione, e l’unità nazionale».
E’ contento che la Lombardia sia arrivata prima al traguardo?
«Guardi, non ho mai fatto la gara con nessuno. Ci tenevo a che non si perdesse il tempo e volevo che i cittadini potessero pronunciarsi».
Mi risulta che i manifesti per le elezioni siano già stampati: si è preparato per tempo.
«Ci credevo. In questi mesi mi sono mosso convinto che la corte poteva approvare il referendum: ho approntato tutto in attesa di un possibile "via libera" il cinque aprile. Non volevo finire fuori tempo massimo».
Lei stava rientrando dal Messico: state preparando la possibilità di far votare i lombardi all’estero?
«La giunta ha già varato una proposta di legge, che il Consiglio deve varare e poi ottenere il sì dal governo, affinché al referendum votino anche i lombardi residenti all’estero. Gli emigrati sono circa 700 mila, gli aventi diritto al voto circa mezzo milione».
Lei pensa di ottenere un plebiscito per il federalismo, il 13 maggio e che questo indicherà un percorso a tutto il Nord?
«Mi auguro di sì. Durante l’anno ho sentito un fortissimo sostegno, molto convinto, da parte dei miei concittadini. Se le urne confermeranno questa sensazione, si aprirà una strada anche per le altre Regioni, la strada della devoluzione».
I cittadini sanno per cosa andranno a votare?
«Sì. Dovranno dire se trasferire alla Regione le competenze in materia di sanità, istruzione anche professionale e polizia locale. Per le prime due si tratta di delegare la totalità delle competenze, invece per l’ordine pubblico sono norme concorrenti, come la determinazione delle quote di immigrati, insieme al ministero dell’Interno, o il potere convocatorio della conferenza di questori e prefetti».
Non c’è il rischio che i lombardi vadano a votare e poi il 5 giugno la Consulta decida sul merito annullando tutto?
«Il governo aveva chiesto la sospensiva cautelare, oltre al giudizio nel merito. La corte non ha neppure concesso la sospensione: ha ritenuto che il procedimento è manifestamente fondato. Per cui credo che il 5 giugno non ci sarà una ulteriore decisione contraria a noi».
Sul piano politico quali saranno le conseguenze di una vittoria del «sì» in Lombardia? Alcuni governatori del Polo pare siano preoccupati di non aver più spazio di manovra, specie con un governo Berlusconi, perché con una maggioranza di centrodestra dovrebbero «abbozzare». Anche lei è di questa opinione?
«E’ chiaro che il futuro governo ne dovrà tenere conto, qualunque esso sia. Conoscendo poi la volontà di Berlusconi e degli alleati della Casa delle Libertà, non ho alcun timore. Se i "sì" saranno tanti, saranno come tanti macigni sulla strada del nuovo esecutivo, affinché la devoluzione parta in tempi rapidi. Mi auguro di avere a Palazzo Chigi una formazione governativa in sintonia con noi, con la quale sarà più facile trattare».
Ha seguito le polemiche sul libro del ministro Loiero? Teme che la ricchezza disponibile, con il federalismo fiscale voluto dalla Lega, per il cittadino della Calabria si dimezzi mentre aumenti per un lombardo. Come replica?
«La posizione della Casa delle Libertà è fissata in un emendamento comune: a questo si deve riferire Loiero, non a posizioni di "testimonianza" della Lega tipiche di quando si fa opposizione. Ma Loiero sappia che il nostro è un federalismo graduale e sperimentale. Si comincia da sanità, istruzione e polizia locale, poi andremo avanti».
Si sente più forte?
«Nessuno si aspettava questo risultato, è stato un premio alla nostra impostazione».
Prevede che il referendum favorirà Lega e Polo?
«Credo di sì, ma credo che il numero di "sì" sarà superiore alla somma dei voti della Casa delle Libertà: l’idea del federalismo è largamente diffusa».


Corriere della sera - 06/04/2001
 
Galan: il sì dei magistrati era scontato Formigoni non ha chiesto un granché
 

MILANO - Prima reazione. Faticosa. «Oh, sia chiaro, sono contento per il mio amico Formigoni...». Seconda reazione. Più spontanea. «Però, diciamoci la verità, era abbastanza scontato che ce la facesse: quella delibera non è poi gran cosa...». Sono passate poche ore dal «via libera» della Consulta al referendum lombardo e Giancarlo Galan, «governatore» berlusconiano del Veneto, si sta lentamente rimettendo dal colpo. Un brutto colpo: il collega Formigoni avrà il tanto desiderato referendum sulla devoluzione e lui, che del federalismo spinto si considera da sempre un’avanguardia e che da 10 anni propone la stessa cosa puntualmente bocciato dai giudici, dovrà restare alla finestra. «Ma non mi sento una vittima della Corte - dice -, tutto nasce dal fatto che le mie passate richieste di referendum poggiavano su contenuti ben più corposi di quelli ammessi ora. Sotto questo aspetto, il Veneto è avanti 20 volte su tutte le altre Regioni». Però in Lombardia il referendum si farà e per di più in concomitanza con le elezioni del 13 maggio...

«Sì, sì, Formigoni incassa un ottimo risultato politico e, anche se sul merito del referendum la Corte dovrà poi pronunciarsi, poter chiamare alle urne i lombardi sulla devoluzione è un fatto importante per la Casa delle Libertà».
Perchè non ha seguito la stessa procedura?
«Non potevo: lo Statuto veneto del ’72 stabilisce che i referendum regionali possono essere indetti solo con apposita legge. In Lombardia lo si può fare anche con una delibera. Tra l’altro, ad essere sinceri, mi pare un po’ discutibile portare al voto milioni di cittadini con semplice atto amministrativo. Ma Formigoni aveva questa possibilità e ha fatto bene a sfruttarla».
Quali sono le differenze di contenuti tra la delibera lombarda e le leggi venete bocciate dalla Corte?
«Notevoli. Il referendum lombardo chiede in sostanza che lo Stato emani una legge che dia più poteri alla Regione su scuola, sanità e polizia locale. Non prevede cioè modifiche alla Costituzione. La nostra iniziativa del ’98, invece, puntava ad ottenere dallo Stato ampi poteri: dalle competenze fiscali, fino al diritto di approvare le leggi comunitarie».
Non pago del doppio stop, lei nell’ottobre 2000 ha di nuovo chiesto il referendum: pensa che ora possa cambiare qualcosa?
«La legge di qualche mese fa è diversa dalle precedenti: è praticamente identica a quella della Lombardia... Potrei insistere, ma preferisco aspettare: se vinciamo le elezioni, la devoluzione si farà senza referendum».
E’ così sicuro dell’anima federalista di Berlusconi?
«Di una sola cosa sono sicuro: così come non sono stato remissivo col governo della sinistra, altrettanto farò con quello Berlusconi».
Le recenti critiche del Cavaliere alla Consulta possono avere condizionato i giudici sul caso Lombardia?
«No, ho grande rispetto per la Corte. Anche se a volte si adegua con esasperante lentezza ai mutamenti della società. Non a caso chiediamo da mesi che una parte dei giudici sia eletta dalle Regioni».
 


 
Storace: la riforma spetta alle Camere. Dai cittadini lombardi solo un parere
ROMA - «Entusiasta proprio no». Francesco Storace è soddisfatto ma non condivide l’esultanza del Polo per il successo ottenuto da Roberto Formigoni e dalla Lombardia: «Avrei preferito che insieme alle politiche si svolgesse il referendum nazionale sul federalismo, per promuovere o bocciare la legge fatta a maggioranza da questo Parlamento: così, sì che si sarebbe creato un momento di grande dibattito sulla forma dello Stato». E invece, il potente presidente della Regione Lazio dovrà accontentarsi di vedere che cosa pensano i cittadini lombardi. Anche se è pronto a riconoscere che «il fatto comunque che la Corte abbia ammesso il referendum è un fatto positivo, perché così si segnerà un passo importante di direzione politica». Teme che al Nord prevalga il referendum sulla devolution sul voto politico?
«L’appuntamento più importante restano le elezioni per il Parlamento. E francamente sul federalismo, più che questi discorsi sul quesito referendario, per forza generici, anche se importanti, preferirei leggere che cosa dice il Polo nel suo programma elettorale sull’argomento».
Con sidera che ci sia troppo poco?
«Temo che ci sia uno scarso interesse per il ruolo di Roma capitale dello Stato federale. Sento un assordante silenzio sull’argomento. C’è un po’ di imbarazzo: non capisco perché su Roma si deve scomodare il legislatore costituente quando si tratta soltanto di ammettere una verità storica».
Sospetta che ci sia un’influenza troppo forte della Lega nella politica federalista del Polo?
«Anche l’Ulivo ha dimenticato Roma. Il centrodestra, Lega compresa, firmò invece un emendamento alla legge sul federalismo per istituire la regione di Roma capitale. C’è ancora questo capitolo nella proposta del Polo?».
Non so, ce lo dica lei.
«Vorrei vederlo questo programma del Polo».
Torniamo al referendum di Formigoni: la Lombardia consultando i suoi cittadini sul tema si pone in primo piano.
«Ma il quesito è comunque rispettoso dell’unità nazionale. E in democrazia ogni tanto ascoltare i cittadini non è un delitto. Anzi è un bene, visto che non lo si è fatto nella vicenda delle liste elettorali. Quanto ai rischi che la Lombardia "fugga" in avanti, non ne vedo: i sospetti su Formigoni sono maliziosi».
Ma nei fatti la Lombardia accelera.
«Il Polo alla fine darà vita ad una riforma federalista compiuta, che deve tenere conto anche dei problemi e degli interessi delle altre regioni. Ci deve essere una legge che indaghi sui ritardi di alcune regioni e offra pari opportunità a tutte di contribuire al sistema federale. Ricordo che l’ultima parola spetta alle Camere: sarà il Parlamento a dover discutere una legge organica sul federalismo, non i cittadini lombardi da soli, il cui parere è solo consultivo».

 
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