Massimo Luciani
Il referendum
consultivo lombardo sulla devoluzione, dunque, si farà. La Corte
Costituzionale, infatti, nella camera di consiglio di ieri, oltre a prendere
atto della rinuncia dello Stato alla domanda di sospensione del referendum
piemontese, ha rigettato la domanda di sospensione nei confronti di quello
promosso dalla Lombardia. Non c’è dubbio che sul piano politico
questa decisione è destinata a fare molto rumore.
Se la si
analizza, pacatamente, però, sul piano giuridico, non sembra proprio
che ci siano grandi novità rispetto al passato. Il passato, per
la verità, è molto recente, ed è rappresentato dalla
sentenza n. 496 del 2000, che aveva bocciato un referendum promosso dalla
Regione Veneto, che intendeva chiamare i propri cittadini a pronunciarsi
sull’ipotesi di un’iniziativa regionale di revisione della Costituzione
in senso autonomista.
In quella
occasione, gli argomenti principali furono due: il referendum non è
un atto a schema libero, ma ha forme tipiche dalle quali non ci si può
discostare; un referendum consultivo sull’iniziativa legislativa regionale
di revisione della Costituzione presupporrebbe «più popoli»,
poiché consentirebbe alla frazione regionale del corpo elettorale
di pronunciarsi due volte, prima sull’iniziativa referendaria della Regione,
e poi sulla legge costituzionale che, eventualmente, ne scaturisse. In
altri termini: le Regioni possono sì promuovere referendum consultivi,
ma non quando essi attengono al procedimento di revisione della Costituzione.
Le cose,
oggi, non sembrano cambiate. E’ vero che la pronuncia definitiva della
Corte arriverà più tardi, a referendum già tenuto,
quando si esaminerà approfonditamente il merito della questione
e non più il solo tema della sospensione. Sin da ora, però,
sembra ragionevole dire che la Corte ha interpretato il quesito lombardo
come se non coinvolgesse la revisione della Costituzione e solo per questo
non ha imposto la sospensione delle operazioni.
In effetti,
il quesito non parla affatto di revisione, visto che si limita ad auspicare
la «promozione» del «trasferimento» di funzioni
statali alle Regioni, e che il trasferimento può ben avvenire (anzi,
tipicamente è avvenuto) con semplici leggi ordinarie o decreti legislativi.
La prudenza del quesito, insomma, ha permesso il primo via libera al referendum
e, probabilmente, permetterà la sua promozione definitiva quando
la Corte si pronuncerà sul merito. E la precedente (e recentissima)
giurisprudenza costituzionale non sembra essere stata smentita.
La Repubblica
- 06/04/2001
QUELL'INUTILE SCORCIATOIA
Andrea Manzella
IL REFERENDUM a cui la Regione Lombardia vuole chiamare i suoi elettori
non è eversivo ma è inutile. Quando la Corte Costituzionale
il 5 giugno lo esaminerà nel merito, dovrà farlo in un quadro
complessivo che ricomprende anche la legge costituzionale sul "federalismo"
approvata dal Parlamento ma ora "sospesa" in attesa, a sua volta, di referendum
costituzionale.
E, allora, la Corte potrà ben dire che quel quesito è
assorbito dalle norme che già prevedono per sanità, istruzione,
polizia locale la competenza regionale.
O comunque dovrà considerare quel referendum parziale come «assorbito»
dal referendum costituzionale nazionale che dovrà farsi sulla nuova
legge.
A quel punto però il referendum «inutile» dei lombardi
potrebbe essere stato celebrato il 13 di maggio. Soldi e voti buttati via.
Un bel pasticcio (anche per il presidente lombardo che dovrebbe invitare
a votare sì per il referendum regionale e a votare no per il referendum
costituzionale...).
E tuttavia la Corte Costituzionale non poteva non decidere così
come ha deciso. Per sospendere un referendum regionale occorrono infatti
«ragioni gravi». Così fu per quel referendum veneto
di natura eversiva della Costituzione e del ruolo delle Regioni in essa,
respinto perciò, nel merito, con la sentenza del 14 novembre 2000.
Il referendum lombardo è invece passato indenne proprio perché
indetto per «futili motivi» propagandistici, su un impianto
concettuale ripetitivo di quello della legge approvata dal Parlamento (ma
non ancora entrata in vigore) e perciò rispettoso della logica costituzionale.
Questo non vuol dire che il referendum lombardo si farà veramente
il 13 maggio. Siamo nella novità assoluta, infatti. Il 13 maggio
ci sono elezioni nazionali e questo referendum è di marca regionale.
Dove si collocherà l'urna referendaria regionale? Come si concilieranno
le differenti norme legislative sulla composizione dei seggi, sugli orari,
sulle cadenze di scrutinio? Ad occhio e croce per fare celebrare questo
referendum «inutile», il governo e il Parlamento nazionale
dovrebbero approvare, subito subito (con questi chiari di Luna), un decreto
legge.
Perché non è ovviamente una unilaterale iniziativa regionale.
Comunque vadano le cose, è ben triste però questa via
giudiziaria e formalistica al federalismo. Un grande progetto repubblicano
è affidato così al gioco delle carte bollate e all'inevitabile
intrico di ricorsi sospensivi e di ricorsi nel merito. Questo incrocio
delle storiche ragioni delle autonomie territoriali - quelle che la Repubblica
non crea ma «riconosce» come dice la Costituzione (perché
erano già là quando la Repubblica è nata) - con le
contingenti motivazioni di una campagna elettorale senza quartiere, è
un brutto e pericoloso incrocio. Devono farvi attenzione sia quelli che
vengono da destra, sia quelli che vengono da sinistra.
Corriere della sera - 06/04/2001
RETORICA E DEMOCRAZIA