Riforme Istituzionali
Osservatorio sulla devolution
 
Rassegna stampa
 
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La Repubblica 03-08-2001
 
Il compromesso tra An e Lega grazie al parere della Consulta
Quattro ore di discussione, poi il consiglio dei ministri dà il via libera
il retroscena

Barbara Jerkov
 
ROMA - Quattro ore e passa di discussione, ventotto punti all'ordine del giorno perché la settimana prossima si chiude e tutti in vacanza. Ma in Consiglio dei ministri nemmeno un accenno, niente, neppure per sbaglio, ai temi caldi di queste ore: sicurezza e dopoG8. Singolare, effettivamente, anche se Berlusconi ha già convocato i suoi ministri per il 9 agosto alle 9 e lì sì che Scajola potrebbe proporre il trasferimento dei prefetti rimossi. Ma ieri il piatto forte di una discussione che spaziava dalla ratifica del Trattato di Nizza (con Bossi che punta i piedi: «E' antidemocratico!», protesta, mentre Buttiglione difende gli impegni europeisti presi dall'Italia: «Sennò io qui che ci sto a fare?...») all'assunzione di 35 mila precari nelle scuole, era un altro. Era la devolution.
«Così abbiamo completato le dodici tavole del nostro programma», chiosa tutto soddisfatto Berlusconi, chiudendo la riunione. «Resta ancora la riforma fiscale, ma con quel buco nei conti che abbiamo trovato...». Della devolution si parla per ultima. Bossi e Tremonti escono a più riprese insieme dalla sala del Consiglio per appartarsi e limare gli ultimi dettagli. In realtà, l'altra notte hanno fatto l'alba lavorando gomito a gomito alla ricerca di una soluzione. Alla fine è proprio il Senatur a trovarla: le leggi delle Regioni nelle materie in cui la riforma dovrebbe dare loro competenze assolute saranno sottoposte al vaglio preventivo della Corte costituzionale. Effettivamente Fini, raggiunto in mattinata, apprezza. Tutti d'accordo. Si può procedere.
Così, quando in Consiglio dei ministri arriva il momento, è lo stesso premier a introdurre l'argomento devolution con tutta la solennità del caso: «Cari colleghi, vorrei ringraziare qui davanti a tutti voi Bossi e Fini per l'impegno che hanno profuso per trovare una soluzione di alto profilo». Umberto sorride, Gianfranco annuisce. Magari anche perché ognuno dei due vede l'escamotage del vaglio costituzionale da un'altra angolazione. Basta sentire i rispettivi colonnelli per capirlo: An pensa a una Corte costitiuzionale così com'è oggi, in grado cioè di frenare le spinte iperfederaliste; i leghisti sono certi che alla fine anche la Consulta verrà "federalizzata" con la nomina regionale dei giudici. «Si gioca sull'equivoco, ma in questo momento fa comodo a tutti», sussurra un alto esponente centrista.
A vivacizzare la riunione, invece, è un'altra riforma costituzionale. Il ministro Prestigiacomo tenta infatti un vero e proprio blitz, per riscrivere l'articolo 51 della Costituzione, quello che riconosce la parità fra uomo e donna, introducendo una disposizione che legittimi «azioni positive per il riequilibrio della rappresentanza fra i sessi nelle assemblee elettive e negli uffici pubblici». La ministra illustra e difende con veemenza la proposta di «parità di accesso». Ma deve scontrarsi contro il muro opposto soprattutto da tre colleghi: Bossi, Fini e Giovanardi.
«Fino a prova contraria il ministro delle Riforme sono io», sbotta il Senatur, «e io a questa cosa qui non ci sto!». «Se qualcuno pensa di introdurre le famose "quote" nelle liste elettorali», lo spalleggia Giovanardi, «succede che oggi si comincia con le donne, poi arriveranno le minoranze linguistiche, quelle etniche...». «E' un precedente pericoloso», conviene il vicepremier. Alla fine i prudenti hanno la meglio. La proposta di legge di riforma dell'art.51 non parla più di «parità di accesso». Si accontenta di indicare «pari opportunità». Il celodurismo ha vinto ancora una volta.
 



 
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