Corriere.it 29-07-2006
Intervista al governatore sui nuovi poteri regionali
«Lombardia autonoma, ecco come farò»
La mossa di Formigoni: avvio subito l'iter previsto dalla Costituzione,
ne ho parlato con Prodi e Letta
Formigoni chiede al governo e al Parlamento maggiore autonomia per
la Lombardia. «Non è né una ripicca, né una
rivalsa sulla sconfitta al referendum — spiega —.
Chiediamo di poter fare le cose che ci servono e che possiamo fare
meglio dello Stato». L'obiettivo? Energia a prezzi più bassi,
maggiore indipendenza della scuola pubblica e privata, riconoscimenti anche
economici per medici e infermieri, limiti sulle emissioni inquinanti più
restrittivi per l'immatricolazione di veicoli nuovi, possibilità
di accordi internazionali in materia di ricerca scientifica, snellimento
dei processi civili attraverso un potenziamento delle strutture dei giudici
di pace e delle camere di arbitrato e conciliazione.
Formigoni si appella all'articolo della Costituzione (il 116) sulle
Regioni a statuto speciale, secondo il quale «ulteriori forme e condizioni
particolari di autonomia» su materie specifiche «possono essere
attribuite ad altre Regioni». È un'iniziativa, quella del
presidente lombardo, che richiede un accordo bipartisan, perché
il progetto deve essere approvato dal consiglio regionale (guidato dal
centrodestra) e poi «approvato dalle Camere a maggioranza assoluta
dei componenti, sulla base di un'intesa fra lo Stato e la Regione interessata».
Dunque è indispensabile un accordo con il centrosinistra: prima
con il governo, poi con la maggioranza parlamentare.
Crede sia possibile arrivare a questo accordo?
«Giovedì il consiglio regionale ha approvato un ordine
del giorno nel quale si chiede, fra l'altro, di "attivare le procedure
che l'attuale Costituzione consente per l'assegnazione alla Regione Lombardia
di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia". Ds e Margherita
hanno votato con la maggioranza, e questo è stato un gesto di coraggio
particolarmente apprezzato. In Lombardia si è inaugurata una fase
nuova, una fase di dialogo costruttivo. La nostra maggioranza è
forte e autosufficiente, ma la proposta che porterò prima in giunta
e poi in consiglio è aperta al confronto, alla discussione, al contributo
di tutti. Poi partirà il negoziato con il governo».
Ne ha già parlato con il governo?
«Ne ho chiacchierato con il sottosegretario Letta e l'ho accennato
al presidente Prodi».
Perché non ha chiesto più autonomia per la Lombardia
quando al governo c'era Berlusconi?
«Per lo stesso motivo per cui non abbiamo ancora varato lo statuto
regionale, e cioè perché serviva un quadro di riferimento
normativo consolidato. Ora, dopo il risultato del referendum, sappiamo
che questa è la Costituzione con la quale dobbiamo fare i conti
e quindi ci muoveremo su due fronti: da un lato lo statuto, dall'altro
l'articolo 116».
È il primo passo verso la costituzione di quel Lombardo-Veneto
che nella Cdl qualcuno teorizza?
«No: è la Lombardia che diventa più autonoma. Credo
che altre Regioni potrebbero percorrere la stessa strada, magari chiedendo
maggiori poteri su altre materie. Guai a farne una questione ideologica.
Stiamo parlando di un regionalismo differenziato da maneggiare con
grandissima cura e con molto spirito pragmatico. L'obiettivo è creare
un vantaggio per i cittadini, non quello di conquistare un pennacchietto
da mettere sul cappello».
Su quali materie chiederete maggiore autonomia?
«Premesso, come ho già detto, che la mia è una
proposta aperta al dialogo e al confronto, i temi potrebbero essere quelli
relativi alla salute, all'istruzione, all'ambiente, all'energia, alla ricerca
scientifica e tecnologica, all'organizzazione della giustizia di pace».
Quali potrebbero essere i vantaggi per i cittadini?
«Partiamo dalla salute: una maggiore autonomia ci consentirebbe,
ad esempio, di superare i limiti imposti dallo Stato in termini di posti
letto per numero di abitanti per far salve le peculiarità territoriali
pur nel rispetto degli equilibri fra entrate e spese. Penso poi alla scelta
del modello organizzativo, al regime giuridico delle Aziende sanitarie,
alle procedure di accreditamento. Infine i contratti di lavoro del settore
e le convenzioni con i medici di medicina generale: potremmo chiedere di
più in cambio di remunerazioni migliori».
Veniamo all'istruzione: la richiesta di maggiori poteri non è
una scorciatoia per favorire le scuole private e quelle cattoliche in particolare?
«No: è la strada maestra per valorizzare i singoli istituti,
pubblici e privati, il corpo docenti e il rapporto fra presidi e genitori.
I programmi resterebbero quelli fissati a livello nazionale, salvo la piccola
quota definita da ciascuna Regione, ma ogni istituto dovrebbe avere un'autonomia
esasperata nella definizione dell'offerta formativa, nella gestione delle
risorse finanziarie e umane. E anche in questo settore si potrebbe arrivare
a una contrattazione decentrata per tradurre anche in termini economici
la valorizzazione delle professionalità».
Passiamo agli altri temi.
«La Lombardia è tra le Regioni che consumano più
energia e potrebbe trarre vantaggio da una maggiore flessibilità
nell'approvvigionamento energetico. Potremmo chiedere allo Stato un'esenzione
fiscale, dell'Iva per esempio, in cambio di misure per il risparmio energetico
e della disponibilità a ospitare strutture come gli hub del gas.
Per quanto riguarda la ricerca, infine, vorremmo avere la possibilità
di stipulare accordi con altre Regioni o altri Stati, favorire la mobilità
dei ricercatori e così via».
Resta il tema delicatissimo della giustizia.
«Della giustizia di pace, come prevede la Costituzione. Se riusciamo
a farla funzionare meglio, possiamo sgravare quella ordinaria dalle cause
minori che intasano i tribunali. E così pure con la valorizzazione
delle camere di arbitrato e di conciliazione presenti nelle Camere di Commercio.
Una giustizia più veloce è un fattore di competitività,
perché gli investitori stranieri spesso sono spaventati dai tempi
lunghi delle nostre controversie giudiziarie».
Presidente, non è che, perso il referendum, cercate di fare
rientrare dalla finestra quello che è rimasto chiuso fuori dalla
porta?
«No. Quello che ho in mente è un federalismo funzionale,
cioè né ideologico, né di bandiera. Per questo credo
che un accordo sia possibile e necessario».
Claudio Schirinzi
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