Riforme Istituzionali
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Corriere.it   31-07-2006

Autonomia lombarda, il Colle apre un dossier
 
ROMA - Un mese fa, dopo il referendum che ha bocciato seccamente la devolution del centrodestra, si è preoccupato di ammonire vincitori e vinti: «L’ancoraggio ai lineamenti essenziali della Costituzione non si identifica con un chiuso e insostenibile conservatorismo». Insomma, per Giorgio Napolitano quel voto non ha posto una pietra tombale su eventuali riforme in senso federalista. Cambiare si può. A patto che maggioranza e opposizione ritrovino il filo del dialogo e si confrontino in un serio tentativo di cercare «ampie convergenze» e «soluzioni condivise». Ora, passate le schermaglie parlamentari sull’Afghanistan e sull’indulto, un nuovo banco di prova per la coesione da lui predicata - e comunque tutta da costruire - è riassunto in un fascicolo azzurro che si va infoltendo di ritagli e che da sabato scorso è stato portato «all’attenzione del presidente della Repubblica». Un dossier con i resoconti sul «progetto di autonomia lombarda» lanciato dal governatore forzista Roberto Formigoni.
Una proposta che sul Colle si valuta con «attenzione guardinga», per dirla con il lessico (a sua volta guardingo) utilizzato in simili circostanze. Cioè: con interesse ma senza troppe aspettative, per il momento, in attesa che il quadro si chiarisca politicamente e istituzionalmente. E con la speranza che analoghe iniziative possano essere promosse dalle Regioni del Sud, in modo che non si creino altre disparità nel Paese.
Certo, anche per il capo dello Stato forme di regionalismo differenziato non devono rappresentare di per sé uno scandalo, come ha spiegato il responsabile per i Rapporti con il Parlamento, Vannino Chiti, che ha ricordato il precedente della Toscana e a nome dei Ds ha «aperto» alla richiesta venuta da Milano. Quel che va forse meglio precisato, per il Quirinale, è in quale maniera si intende realizzare questo regionalismo a geometria variabile per evitare che diventi «una fuga un avanti», secondo le ansie del ministro agli Affari regionali ed esponente della Margherita, Linda Lanzillotta. Timori sul quadro ordinamentale, soprattutto. Che, per essere sgombrati, richiedono un accordo bipartisan sullo statuto regionale e sulle competenze rivendicate, contemporanee intese per attivare le procedure fissate dall’articolo 116 della Carta, e una ricognizione su alcune correzioni condivise del Titolo V della Costituzione. Alla fine del percorso, infatti, la legge che dovrebbe fissare le nuove e più estese autonomie va approvata a maggioranza assoluta dei componenti della Camere, sulla base di un’intesa tra lo Stato e la Regione interessata.
Lo spirito con cui Formigoni ha presentato il suo piano d’azione - «nessuna rivalsa sulla sconfitta al referendum», «nessuna nostalgia ideologica del Lombardo-Veneto» - sembra andare nella direzione dei «percorsi politici consensuali su questioni d’interesse comune» che il presidente della Repubblica ha indicato proprio a Milano, nel corso di una visita a metà luglio. Quando, pur precisando che «per eventuali modifiche alla Carta del 1948 (le cui linee di fondo sono per lui "ancora valide e attuali") si deve procedere con grande ponderazione, concretezza e gradualità», aveva però detto che «molte riforme non necessitano di leggi costituzionali» per essere attuate. «Possono bastare le leggi ordinarie», aveva insistito Giorgio Napolitano, toccando tangenzialmente il tema del Titolo V pure con i leghisti Umberto Bossi e Roberto Maroni, durante un colloquio riservato in Prefettura. La stessa strada che adesso, con queste prove tecniche di dialogo, il governatore della Lombardia mostra di voler imboccare.

Marzio Breda



 
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