Riforme Istituzionali
Osservatorio sulla devolution
Rassegna stampa
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La Repubblica
07-07-2001
Bossi, attacco alla Consulta - "Nemica giurata delle Regioni"
Caianiello: sconcertante, Berlusconi smentisca
Leonardo Coen
Milano - Non è la prima volta che Umberto Bossi sceglie un palcoscenico
periferico - venerdì sera è toccato ad una festa provinciale
della Lega nel modenese - per lanciare i suoi missili «devolutivi»
contro le istituzioni che secondo lui danneggiano gli interessi del popolo
e dei localismi. Nel mirino del Senatùr, ora, c'è la Corte
Costituzionale. Non è andato molto per il sottile, Bossi, com'è
nel suo stile populista: la Consulta è «il nemico giurato
delle Regioni», ha detto al suo pubblico il capo della Lega, essa
è colpevole di aver bloccato, con la complicità della classe
politica, sia il federalismo sia soprattutto la devoluzione che, come si
sa, sono i temi strategici della politica bossiana. «La Costituzione
storica prevede grosso modo la devoluzione», ha affermato Bossi,
«ma la Costituzione storica è stata bloccata. Io ho deciso
di portare nella casa dell'oppositore delle Regioni rappresentanti eletti
dalle Regioni» . Ieri sera, per la verità, di fronte alla
pioggia di reazioni, il Senatur ha rettificato. A modo suo: «Io non
ce l'ho con la Corte Costituzionale. Sappiamo che è un organo necessario,
lo rispettiamo. Però la storia qualcuno la deve dire. E la verità
storica è che la Corte Costituzionale non fu un amico delle Regioni».
Il senso, non cambia granché.
Un'idea non nuova, questa di Bossi: tra i cavalli di battaglia della
sua campagna elettorale. Ma un conto è il clima elettorale, un altro
il pigliar di petto una delle istituzioni sacre dello Stato essendone ministro.
La Consulta è composta da quindici membri: cinque eletti da
Camera e Senato riuniti, cinque dal Presidente della Repubblica, cinque
dalle tre magistrature. Bossi propone un cambiamento essenziale: «Cinque
membri eletti dal Parlamento (io non tocco quello che dice il popolo e
il Parlamento è strumento del popolo), cinque dai consigli regionali
(altro strumento eletto dal popolo che finalmente mette una sua rappresentanza
a casa del nemico storico). E a qualcuno - ha concluso Bossi - il vulnus,
la ferita, bisogna farla. Restano il Presidente e le tre magistrature:
che se la vedano loro. Questo è il meccanismo di cambiamento che
correda la devoluzione».
Quando Bossi provoca è come il cinese sulla sponda del fiume.
Attende che la polemica s'ingrossi come una piena e allaghi la scena della
politica. I primi a reagire sono stati i presidenti emeriti della Corte
Costituzionale, Vincenzo Caianello e Aldo Corasiniti. «O Berlusconi
smentisce Bossi, o le dichiarazioni sconcertanti di Bossi alla festa del
Carroccio in provincia di Modena provocheranno un conflitto istituzionale»,
è stata la veemente risposta di Caianello, «essendo un membro
del governo in carica ad aver usato un'espressione così forte nei
confronti di un altro organo costituzionale, le sue dichiarazioni non possono
essere considerate a titolo personale. C'è da aspettarsi una smentita
dalle massime rappresentanze di governo». Quanto all'accusa che la
Consulta sia «nemica giurata delle Regioni», ecco la replica
secca e motivata di Corasaniti: «Non ne vedo la fondatezza: quello
del ministro è un giudizio francamente datato e dunque superato.
Del resto, anche da ministro Bossi non dimostra grandi capacità
di autocontrollo». Incalza Caianello: «Non era mai accaduto
finora che un membro del governo eletto in Parlamento con il 3 per cento
dei voti degli italiani usasse toni del genere nei confronti di un altro
organo costituzionale che riscuote largo consenso nel Paese» .
Linguaggio e dichiarazioni, quelle di Bossi, che dimostrano «uno
scarso senso dello Stato e delle istituzioni, l'assenza di qualsiasi rispetto
per uno degli organi garanti dell'imparzialità della Costituzione,
della legge e dell'ordinamento italiano - ha commentato Piero Fassino -
dichiarazioni tanto più gravi perchè fatte da un uomo che
non è solo il leader di un partito ma un ministro». Più
sprezzante, Luciano Violante: «Sciocchezze con l'aggravante della
ministerialità». Enrico La Loggia, ministro degli Affari Regionali,
assicura che il governo, «qualunque sarà l'esito del referendum
del 7 ottobre» manderà avanti il progetto di devolution.
Corriere della sera
02-09-2001
Bossi: «La Consulta nemico giurato delle
Regioni»
«Non ce l’ho con la Corte ma servono
giudici eletti dal popolo». L’Ulivo insorge. Caianiello: Berlusconi
lo freni
- Paola Di Caro
ROMA - Se non è una dichiarazione di guerra,
poco ci manca. Perché Umberto Bossi non solo torna all’attacco della
Corte costituzionale, definendola «il nemico giurato delle Regioni»,
ma rilancia con forza il suo progetto di modifica radicale della Consulta,
che nelle sue intenzioni dovrà fare spazio anche a rappresentanti
delle Regioni. Non è la prima critica alla Consulta, ma stavolta
Bossi non parla più da semplice leader di un partito, bensì
da ministro delle Riforme. E per questo il presidente emerito della Corte,
Vincenzo Caianiello, chiede un intervento chiarificatore del governo, altrimenti
«si aprirà un conflitto istituzionale». Una tesi che
diventa quella dell’opposizione, che con Violante definisce «sciocchezze»
le parole di Bossi, ma con Fassino e Pecoraro Scanio pretende un chiarimento
da Berlusconi
E se un altro ex presidente della Corte, Aldo Corasaniti,
bacchetta Bossi pur senza scandalizzarsi, c’è chi nella sostanza
gli dà ragione, come Antonio Baldassarre, pure lui presidente emerito
della Consulta. E c’è chi lo difende, sdrammatizzando, come il presidente
dei deputati di An Ignazio La Russa, mentre il leader dei radicali Daniele
Capezzone condivide ma si dissocia da Bossi sul merito delle critiche alla
Consulta: il vero rimprovero che le va mosso è di «aver fatto
e continuare a fare scelte politiche, quali che siano queste scelte».
BOSSI ATTACCA - Sono state «la classe politica»,
ma anche «la Corte costituzionale, il nemico giurato delle regioni»
a bloccare finora il processo federalista in Italia, ha affermato Bossi.
Che in serata ha aggiunto: «Non ce l’ho con la Consulta, però
la verità storica è che non è mai stata amica delle
Regioni». Partendo da questo assunto, Bossi ha spiegato qual è
il suo progetto, per il momento accantonato dal testo sulla devolution.
«Ho deciso di portare nella casa dell'oppositore delle Regioni rappresentanti
eletti dalle Regioni».
Così, se finora i membri della Corte erano
5 eletti dal Parlamento, 5 dalle magistrature e 5 nominati dal capo dello
Stato, il cambiamento «avverrebbe in questo modo: cinque eletti dal
Parlamento, perché io non tocco quello che dice il popolo e il Parlamento
è strumento del popolo, cinque dai Consigli regionali, l'altro strumento
eletto dal popolo che finalmente mette una sua rappresentanza a casa del
nemico storico», e per i restanti «il vulnus, la ferita, bisogna
farla: restano il presidente e le tre magistrature, poi se la vedranno
loro. Questo è il meccanismo di cambiamento che correda la devoluzione».
LE PROTESTE - Il primo a insorgere è Vincenzo
Caianiello, secondo il quale le parole di Bossi, che è ministro,
non possono essere «a titolo personale» e dunque «c'è
da augurarsi una smentita dalle massime rappresentanze di governo, per
evitare che si inneschi uno spiacevole conflitto fra due organi costituzionali,
una cosa mai accaduta in passato». E se altri due presidenti emeriti
della Corte si dividono - secondo Baldassarre «non è un errore
storico affermare che la cultura giuridica, politica e anche giurisprudenziale
della Corte è stata centralista, e lo è ancora abbastanza»,
mentre per Corasaniti «il giudizio del ministro è datato e
superato» - l’opposizione chiede che Berlusconi chiarisca. Piero
Fassino, candidato alla segreteria dei Ds, auspica che il premier «non
faccia finta di non vedere e sentire» e censuri «una dichiarazione
molto grave», pronunciata da un ministro. Alfonso Pecoraro Scanio
già annuncia un appello a Ciampi se Berlusconi dovesse tacere, mentre
Violante sembra sdrammatizzare: «Quelle di Bossi sono sciocchezze
aggravate dalla ministerialità».
LA DIFESA - Ma c’è anche nel centrodestra
chi prende le parti del Senatur. È Ignazio la Russa, secondo il
quale «si sta facendo una tempesta in un bicchier d’acqua»,
sia perché «la proposta di Bossi è legittima ma non
è quella del governo», sia perché del Senatur «conosciamo
tutti il linguaggio forte, che può essere criticato ma non fare
scandalo, anche perché lui oltre che ministro è un leader
politico, e può tranquillamente esprimere le proprie opinioni».
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