Riforme Istituzionali
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La Loggia: il federalismo ulivista va aggiustato, costa troppo e crea caos
 
29-10-2001 Il Messaggero
 

Il ministro delle Regioni spiega come il governo intende attuare le norme approvate dal referendum costituzionale
«Con due leggi riscrivo la riforma»
 
di Marco Conti

ROMA - «Occorre approvare entro breve tempo le leggi ordinarie che fissano i limiti dello Stato sulle materie di competenza delle regioni introdotte dalla riforma costituzionale. Altrimenti si aprirà un contenzioso senza fine che paralizzerà le nostre istituzioni». Enrico La Loggia, ministro degli Affari regionali, è al lavoro per rendere applicabile la riforma costituzionale votata dal centrosinistra e approvata con il referendum del 7 ottobre. Da buon conoscitore dell’autonomismo siciliano, La Loggia sembra avere presente i rischi derivanti dalla maggiore autonomia che la nuova riforma assegna a tutte le regioni italiane. Nel mirino del governo non c’è però solo la riscrittura dei principi che regolano la competenza concorrente tra Stato e regioni, ma anche le norme che rendono immediatamente esecutivi gli accordi internazionali «perchè sono un limite alla sovranità nazionale».
 
Non trova normale che l’ampliamento delle competenze delle regioni richieda un minimo di rodaggio?
«L’errore del centrosinistra è non aver dato quelle materie in via esclusiva. Lo Stato doveva essere spogliato completamente delle materie, delle funzioni, delle strutture, del personale, nonché delle spese. Ora invece rischiamo di avere duplicazioni e una pioggia di ricorsi alla corte Costituzionale».
 
Quindi tutta colpa di una riforma federalista un po’ troppo timida?
«Non è neanche federalismo. Solo se si danno competenze in via esclusiva si può parlare di federalismo. Questo al massimo è autonomismo».
 
Quanto costerà questa riforma al contribuente?
«Difficile fare conti. E’ però certo che se non interveniamo c’è il rischio di un’esplosione di costi dovuto alla duplicazione di strutture. Se lo Stato conserva una seppur residuale competenza sulle materie trasferite alle regioni, va a finire che ad un ufficio statale se ne accompagnerà uno regionale. Altro che semplificazione e snellimento della burocrazia».
 
Che cosa pensate di fare per evitare le liti tra Stato e regioni e la valanga di ricorsi alla Consulta?
«Serve un disegno di legge di definizione dei principi entro i quali lo Stato, e di conseguenza le regioni, possono muoversi. Ne ho già parlato all’ultimo consiglio dei ministri anche se la delicatezza della materia è tale che con Berlusconi abbiamo deciso di approfondire la questione in una riunione ad hoc. Tutto ciò verrà fatto in stretto raccordo con la Conferenza delle regioni. Occorre inoltre definire i ruoli nuovi che eserciteranno alcuni organismi come le conferenze Stato-regioni, Stato-città, e la conferenza Unificata, in relazione alle funzioni che sarà chiamata a svolgere la commissione bicamerale per gli Affari regionali».
 
Sull’obbligo da parte delle regioni di ricezione degli accordi internazionali, tanto contrastato da Bossi, che cosa intendete fare?
«Questa è una novità assoluta per il nostro ordinamento costituzionale. I trattati internazionali devono passare al vaglio del parlamento. Le direttive, in genere, sono immediatamente applicabili. Ci sono poi una serie di accordi internazionali, che vengono presi dai singoli ministri, che non passerebbero più per il parlamento. E’ un altro dei temi che occorre definire con un disegno di legge per riportare sotto il controllo del parlamento anche gli accordi internazionali. Altrimenti ci sarebbe una parte di sovranità che sfuggirebbe al popolo italiano».
 
Per fare tutto ciò basta la legge ordinaria?
«Sì perchè si tratta di disciplinare e attuare ciò che è già scritto».
 
Non c’è il rischio che per fare tutto ciò slitti ancora la devolution che Bossi continua a chiedere a gran voce?
«I percorsi saranno paralleli. Bossi presenterà presto la sua proposta, anche se per fare una riforma costituzionale occorrono quattro passaggi parlamentari e almeno un anno di tempo. Ciò che invece si deve fare per attuare la legge approvata dal referendum, può essere realizzato in breve tempo».
 
E’ vero che la vostra riforma partirà proprio da un forte federalismo fiscale?
«Intanto c’è il problema di come attuare l’articolo 119 che, seppur tra virgolette, ha già introdotto un embrione di federalismo fiscale. Il problema della riforma voluta dal centrosinistra è che le regioni possono esercitare certe competenze, ma se poi non gli bastano i soldi possono andare dallo Stato e chiedere il saldo. Questa è la conferma che non si tratta di federalismo».



 
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