Il ministro delle Regioni spiega come il governo intende attuare
le norme approvate dal referendum costituzionale
«Con due leggi riscrivo la riforma»
di Marco Conti
ROMA - «Occorre approvare entro breve tempo le leggi ordinarie
che fissano i limiti dello Stato sulle materie di competenza delle regioni
introdotte dalla riforma costituzionale. Altrimenti si aprirà un
contenzioso senza fine che paralizzerà le nostre istituzioni».
Enrico La Loggia, ministro degli Affari regionali, è al lavoro per
rendere applicabile la riforma costituzionale votata dal centrosinistra
e approvata con il referendum del 7 ottobre. Da buon conoscitore dell’autonomismo
siciliano, La Loggia sembra avere presente i rischi derivanti dalla maggiore
autonomia che la nuova riforma assegna a tutte le regioni italiane. Nel
mirino del governo non c’è però solo la riscrittura dei principi
che regolano la competenza concorrente tra Stato e regioni, ma anche le
norme che rendono immediatamente esecutivi gli accordi internazionali «perchè
sono un limite alla sovranità nazionale».
Non trova normale che l’ampliamento delle competenze delle regioni
richieda un minimo di rodaggio?
«L’errore del centrosinistra è non aver dato quelle materie
in via esclusiva. Lo Stato doveva essere spogliato completamente delle
materie, delle funzioni, delle strutture, del personale, nonché
delle spese. Ora invece rischiamo di avere duplicazioni e una pioggia di
ricorsi alla corte Costituzionale».
Quindi tutta colpa di una riforma federalista un po’ troppo timida?
«Non è neanche federalismo. Solo se si danno competenze
in via esclusiva si può parlare di federalismo. Questo al massimo
è autonomismo».
Quanto costerà questa riforma al contribuente?
«Difficile fare conti. E’ però certo che se non interveniamo
c’è il rischio di un’esplosione di costi dovuto alla duplicazione
di strutture. Se lo Stato conserva una seppur residuale competenza sulle
materie trasferite alle regioni, va a finire che ad un ufficio statale
se ne accompagnerà uno regionale. Altro che semplificazione e snellimento
della burocrazia».
Che cosa pensate di fare per evitare le liti tra Stato e regioni
e la valanga di ricorsi alla Consulta?
«Serve un disegno di legge di definizione dei principi entro
i quali lo Stato, e di conseguenza le regioni, possono muoversi. Ne ho
già parlato all’ultimo consiglio dei ministri anche se la delicatezza
della materia è tale che con Berlusconi abbiamo deciso di approfondire
la questione in una riunione ad hoc. Tutto ciò verrà fatto
in stretto raccordo con la Conferenza delle regioni. Occorre inoltre definire
i ruoli nuovi che eserciteranno alcuni organismi come le conferenze Stato-regioni,
Stato-città, e la conferenza Unificata, in relazione alle funzioni
che sarà chiamata a svolgere la commissione bicamerale per gli Affari
regionali».
Sull’obbligo da parte delle regioni di ricezione degli accordi internazionali,
tanto contrastato da Bossi, che cosa intendete fare?
«Questa è una novità assoluta per il nostro ordinamento
costituzionale. I trattati internazionali devono passare al vaglio del
parlamento. Le direttive, in genere, sono immediatamente applicabili. Ci
sono poi una serie di accordi internazionali, che vengono presi dai singoli
ministri, che non passerebbero più per il parlamento. E’ un altro
dei temi che occorre definire con un disegno di legge per riportare sotto
il controllo del parlamento anche gli accordi internazionali. Altrimenti
ci sarebbe una parte di sovranità che sfuggirebbe al popolo italiano».
Per fare tutto ciò basta la legge ordinaria?
«Sì perchè si tratta di disciplinare e attuare
ciò che è già scritto».
Non c’è il rischio che per fare tutto ciò slitti ancora
la devolution che Bossi continua a chiedere a gran voce?
«I percorsi saranno paralleli. Bossi presenterà presto
la sua proposta, anche se per fare una riforma costituzionale occorrono
quattro passaggi parlamentari e almeno un anno di tempo. Ciò che
invece si deve fare per attuare la legge approvata dal referendum, può
essere realizzato in breve tempo».
E’ vero che la vostra riforma partirà proprio da un forte
federalismo fiscale?
«Intanto c’è il problema di come attuare l’articolo 119
che, seppur tra virgolette, ha già introdotto un embrione di federalismo
fiscale. Il problema della riforma voluta dal centrosinistra è che
le regioni possono esercitare certe competenze, ma se poi non gli bastano
i soldi possono andare dallo Stato e chiedere il saldo. Questa è
la conferma che non si tratta di federalismo».