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Osservazioni critiche alla proposta di revisione dell'ordinamento della Repubblica per l'introduzione della forma di governo presidenziale

Non si vuole qui discutere la bontà o meno dei sistemi presidenziali rispetto a quelli parlamentari, bensì si vuole cercare di mettere in evidenza come siano strumentali, e talvolta contraddittori, determinati argomenti portati a sostegno dell'ipotesi presidenzialista e di come, paradossalmente, alle intenzioni non sembrano corrispondere le soluzioni che si vorrebbero adottare.
Ad esempio, quando si afferma che Proprio il sistema presidenziale si è dimostrato storicamente il più adatto a creare una situazione di equilibrio tra i poteri, in virtù del quale nessuno di essi - non il legislativo, non il giudiziario, non l'esecutivo - possa essere "il vincitore", si dicono due cose: una vera ed un'altra ... esatta.
Se guardiamo agli Stati Uniti non si può non convenire che ci sia una separazione dei poteri molto spinta (per quanto la prassi ed alcune interpretazioni cavillose hanno creato le basi per permettere l’estensione dei poteri nelle mani dei presidenti americani); è anche vero, però, che è proprio da questa separazione che i diversi poteri traggono forza per ricattare ed immobilizzare gli altri, o meglio, l'altro potere, visto che il potere giurisdizionale è riuscito, spesso, a dire ben più di un'ultima parola (a chi non è capitato d'imbattersi nella nota espressione il Governo dei giudici, proprio in riferimento al sistema americano?).
Ed infatti, è proprio da questa separazione estrema dei poteri che viene meno uno dei presunti argomenti forti a sostegno del presidenzialismo: riformulare i rapporti tra Parlamento e Governo, mettendo entrambi in grado di funzionare autonomamente, di non paralizzarsi a vicenda e di assumersi responsabilità precise, chiaramente percepibili e giudicabili dai cittadini-elettori.
Credo che le cronache della presidenza Clinton stiano a dimostrare esattamente il contrario.
Clinton, pur non avendo realizzato gran parte del programma di Governo grazie al quale conquistò la Casa Bianca, ha buone ragioni da spendere per dimostrare di non essere riuscito nel suo intento a causa dell'opposizione della maggioranza repubblicana al Congresso che lo ha praticamente immobilizzato.
Ed in ogni caso, continua a rimane (nonostante i presunti errori) l'unico candidato da votare per tutti quegli elettori che a quel programma tenevano e che sanno benissimo che i repubblicani finirebbero per demolire qualsiasi loro speranza.
Insomma, mi sembra evidente che tutto si può affermare, meno che votando per un Presidente, Capo dell'Esecutivo, si voti per l'effettivo Governo del Paese e che si abbia la possibilità concreta di far pesare le responsabilità. E sono sicuro che è con questo spirito che andranno a votare la gran parte degli elettori che alle prossime presidenziali USA sceglieranno Clinton.

Altro argomento portato avanti nella proposta di legge, è che con il sistema di elezione proposto si riesce a garantire una leadership che non dipende dagli apparati, dalle burocrazie di partito, ma dagli elettori.
Ma è proprio il meccanismo di elezione (che contiene una palese ipocrisia di fondo, riguardo ad un meccanismo di elezione che è praticamente un doppio turno mascherato attraverso un congegno di primarie fittizie) che alimenta i dubbi riguardo alle reali possibilità che un candidato possa venire eletto non avendo alle spalle delle organizzazioni di un certo livello.
L'art 83 della Costituzione dovrebbe essere infatti sostituito dal seguente:
"Art. 83. - Il Presidente della Repubblica è eletto a suffragio universale e diretto, con scrutinio a turno unico, secondo le norme stabilite dalla legge. L'elezione ha luogo sulla base di candidature proposte da cinquecentomila elettori.

 Qualora il numero delle candidature regolarmente presentate sia superiore a due, in ciascuna regione ha luogo, alla data stabilita dalla giunta regionale e comunque entro quaranta giorni dalla conclusione della verifica delle candidature, un turno di elezioni primarie a suffragio universale e diretto, al quale partecipano i candidati ammessi. I due candidati che abbiano ottenuto il maggior numero di voti su base nazionale partecipano all'elezione del Presidente della Repubblica.

È eletto Presidente della Repubblica il candidato che abbia conseguito la metà più uno dei voti validamente espressi".

 È evidente che parlare di primarie è decisamente troppo. Che senso ha, infatti, scremare i candidati tra tutti quelli che dovrebbero partecipare alla contesa e non tra quelli interni al proprio schieramento politico?
Le primarie hanno un senso laddove servono per sostenere, tra i diversi e possibili rappresentanti di uno stesso indirizzo generale di Governo (pur se con sfumature diverse), quello che si ritiene sia il più autorevole, il più abile, il più onesto e quant'altro. È chiaro che un elettore del Polo, tra D'Alema, Berlusconi e Dini sceglierà il secondo; il senso delle primarie, invece, dovrebbe essere quello di dargli la possibilità di scegliere tra Berlusconi, Fini, Casini, Biondi e quant'altri. E lo stesso vale per gli elettori dell'Ulivo.
Certo, per ipotesi potrebbero presentarsi più candidati del medesimo schieramento. Ma chi è che per ipotesi sarebbe disposto a rischiare di non arrivare con un candidato alle elezioni a causa di una lotta intestina che potrebbe disperdere tutto il patrimonio di voti, a tutto vantaggio di altri candidati presentati in maniera compatta da altre forze politiche?
O ho capito male il senso dell'articolo, o siamo di fronte ad un doppio turno vero e proprio.
E qual è il candidato in grado di sostenere ben due tornate elettorali senza avere alle spalle una forte organizzazione in grado di garantirgli l'elezione? Tra l'altro, la prima tornata elettorale, le cosiddette primarie, rischia di divenire, nel tempo, una futile formalità alla quale non è forse azzardato pensare si sottrarranno numerosi elettori. È evidente, allora, che sarà importante, per ogni candidato, mobilitare quanto più elettorato possibile sia orientato a votarlo, e questo proprio per superare il primo turno. In altre parole, una macchina organizzativa diffusa capillarmente su tutto il territorio, capace di mobilitare ogni voto che potrebbe essere orientato dalla propria parte... e questo per ben due tornate elettorali, di cui una è forte il rischio che possa essere poco sentita dagli elettori e quindi più difficile da sostenere da parte dei candidati con... scarzi mezzi alle spalle.

Ma al di là degli aspetti contraddittori, è curioso andare ad analizzare quegli argomenti per i quali viene spontaneo ricorrere ad una ben nota espressione; Che c'azzecca?!
L'elemento dinamico del presidenzialismo, infatti, pare che derivi soprattutto dal fatto che esso produce effetti "a cascata" sul sistema politico e sulla dinamica delle istituzioni.

Le implicazioni del presidenzialismo riguardano in primo luogo il rapporto tra governo centrale e governi locali: un potere centrale forte deve avere come controparte poteri locali altrettanto forti. In una parola: il presidenzialismo avvia un esteso sistema di decentramento legislativo. Il che rappresenta un ulteriore elemento di separazione e bilanciamento dei poteri, un rafforzamento del principio della separazione.

 C'è un grave errore di fondo, direi logico, nella costruzione dell'ultimo passaggio: il presidenzialismo, in quanto potere centrale forte, deve avere come controparte dei poteri locali forti; e su questo, direi, non ci piove. Ma che da una condizione di necessario decentramento, che potrebbe benissimo non essere soddisfatta dai meccanismi istituzionali predisposti a questo (cosa peraltro da non escludere proprio in riferimento al progetto di legge in esame), se ne possa dedurre che è proprio grazie al presidenzialismo che può avviarsi un esteso sistema di decentramento legislativo, auspicabile proprio per difendersi dai guasti derivanti da un potere centrale forte, è un passaggio logico tutto da chiarire.
Il decentramento, l'ampliamento delle autonomie non sono caratteristiche dei sistemi presidenziali in quanto connaturate ad essi; piuttosto, laddove nei sistemi parlamentari c'è menosofferenza verso il potere centrale, nei sistemi presidenziali queste autonomie si rendono indispensabili al fine di evitare che dei gruppi territoriali, meglio rappresentati dal potere centrale, possano prevalere sugli altri soffocandone le rispettive autonomie.
In altre parole, è proprio nei sistemi presidenziali che le tendenze centripete, spesso a tutto vantaggio di questo o quell'interesse specifico, si accentuano, ed è per questo che la richiesta d'autonomia si fa più pressante ma al tempo stesso più difficile da tutelare.
E nella proposta di revisione in esame, è proprio il Senato, la Camera che dovrebbe rappresentare le Regioni, il punto più debole di tutta l'organizzazione del bilanciamento dei poteri. Ad esempio, perché non prevedere dei diversi quorum alla Camera per l'approvazione delle leggi rigettate dal Senato, a seconda della maggioranza contraria che in questa seconda Camera si è espressa, come avviene nella Germania Federale?
E perché non assegnare dei poteri esclusivi, nei confronti del Presidente, proprio al Senato in quanto rappresentante degli interessi locali, come avviene negli Stati Uniti?
Per non parlare poi della lunga lista di materie assegnate in via esclusiva alla potestà legislativa dello Stato. Anche in questo caso, perché non prendere come punto di riferimento il principio della legislazione concorrente contenuto nella Costituzione tedesca, proprio per svincolare le Regioni dall'immobilismo centrale riguardo a questioni importanti?
E sempre prendendo ad esempio la Germania, perché non tentare di decentrare le competenze amministrative (esecuzione delle leggi) anche per gran parte delle leggi di esclusiva potestà legislativa dello Stato?
Insomma, in questo progetto di revisione mi sembra che ci sia ben poco d'innovativo riguardo all'ampliamento e alla rappresentanza istituzionale dei poteri locali.
Probabilmente chi ha steso questo progetto ha pensato bene di semplificare la vita all'esecutivo, proprio perché deve aver verificato sul campo come con un determinato equilibrio dei poteri si rischi facilmente l'immobilismo ed il collasso.
Ma nel far pendere la bilancia un po' troppo da una parte, non si rischia di rompere il prodigio d'ingegneria meccanica tanto decantato, rischiando così derive di tipo sudamericano?

 Infine, non si capisce bene per quale motivo vengano differenziate le scadenze elettorali.
Il primo comma dell'articolo 61 della Costituzione è sostituito dal seguente:

 "L'elezione della Camera dei deputati ha luogo nel ventiquattresimo mese successivo all'elezione del Presidente della Repubblica. La prima riunione ha luogo non oltre il quindicesimo giorno del mese successivo".

 Il meccanismo sembra ideato apposta per delegittimare un potere con l'altro a seconda dei risultati per l'elezione della Camera o per l'elezione del Presidente: chiaramente l'ultima elezione sarà considerata come quella più aderente alla volontà dei cittadini. Molto meglio sarebbe stato prevedere un sistema di rinnovo parziale della Camera ogni due anni sul modello americano: rinnovo sufficiente per dare delle indicazioni di correzione di rotta da parte dell'elettorato; ma mai al livello di capovolgere totalmente gli equilibri in campo, magari sotto l'influenza di occasionali spinte emotive.
 

Franco Ragusa 


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