Altro argomento portato avanti nella proposta di legge, è che
con il sistema di elezione proposto si riesce a garantire una leadership
che non dipende dagli apparati, dalle burocrazie di partito, ma dagli
elettori.
Ma è proprio il meccanismo di elezione (che contiene una palese
ipocrisia di fondo, riguardo ad un meccanismo di elezione che è
praticamente un doppio turno mascherato attraverso un congegno di primarie
fittizie) che alimenta i dubbi riguardo alle reali possibilità che
un candidato possa venire eletto non avendo alle spalle delle organizzazioni
di un certo livello.
L'art 83 della Costituzione dovrebbe essere infatti sostituito dal
seguente:
"Art. 83. - Il Presidente della Repubblica è eletto a suffragio
universale e diretto, con scrutinio a turno unico, secondo le norme stabilite
dalla legge. L'elezione ha luogo sulla base di candidature proposte da
cinquecentomila elettori.
Qualora il numero delle candidature regolarmente presentate sia superiore a due, in ciascuna regione ha luogo, alla data stabilita dalla giunta regionale e comunque entro quaranta giorni dalla conclusione della verifica delle candidature, un turno di elezioni primarie a suffragio universale e diretto, al quale partecipano i candidati ammessi. I due candidati che abbiano ottenuto il maggior numero di voti su base nazionale partecipano all'elezione del Presidente della Repubblica.
È eletto Presidente della Repubblica il candidato che abbia conseguito la metà più uno dei voti validamente espressi".
È evidente che parlare di primarie è decisamente
troppo. Che senso ha, infatti, scremare i candidati tra tutti quelli che
dovrebbero partecipare alla contesa e non tra quelli interni al proprio
schieramento politico?
Le primarie hanno un senso laddove servono per sostenere, tra i diversi
e possibili rappresentanti di uno stesso indirizzo generale di Governo
(pur se con sfumature diverse), quello che si ritiene sia il più
autorevole, il più abile, il più onesto e quant'altro. È
chiaro che un elettore del Polo, tra D'Alema, Berlusconi e Dini sceglierà
il secondo; il senso delle primarie, invece, dovrebbe essere quello di
dargli la possibilità di scegliere tra Berlusconi, Fini, Casini,
Biondi e quant'altri. E lo stesso vale per gli elettori dell'Ulivo.
Certo, per ipotesi potrebbero presentarsi più candidati del
medesimo schieramento. Ma chi è che per ipotesi sarebbe disposto
a rischiare di non arrivare con un candidato alle elezioni a causa di una
lotta intestina che potrebbe disperdere tutto il patrimonio di voti, a
tutto vantaggio di altri candidati presentati in maniera compatta da altre
forze politiche?
O ho capito male il senso dell'articolo, o siamo di fronte ad un doppio
turno vero e proprio.
E qual è il candidato in grado di sostenere ben due tornate
elettorali senza avere alle spalle una forte organizzazione in grado di
garantirgli l'elezione? Tra l'altro, la prima tornata elettorale, le cosiddette
primarie, rischia di divenire, nel tempo, una futile formalità alla
quale non è forse azzardato pensare si sottrarranno numerosi elettori.
È evidente, allora, che sarà importante, per ogni candidato,
mobilitare quanto più elettorato possibile sia orientato a votarlo,
e questo proprio per superare il primo turno. In altre parole, una macchina
organizzativa diffusa capillarmente su tutto il territorio, capace di mobilitare
ogni voto che potrebbe essere orientato dalla propria parte... e questo
per ben due tornate elettorali, di cui una è forte il rischio che
possa essere poco sentita dagli elettori e quindi più difficile
da sostenere da parte dei candidati con... scarzi mezzi alle spalle.
Ma al di là degli aspetti contraddittori, è curioso andare
ad analizzare quegli argomenti per i quali viene spontaneo ricorrere ad
una ben nota espressione; Che c'azzecca?!
L'elemento dinamico del presidenzialismo, infatti, pare che derivi
soprattutto dal fatto che esso produce effetti "a cascata" sul sistema
politico e sulla dinamica delle istituzioni.
Le implicazioni del presidenzialismo riguardano in primo luogo il rapporto tra governo centrale e governi locali: un potere centrale forte deve avere come controparte poteri locali altrettanto forti. In una parola: il presidenzialismo avvia un esteso sistema di decentramento legislativo. Il che rappresenta un ulteriore elemento di separazione e bilanciamento dei poteri, un rafforzamento del principio della separazione.
C'è un grave errore di fondo, direi logico, nella costruzione
dell'ultimo passaggio: il presidenzialismo, in quanto potere centrale forte,
deve avere come controparte dei poteri locali forti; e su questo, direi,
non ci piove. Ma che da una condizione di necessario decentramento, che
potrebbe benissimo non essere soddisfatta dai meccanismi istituzionali
predisposti a questo (cosa peraltro da non escludere proprio in riferimento
al progetto di legge in esame), se ne possa dedurre che è proprio
grazie al presidenzialismo che può avviarsi un esteso sistema di
decentramento legislativo, auspicabile proprio per difendersi dai guasti
derivanti da un potere centrale forte, è un passaggio logico tutto
da chiarire.
Il decentramento, l'ampliamento delle autonomie non sono caratteristiche
dei sistemi presidenziali in quanto connaturate ad essi; piuttosto, laddove
nei sistemi parlamentari c'è menosofferenza verso il potere centrale,
nei sistemi presidenziali queste autonomie si rendono indispensabili al
fine di evitare che dei gruppi territoriali, meglio rappresentati dal potere
centrale, possano prevalere sugli altri soffocandone le rispettive autonomie.
In altre parole, è proprio nei sistemi presidenziali che le
tendenze centripete, spesso a tutto vantaggio di questo o quell'interesse
specifico, si accentuano, ed è per questo che la richiesta d'autonomia
si fa più pressante ma al tempo stesso più difficile da tutelare.
E nella proposta di revisione in esame, è proprio il Senato,
la Camera che dovrebbe rappresentare le Regioni, il punto più debole
di tutta l'organizzazione del bilanciamento dei poteri. Ad esempio, perché
non prevedere dei diversi quorum alla Camera per l'approvazione delle leggi
rigettate dal Senato, a seconda della maggioranza contraria che in questa
seconda Camera si è espressa, come avviene nella Germania Federale?
E perché non assegnare dei poteri esclusivi, nei confronti del
Presidente, proprio al Senato in quanto rappresentante degli interessi
locali, come avviene negli Stati Uniti?
Per non parlare poi della lunga lista di materie assegnate in via esclusiva
alla potestà legislativa dello Stato. Anche in questo caso, perché
non prendere come punto di riferimento il principio della legislazione
concorrente contenuto nella Costituzione tedesca, proprio per svincolare
le Regioni dall'immobilismo centrale riguardo a questioni importanti?
E sempre prendendo ad esempio la Germania, perché non tentare
di decentrare le competenze amministrative (esecuzione delle leggi) anche
per gran parte delle leggi di esclusiva potestà legislativa dello
Stato?
Insomma, in questo progetto di revisione mi sembra che ci sia ben poco
d'innovativo riguardo all'ampliamento e alla rappresentanza istituzionale
dei poteri locali.
Probabilmente chi ha steso questo progetto ha pensato bene di semplificare
la vita all'esecutivo, proprio perché deve aver verificato sul campo
come con un determinato equilibrio dei poteri si rischi facilmente l'immobilismo
ed il collasso.
Ma nel far pendere la bilancia un po' troppo da una parte, non si rischia
di rompere il prodigio d'ingegneria meccanica tanto decantato, rischiando
così derive di tipo sudamericano?
Infine, non si capisce bene per quale motivo vengano differenziate
le scadenze elettorali.
Il primo comma dell'articolo 61 della Costituzione è sostituito
dal seguente:
"L'elezione della Camera dei deputati ha luogo nel ventiquattresimo mese successivo all'elezione del Presidente della Repubblica. La prima riunione ha luogo non oltre il quindicesimo giorno del mese successivo".
Il meccanismo sembra ideato apposta per delegittimare un
potere con l'altro a seconda dei risultati per l'elezione della Camera
o per l'elezione del Presidente: chiaramente l'ultima elezione sarà
considerata come quella più aderente alla volontà dei cittadini.
Molto meglio sarebbe stato prevedere un sistema di rinnovo parziale della
Camera ogni due anni sul modello americano: rinnovo sufficiente per dare
delle indicazioni di correzione di rotta da parte dell'elettorato; ma mai
al livello di capovolgere totalmente gli equilibri in campo, magari sotto
l'influenza di occasionali spinte emotive.