Referendum devolution e lesione dei diritti: nessuno
ne parla
Lesione del diritto al voto segreto,
sia per il referendum consultivo lombardo che per le politiche nazionali,
in conseguenza dell'accorpamento decisa dal presidente Formigoni
Con un atto di discutibile correttezza
giuridica, il 28 febbraio il presidente della Regione Lombardia Formigoni
ha indetto, in coincidenza con le elezioni politiche nazionali, il tanto
contestato referendum consultivo sulla cosiddetta "devolution" (giudizi
pendenti presso la Corte Costituzionale ed il TAR della Lombardia).
Al di là del giudizio di merito
su questo referendum, si vuole qui mettere in evidenza un ulteriore aspetto
che sembra non aver suscitato la curiosità delle forze politiche
e dei mezzi d’informazione e che riguarda, per l’appunto, la decisione
di chiamare gli elettori ad esprimersi su questioni diverse, non tanto
per problemi di contenuto, ma per i diversi modi di espressione della volontà
elettorale previsti dalla legge.
A differenza che per le elezioni politiche nazionali, dove l'astensione non è produttiva di effetti giuridicamente rilevanti, anche nel caso del referendum lombardo vi è la possibilità di poter impedire l'approvazione del quesito attraverso l'astensione (Legge regionale 28 aprile 1983 N. 34 art. 17 comma 6 - La proposta sottoposta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi).
Ora, come tutti potranno facilmente
ricordare, tra le forze politiche che hanno promosso il referendum in questione
ve ne sono alcune, Forza Italia e Lega, che in occasione della scadenza
referendaria nazionale del 21 maggio 2000 invitarono gli elettori ad astenersi
dal voto per impedire l'approvazione dei quesiti referendari e che oggi,
invece, con il trucco dell’accorpamento con le elezioni politiche nazionali,
stanno cercando d’impedire che gli elettori possano decidere di astenersi
per impedire l’approvazione del referendum da loro proposto.
Gli elettori, infatti, che volessero
partecipare alla consultazione elettorale per le politiche nazionali, sarebbero
costretti a dover manifestare esplicitamente la loro volontà di
astenersi attraverso il rifiuto della scheda per il referendum consultivo.
Una forma d'identificazione e, quindi,
una forma di pressione indebita in grado di condizionare le scelte di comportamento
giuridicamente rilevanti per la sola consultazione referendaria.
Nella valutazione dei possibili condizionamenti
esercitati sul comportamento elettorale, inoltre, non può non tenersi
conto della valenza politica data dai proponenti alla scadenza referendaria:
un voto "bipolare", a favore delle politiche della "Casa delle libertà"
e contro l’attuale maggioranza di Governo.
L'atto esplicito del rifiuto della
scheda per il referendum, infatti, oltre ad indicare chiaramente le intenzioni
degli elettori in merito alla consultazione referendaria, potrebbe addirittura
costituire, e in ogni caso l'elettore di centro-sinistra così vivrebbe
la circostanza, parametro di valutazione riguardo alle preferenze dell'elettore
riguardo alle coalizioni in lizza per le politiche nazionali. Non solo,
quindi, l’individuazione della volontà elettorale in relazione alla
scadenza referendaria in conseguenza del rifiuto della scheda per il referendum,
ma anche nei confronti delle altre consultazioni che nelle intenzioni del
presidente della Regione Lombardia Formigoni dovrebbero svolgersi in un'unica
data.
Ma anche l’elettore di centro-destra contrario all’approvazione del quesito potrebbe essere spinto al ritiro della scheda, al pari di quello di centro-sinistra, e questo proprio per evitare di vedersi attribuire una patente politica di altro colore che potrebbe invece essere attribuita in caso di non ritiro.
Appaiono quindi sin troppo chiare le intenzioni di chi ha deciso per l’accorpamento: intenzioni che vanno nella chiara direzione di condizionare la "riuscita" del referendum (il mancato raggiungimento del quorum suonerebbe come un’implicita delegittimazione dell’iniziativa referendaria), costringendo gli elettori al ritiro delle schede, vista l’inutilità, in conseguenza dell’accorpamento, delle procedure elettorali atte a garantire la libera espressione del voto e dei comportamenti elettorali giuridicamente rilevanti.
17 marzo 2001 - Franco Ragusa
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