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Riforme.net  -  14 luglio 2006
 
Napolitano: Costituzione e Presidenzialismo "fai da te"

Franco Ragusa
 
Se il buongiorno si vede dal mattino, la presidenza Napolitano è destinata a lasciare un pessimo ricordo.
Un interventismo senza precedenti per un Presidente appena eletto che, senza indugi, ha coinvolto tutti i temi caldi della politica italiana: dalla guerra alle riforme, finendo con l'indicare alla maggioranza parlamentare come comportarsi in occasione del voto per il rifinanziamento della missione militare in Afghanistan.
 
Dapprima una lezione ai pacifisti: l'art. 11  della Costituzione va letto per intero.
Perché è vero, sostiene il Presidente Napolitano, "l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali", però... c'è un però.
Sempre nello stesso articolo, infatti, dopo un punto e virgola, si dice che l'Italia "consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo".
Seguendo quindi l'interpretazione che il Presidente Napolitano ha inteso divulgare con l'invito a leggere per intero l'art. 11, consentire, promuovere e favorire equivarrebbero ad una sorta di vincolo che lega le decisioni dell'Italia alle scelte, anche di tipo militare, avallate dalla comunità internazionale. La presenza dei militari italiani in Afghanistan, quindi, non solo sarebbe pienamente legittima, ma soprattutto doverosa.
Ammessa e non concessa questa semplicistica chiave interpretativa, il Presidente Napolitano ha però dimenticato di ricordarci su quale base di parità con altri Stati può essere oggi possibile all'Italia "promuovere e favorire" iniziative tese ad assicurare la pace e la giustizia fra le nazioni.

Come ben tutti sanno, infatti, di tutto vige all'ONU meno il principio della parità. Ci sono alcune nazioni, di cui l'Italia non fa parte, che possono utilizzare il potere di veto per bloccare qualsiasi iniziativa dell'ONU. In tali condizioni, quindi, parlare di automatica adesione alle deliberazioni dell'ONU ha ben poco senso, visto che alcuni stati possono votare più di altri.
E' di questi giorni, per altro, l'ennesimo veto posto dagli USA per fermare una mozione di condanna per i modi "eccessivi" (vere e proprie rappresaglie per lo più rivolte contro la popolazione ed obiettivi civili) con i quali lo Stato d'Israele ha risposto agli attacchi portati avanti dalla resistenza palestinese e libanese contro obiettivi militari israeliani.

Ma non solo: al di là dei veti, ci sono alcune Nazioni che alla "forza della ragione" possono far valere "la ragione della forza". Per cui, se l'ONU le segue nelle loro avventure di guerra tanto di guadagnato in termini di legittimazione; se non le segue c'è la vicenda irachena che insegna.
 
L'ONU non avalla la guerra degli USA all'Iraq di Saddam?
Gli USA la guerra la fanno lo stesso, senza incorrere in alcuna sanzione e con l'ONU relegata, in seconda battuta, ad un mero ruolo di fotografo della nuova situazione. E così facendo, paradossalmente, l'ONU finisce con il legittimare, a posteriori, l'occupazione militare conseguente al conflitto non autorizzato.
E questo è quanto è per l'appunto avvenuto in Iraq, con una massiccia occupazione di forze militari straniere con il compito, riconosciuto dall'ONU, di ristabilire condizioni di sicurezza secondo gl'interessi ed i parametri decisi da chi la guerra l'ha unilateralmente iniziata.
 
Ecco, questa è l'organizzazione internazionale che, in condizioni di (dis)parità tra gli Stati, fa dire all'attuale governo di centrosinistra e al Presidente Napolitano che l'Italia altro non fa che seguire gli obblighi, visti solo da loro, derivanti dall'art. 11 nei confronti della comunità internazionale.
Certo, con qualche distinguo: per cui dall'Iraq si va via (o meglio: si dice che si andrà via) nonostante la presenza militare straniera sia ormai legittimata dall'ONU; in Afghanistan si rimane in virtù della medesima legittimazione.

Evidentemente, il dubbio che l'ONU qualche volta possa prendere una cantonata o che sia costretta ad agire in un certo modo in conseguenza della diversità di pesi che i singoli Stati possono esercitare, fa sì che l'art. 11 qualche volta torni ad essere interpretato per quello che realmente dice e, quindi, al di là di quanto deciso dalle organizzazioni internazionali, non può mancare un giudizio di merito circa l'effettiva natura dell'intervento militare.
L'Art. 11, per altro, anche nella parte che il Presidente Napolitano invita a leggere con maggiore attenzione (e viene da chiedersi se lui l'abbia fatto), specifica chiaramente che l'Italia consente alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni.
Assicurare la pace e la giustizia fra le Nazioni è però cosa ben diversa dall'assicurare la pace e la giustizia nelle Nazioni
Che piaccia o no al nostro Presidente, ai padri costituenti l'idea di esportare la democrazia con la forza delle armi non piaceva, tant'è che hanno appunto precisato l'ambito entro il quale, eccezionalmente, l'Italia può consentire limitazioni di sovranità.
Per quanto, quindi, i talebani possano risultare antipatici ed indigeribili (e in tutta franchezza lo sono), la nostra Costituzione vieta l'uso delle armi per sostituirli con qualcuno o qualcosa di più simpatico, anche se a dirlo è l'ONU o qualsiasi altra organizzazione internazionale.

Nonostante queste considerazioni, però, l'attivismo del Presidente Napolitano a sostegno della missione militare in Afghanistan è andato via via crescendo. Dopo aver vestito i panni dell'esperto costituzionalista nel tentativo di dimostrare la legittimità della presenza militare italiana in Afghanistan e dopo aver plaudito la scelta del centrodestra di votare insieme al centrosinistra il rifinanziamento della missione in Afghanistan, ha infine intimato alla maggioranza parlamentare "scelta dagli elettori" di rimanere compatta. Sull'Afghanistan il centrosinistra deve dimostrare la sua compattezza, altrimenti si potrebbero aprire problemi politici abbastanza delicati.

Che ci si trovi di fronte ad un'ingerenza è sin troppo evidente, per nulla attenuata dall'aver aggiunto che "Al Presidente tocca solo aspettare e vedere".
Aspettare cosa?
Con l'attuale Costituzione, per altro riconfermata dal voto referendario del 25-26 giugno, Il Presidente della Repubblica può solo attendere che il Governo si dimetta o che venga sfiduciato dal Parlamento per poter esercitare le proprie prerogative circa l'assegnazione di un nuovo incarico o lo scioglimento anticipato delle Camere.
Al di là di questo, al Presidente Napolitano non è consentito intervenire per dettare l'azione di Governo e né, tanto meno, per imporre meccanismi tipici della logica bipolare nelle relazioni tra Parlamento e Governo; una logica bipolare per altro imposta agli elettori attraverso le alchimie delle leggi elettorali e della quale in Costituzione non vi è, direttamente o indirettamente, menzione alcuna.

In linea di principio, se non verrà posta la fiducia, sul rifinanziamento la maggioranza potrebbe tranquillamente dividersi e non approvare il provvedimento senza che per questo il Governo debba essere costretto alle dimissioni, tanto più che si tratta di un aspetto del programma di governo rimasto indefinito e per il quale si sapeva esservi una forte componente contraria all'interno della coalizione. Al di là di come voteranno i singoli, infatti, sono almeno una quarantina i senatori che voterebbero volentieri per non rifinanziare la missione militare in Afghanistan e che, invece, per la quasi totalità voteranno a favore.
Numeri importanti, sacrificati in nome del bipolarismo senza alcun riguardo per la legalità costituzionale violata, sia che si tratti dell'art. 11 come della forma di governo parlamentare. 


 
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