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Franco Ragusa
Se il buongiorno si vede dal mattino,
la presidenza Napolitano è destinata a lasciare un
pessimo
ricordo.
Un interventismo senza precedenti per
un Presidente appena eletto che, senza indugi, ha coinvolto
tutti i
temi
caldi della politica italiana: dalla guerra alle riforme,
finendo con
l'indicare
alla maggioranza parlamentare come comportarsi in occasione del
voto
per
il rifinanziamento della missione militare in Afghanistan.
Dapprima una lezione ai pacifisti:
l'art.
11 della Costituzione va letto per intero.
Perché è vero, sostiene
il Presidente Napolitano, "l'Italia ripudia la guerra come
strumento
di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo
di
risoluzione
delle controversie internazionali", però...
c'è un
però.
Sempre nello stesso articolo,
infatti,
dopo un punto e virgola, si dice che l'Italia "consente, in
condizioni
di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di
sovranità
necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la
giustizia fra le
Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali
rivolte
a tale scopo".
Seguendo quindi l'interpretazione che
il Presidente Napolitano ha inteso divulgare con l'invito a
leggere per
intero l'art. 11, consentire, promuovere e favorire
equivarrebbero ad una sorta di vincolo che lega le decisioni
dell'Italia
alle scelte, anche di tipo militare, avallate dalla
comunità
internazionale.
La presenza dei militari italiani in Afghanistan, quindi, non
solo
sarebbe
pienamente legittima, ma soprattutto doverosa.
Ammessa e non concessa questa
semplicistica
chiave interpretativa, il Presidente Napolitano ha però
dimenticato
di ricordarci su quale base di parità con altri Stati
può
essere oggi possibile all'Italia "promuovere e favorire"
iniziative
tese
ad assicurare la pace e la giustizia fra le nazioni.
Come ben tutti sanno, infatti, di
tutto
vige all'ONU meno il principio della parità. Ci sono
alcune
nazioni,
di cui l'Italia non fa parte, che possono utilizzare il potere
di veto
per bloccare qualsiasi iniziativa dell'ONU. In tali condizioni,
quindi,
parlare di automatica adesione alle deliberazioni dell'ONU ha
ben poco
senso, visto che alcuni stati possono votare più di
altri.
E' di questi giorni, per altro,
l'ennesimo
veto posto dagli USA per fermare una mozione di condanna per i
modi
"eccessivi"
(vere e proprie rappresaglie per lo più rivolte contro la
popolazione
ed obiettivi civili) con i quali lo Stato d'Israele ha risposto
agli
attacchi
portati avanti dalla resistenza palestinese e libanese contro
obiettivi
militari israeliani.
Ma non solo: al di là dei
veti,
ci sono alcune Nazioni che alla "forza della ragione" possono
far
valere
"la ragione della forza". Per cui, se l'ONU le segue nelle loro
avventure
di guerra tanto di guadagnato in termini di legittimazione; se
non le
segue
c'è la vicenda irachena che insegna.
L'ONU non avalla la guerra degli USA
all'Iraq di Saddam?
Gli USA la guerra la fanno lo stesso,
senza incorrere in alcuna sanzione e con l'ONU relegata, in
seconda
battuta,
ad un mero ruolo di fotografo della nuova situazione. E
così
facendo,
paradossalmente, l'ONU finisce con il legittimare, a posteriori,
l'occupazione
militare conseguente al conflitto non autorizzato.
E questo è quanto è per
l'appunto avvenuto in Iraq, con una massiccia occupazione di
forze
militari
straniere con il compito, riconosciuto dall'ONU, di ristabilire
condizioni
di sicurezza secondo gl'interessi ed i parametri decisi da chi
la
guerra
l'ha unilateralmente iniziata.
Ecco, questa è
l'organizzazione
internazionale che, in condizioni di (dis)parità tra gli
Stati,
fa dire all'attuale governo di centrosinistra e al Presidente
Napolitano
che l'Italia altro non fa che seguire gli obblighi, visti solo
da loro,
derivanti dall'art. 11 nei confronti della comunità
internazionale.
Certo, con qualche distinguo: per cui
dall'Iraq si va via (o meglio: si dice che si andrà via)
nonostante
la presenza militare straniera sia ormai legittimata dall'ONU;
in
Afghanistan
si rimane in virtù della medesima legittimazione.
Evidentemente, il dubbio che l'ONU
qualche
volta possa prendere una cantonata o che sia costretta ad agire
in un
certo
modo in conseguenza della diversità di pesi che i singoli
Stati
possono esercitare, fa sì che l'art. 11 qualche volta
torni ad
essere
interpretato per quello che realmente dice e, quindi, al di
là
di
quanto deciso dalle organizzazioni internazionali, non
può
mancare
un giudizio di merito circa l'effettiva natura dell'intervento
militare.
L'Art. 11, per altro, anche nella
parte
che il Presidente Napolitano invita a leggere con maggiore
attenzione
(e
viene da chiedersi se lui l'abbia fatto), specifica chiaramente
che l'Italia
consente
alle limitazioni di sovranità necessarie ad un
ordinamento
che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni.
Assicurare la pace e la giustizia fra
le
Nazioni è però cosa ben diversa
dall'assicurare la
pace e la giustizia nelle Nazioni.
Che piaccia o no al nostro
Presidente,
ai padri costituenti l'idea di esportare la democrazia con la
forza
delle
armi non piaceva, tant'è che hanno appunto precisato
l'ambito
entro
il quale, eccezionalmente, l'Italia può consentire
limitazioni
di
sovranità.
Per quanto, quindi, i talebani
possano
risultare antipatici ed indigeribili (e in tutta franchezza lo
sono),
la
nostra Costituzione vieta l'uso delle armi per sostituirli con
qualcuno
o qualcosa di più simpatico, anche se a dirlo è
l'ONU o
qualsiasi
altra organizzazione internazionale.
Nonostante queste considerazioni, però, l'attivismo del Presidente Napolitano a sostegno della missione militare in Afghanistan è andato via via crescendo. Dopo aver vestito i panni dell'esperto costituzionalista nel tentativo di dimostrare la legittimità della presenza militare italiana in Afghanistan e dopo aver plaudito la scelta del centrodestra di votare insieme al centrosinistra il rifinanziamento della missione in Afghanistan, ha infine intimato alla maggioranza parlamentare "scelta dagli elettori" di rimanere compatta. Sull'Afghanistan il centrosinistra deve dimostrare la sua compattezza, altrimenti si potrebbero aprire problemi politici abbastanza delicati.
Che ci si trovi di fronte ad
un'ingerenza
è sin troppo evidente, per nulla attenuata dall'aver
aggiunto
che
"Al Presidente tocca solo aspettare e vedere".
Aspettare cosa?
Con l'attuale Costituzione, per altro
riconfermata dal voto referendario del 25-26 giugno, Il
Presidente
della
Repubblica può solo attendere che il Governo si dimetta o
che
venga
sfiduciato dal Parlamento per poter esercitare le proprie
prerogative
circa
l'assegnazione di un nuovo incarico o lo scioglimento anticipato
delle
Camere.
Al di là di questo, al
Presidente
Napolitano non è consentito intervenire per dettare
l'azione di
Governo e né, tanto meno, per imporre meccanismi tipici
della
logica
bipolare nelle relazioni tra Parlamento e Governo; una logica
bipolare
per altro imposta agli elettori attraverso le alchimie delle
leggi
elettorali
e della quale in Costituzione non vi è, direttamente o
indirettamente,
menzione alcuna.
In linea di principio, se non
verrà
posta la fiducia, sul rifinanziamento la maggioranza potrebbe
tranquillamente
dividersi e non approvare il provvedimento senza che per questo
il
Governo
debba essere costretto alle dimissioni, tanto più che si
tratta
di un aspetto del programma di governo rimasto indefinito e per
il
quale
si sapeva esservi una forte componente contraria all'interno
della
coalizione.
Al di là di come voteranno i singoli, infatti, sono
almeno una
quarantina
i senatori che voterebbero volentieri per non rifinanziare la
missione
militare in Afghanistan e che, invece, per la quasi
totalità
voteranno
a favore.
Numeri importanti, sacrificati in
nome
del bipolarismo senza alcun riguardo per la legalità
costituzionale
violata, sia che si tratti dell'art. 11 come della forma di
governo
parlamentare.
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