Riforme Istituzionali
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Riforme.net  -  07 febbraio 2009

Pur stando dalla parte di papà Englaro, c'è il dovere di condannare il "presidenzialismo" strisciante  portato avanti dal Presidente Napolitano


di Franco Ragusa

E se vincessero gli altri? E cosa potrebbe succedere se determinati poteri fossero nella disponibilità di Tizio Piuttosto che Caio?
Queste le domande che dovremmo sempre porci quando, in materia di regole istituzionali, la tentazione di schierarsi con la convenienza del momento potrebbe farci perdere di vista il "dopo".
Nel caso specifico, ad esempio, il "dopo Napolitano" potrebbe essere "Berlusconi Presidente della Repubblica".  Un Berlusconi Presidente della Repubblica che, forte del dopo Napolitano, potrebbe ben invocare i medesimi poteri di interdizione per cercare di bloccare o ritardare l'attività legislativa. Un enorme potere da repubblica presidenziale, il tutto a Costituzione invariata.

La Costituzione italiana, è vero, affida al Presidente della Repubblica poteri di garanzia; il più delle volte, per altro, largamente ignorati dai Presidenti stessi.
Nulla risulta, però, in ordine alla decisione di non controfirmare i decreti legge emanati dal Governo per l'assenza dei requisiti di necessità e urgenza come richiesti dall'art. 77 Cost. o per altri motivi d'incostituzionalità.
A ben vedere, quindi, il conflitto istituzionale è stato aperto dal Presidente Napolitano e non dal Governo Berlusconi che ha proseguito nelle sue intenzioni nonostante il richiamo preventivo del Colle.
Su quali basi, infatti, il Presidente della Repubblica potrebbe esercitare una sorta di controllo preventivo di costituzionalità sui decreti legge e sulle leggi che la nostra Carta non prevede in alcun modo?
L'art. 87 cost. comma 5 dice solo che il Presidente della Repubblica "Promulga le leggi ed emana i decreti aventi valore di legge e i regolamenti"; ma da qui al desumere una funzione attiva del Presidente della Repubblica (può non firmare) c'è molta strada da fare.

La lettura combinata degli articoli della Costituzione va infatti in tutt'altra direzione, verso, cioè, un sistema di controllo di legittimità costituzionale non preventivo ma "a legge vigente" e affidato, in primo luogo, ad altro Organo Costituzionale (Art. 134. La Corte costituzionale giudica: sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti, aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni;...); nonché regolato, per l'accesso, da una legge costituzionale (Art. 137 cost. - Una legge costituzionale stabilisce le condizioni, le forme, i termini di proponibilità dei giudizi di legittimità costituzionale, e le garanzie d’indipendenza dei giudici della Corte.).
A questa precisa definizione dell'oggetto da poter sottoporre a controllo di legittimità costituzionale (è certamente una grave anomalia la mancata previsione di una qualche forma di controllo preventivo delle leggi), nonché dell'Organo a cui affidare questo controllo, vi è poi da aggiungere la puntuale definizione delle prerogative presidenziali tra le quali, appunto, mentre è chiaramente definita la possibilità di rinvio delle leggi da promulgare alle Camere, superabile da una nuova deliberazione (Art. 74 cost.  - Il Presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione.  Se le Camere approvano nuovamente la legge, questa deve essere promulgata), nulla si attribuisce in ordine ad altre fattispecie.

Per tornare al caso in esame, la mancata emanazione del decreto ha provocato un evidente menomazione dell'attività legislativa di iniziativa del Governo a seguito di un atto tipicamente presidenziale: un super "pocket veto" non contemplato dalla Costituzione.
Gli effetti prodotti dalla mancata emanazione del decreto legge non possono infatti essere risolti in alcun modo secondo l'iter di formazione delle leggi previsto dalla Costituzione, così come succede per il rinvio delle leggi alle Camere all'art. 74, bensì soltanto sollevando conflitto di attribuzione tra i Poteri dello Stato.
E che ai soggetti titolati per sollevare la questione innanzi alla Consulta potrebbe convenire non farlo... sta tutto nella speranza di essere un domani al posto di Napolitano.

Per commenti a questo editoriale: riforme.info
 


9 febbraio 2009 - approfondimento
 
Visto il largo consenso verso l'operato di Napolitano e ritrovatomi, quindi, a vestire anche in questo caso i panni scomodi di chi sta sempre in minoranza, devo però ammettere che pensavo peggio.
Diciamo che ho potuto godere di una sorta di comprensione che, nella peggiore delle ipotesi, si è tradotta nell'essere ignorato.
Per chi non ha invece ignorato le questioni sollevate, degnandomi di una risposta o chiedendo chiarimenti, cerco di riassumere:

Il "pocket veto" non è stato usato contro il Parlamento, così come avviene negli Usa, bensì a favore del Parlamento contro un atto eccezionale del Governo.

Osservo che l'esercizio eccezionale dei Decreti Legge è espressamente previsto in Costituzione e che il Governo è diretta espressione della maggioranza parlamentare che lo può sfiduciare.
In ogni caso, è il Parlamento a decidere in ultima istanza con la conversione dei DL entro 60 giorni. Napolitano, quindi, avrebbe ben potuto, in un sistema chiaro di competenze costituzionali (art. 74), chiedere una nuova deliberazione della legge di conversione del DL, cosa che avrebbe dovuto già fare in molte altre circostanze.
Certamente, lo strumento del DL pone la maggioranza parlamentare di fronte ad un bivio: approvare in tutta fretta una legge oppure andare contro un provvedimento del proprio Governo.
E' però abbastanza curioso che dopo tutti questi anni di semplificazione bipolare e di rafforzamento dei poteri dell'esecutivo si senta improvvisamente il bisogno di trovare dei freni attraverso forme improprie. Perfettamente d'accordo nel trovare-ripristinare questi freni, ma non certo cadendo dalla padella alla brace, attribuendo al Presidente della Repubblica poteri di veto inappellabili, senza cioè alcun controllo.

Il Presidente Napolitano ha citato dei precedenti che confermano la legittimità del suo intervento.

I precedenti citati dal Presidente Napolitano possono in parte attenuare le colpe (non è la prima volta e non sono quindi il primo), ma non risolvere le responsabilità riguardo all'eventuale sconfinamento presidenziale.
Ricordo che a dire l'ultima parola sulla legittimità costituzionale delle leggi è la Consulta. Il precedente, quindi, di un magistrato che non rinvia una legge alla Consulta non potrebbe in alcun modo essere addotto per impedire successive verifiche da parte di altri magistrati che potrebbero invece individuare possibili rilievi d'incostituzionalità.
Allo stesso modo, per altro non dimenticando che il Governo e il Parlamento sono espressioni politiche delle maggioranze del momento (potrebbero quindi decidere di non sollevare un conflitto di attribuzione sulla base delle convenienze politiche del momento), il fatto che in precedenza non si sia arrivati di fronte alla Corte Costituzionale non significa che questa possibilità sia definitivamente preclusa.
Il nostro ordinamento, infatti, affida solo e soltanto alla Consulta l'ultima parola in ordine alla legittimità costituzionale delle leggi ed i conflitti di attribuzione tra i poteri dello stato.

Il Governo non può varare DL per vanificare sentenze passate in giudicato.

A Costituzione vigente, chi ha i numeri in Parlamento fa le leggi e la magistratura le applica.
Nel caso in esame, il DL è un atto d'iniziativa del Governo avente valore di legge che deve però essere convertito in legge.
Certamente, può esservi abuso. Ma il sistema, per l'appunto, prevede la conversione dei DL entro 60 giorni e la possibilità, per il Presidente della Repubblica, di rinviare la legge così convertita per una nuova deliberazione.
Rimane infine sempre possibile accedere alla Corte Costituzionale per gli eventuali rilievi d'incostituzionalità (può ad esempio una legge annullare un diritto acquisito con tanto di sentenze passate in giudicato?). In tal senso, molto meglio spingere per facilitare le forme di accesso a questa forma di garanzia piuttosto che spingere verso pericolose derive presidenzialiste senza controllo che ci farebbero cadere dalla padella alla brace.


Ma se il Presidente della Repubblica firma un Decreto Legge, sarebbe poi difficile rinviare la relativa legge di conversione se uguale al decreto stesso. O è viziato all'origine ma allora non firma, o non lo è, ma allora non può rinviare la legge se è uguale.

Nelle questioni di diritto, purtroppo o per fortuna, il rispetto delle procedure e della forma sono parti costitutive ineludibili.
Da questo punto di vista, non sarebbe per nulla contraddittorio un intervento a posteriori, perché soltanto a posteriori consentito nei modi e nelle forme dovute ad alcuni soggetti.
Ricordiamo che il Presidente della Repubblica non è responsabile per gli atti che firma, essendo questa responsabilità dei ministri proponenti; in modo specifico, inoltre, ciò viene ribadito anche dall'art. 77 sui DL.
Con un quadro simile, risulta francamente difficile comprendere da dove possa scaturire un potere di veto inappellabile sull'emanazione dei DL sulla base di un giudizio preventivo di conformità costituzionale al di fuori delle previsioni costituzionali.
Tanto più che anche in caso di rinvio (art. 74) non è il Presidente a dire l'ultima parola, bensì il Parlamento a maggioranza semplice con una nuova deliberazione. Non siamo cioè di fronte ad un potere di veto inappellabile, ma ad una sorta d'invito a riconsiderare.

In un precedente editoriale (Se la minoranza al Governo "prende il potere") lamentava che, proprio sull'eccessivo uso dei decreti legge, il Presidente Napolitano non faceva il Presidente. Per quale motivo, ora che è intervenuto, questa ricerca del pelo nell'uovo?

Il presidente Napolitano, senza esorbitare dal ruolo di garanzia che la Costituzione gli affida, avrebbe ben potuto, sia nel caso specifico che in precedenza, ricorrere agli art. 87 comma 2 (può inviare messaggi alle Camere) e 74 (può non promulgare una legge e chiedere una nuova deliberazione) della Costituzione.
Se questi due articoli venissero utilizzati più spesso dai nostri Presidenti, l'opinione pubblica ne saprebbe di più e l'attuale Governo, ad esempio, non avrebbe goduto della mano libera con la quale ha convertito in legge numerosi decreti legge.




11 febbraio 2009 - Un ultimo approfondimento con citazione

Alla fine, con modi più o meno carini, qualche malumore è stato espresso: dal "sono tutte sciocchezze che non meritano alcuna risposta"; al "in un esame di diritto costituzionale l'avrebbero sicuramente bocciata in quanto il problema non esiste".

Come ho avuto modo di replicare in altre sedi, mi permetto di far rilevare che sulla questione c'è un silenzio assordante da parte dei costituzionalisti meno legati alla politica.
Molte critiche (ben motivate) circa il contenuto dell'iniziativa del Governo Berlusconi, ma nessuna presa di posizione circa il conflitto istituzionale vero e proprio scaturito dalla mancata emanazione del Decreto Legge da parte del Presidente Napolitano.
Riassumendo quindi la questione:
 - Poteva o no il Presidente rifiutarsi?
 - Il problema neanche si pone oppure ci sono fondate ragioni per ipotizzare  un conflitto di attribuzione tra i Poteri dello Stato?
Consapevole di non aver inventato la ruota sul tema, sono andato a sfogliare i manuali di diritto con i quali mi "capitò di superare" (fortuna sfacciata) l'esame universitario di cui sopra.
Tra le varie sottolineature ne ho trovata una che tratta proprio di questo tipo di problemi che, a quanto pare, non sono del tutto campati in aria, con tanto di preoccupazione per la grave crisi istituzionale che si aprirebbe laddove per un simile conflitto si arrivasse a far pronunziare la Corte Costituzionale.
 
Da "Lezioni di diritto costituzionale, II volume - Vezio Crisafulli - pag. 419"
...
Come accennato nel testo, è proprio sulla sussistenza, e sulla reale consistenza dei poteri (attribuzioni" <<presidenziali>> in senso stretto (ad uno dei quali si è avuto occasione di fare rapido accenno in tema di nomina dei giudici costituzionali), ed in genere sui limiti della partecipazione del Capo dello Stato alla formazione degli atti governativi a lui intestati, che sarebbe più facile ipotizzare, in astratto, casi di conflitti di attribuzione.
Si pensi, a titolo di esempio, alla controversia tra Presidente della Repubblica e Governo in ordine alla emanazione di un decreto legge, il primo rifiutando il suo assenso (estricantesi con la sottoscrizione del decreto) ed il Governo, invece, insistendo, dal canto suo, nel rivendicare per sé il potere di adottarlo e pretendendo a tal fine la necessaria sottoscrizione presidenziale; oppure allo scioglimento delle Camere, ove si disputasse circa la effettiva spettanza del relativo potere al solo Capo dello Stato (con il conseguente obbligo del Presidente del Consiglio di controfirmare il relativo decreto); ... e via dicendo.
   Con l'avvertenza peraltro che, qualora realmente un conflitto del genere venisse sollevato (non essendosi raggiunta una composizione informale in sede politica) si aprirebbe ai vertici dello Stato una crisi gravissima, che ben difficilmente un giudizio davanti alla Corte varrebbe a superare. E non a caso, come si è accennato all'inizio, questa e altrettante ipotesi avanzate in dottrina non si sono mai verificate.

Le osservazioni sopra fatte dal Crisafulli pongono per altro altri interrogativi ai quanti sostengono con forza che se il Presidente della Repubblica è chiamato a firmare non può, evidentemente, non controllare e, se lo ritiene necessario, rifiutare la firma.
Ma lo stesso ragionamento, quindi, lo si dovrebbe fare, per analogia,  in tutti quei casi nei quali è richiesta la controfirma ministeriale.
Così evidentemente non è.
L'individuazione della titolarità sostanziale è questione ben più complessa.
Si veda, al riguardo, la sentenza della Corte Costituzionale in ordine alla titolarità sostanziale del Potere di Grazia, riconosciuto in capo al solo Presidente della Repubblica, ritenendo la controfirma del Ministro della giustizia valida al solo fine di attestare la regolarità dell’istruttoria e del procedimento seguito.



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