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Riforme.net  -  6 marzo 2010

Dal caso Englaro al decreto che interpreta: il Quirinale se la canta e se la suona da solo ... e Berlusconi balla

di Franco Ragusa

Con la vicenda del decreto salva liste, L'Italia ha dimostrato di essere non tanto una "Repubblica delle banane", quanto, piuttosto, "la repubblica del Bananaro" (maiuscole e minuscole non a caso).
A corredo del tutto, una Presidenza della Repubblica in grado di sorprenderci in continuazione e chiaramente inadeguata di fronte alla deriva antidemocratica verso la quale il berlusconismo e la personalizzazione della politica stanno trascinando il Paese.
Ed anche l'opposizione, per dirla tutta, in palese conflitto d'interessi verso un certo modo di intendere la rappresentanza democratica, fomentata anch'essa dal miraggio e dagli interessi di parte alimentati dalle logiche maggioritarie, non sembra essere in grado di poter contrastare in maniera "ideologicamente credibile" il populismo della destra: è infatti più che mai difficile scorgere i germi di un'alternativa vera che non sia soltanto una mera questione di "galantuomini sì, galantuomini no".

Ma ripartiamo dal caso Englaro, quando il Presidente Napolitano ritenne di avere i poteri per consentirgli di non controfirmare il decreto legge emanato sotto la responsabilità del Governo.
Di fatto, il Presidente rivendicò per sé una sorta di controllo preventivo di costituzionalità sui decreti legge e, quindi, un potere di veto assoluto totalmente assente e né desumibile in alcun modo da quanto dettato in Costituzione.
Al Presidente sono infatti affidati altri poteri, da esercitare nel rispetto del principio della separazione dei poteri e della potestà legislativa del Parlamento, attraverso la possibilità di rinviare le leggi approvate alle Camere, senza peraltro limiti di contenuto in relazione alle motivazioni per il rinvio che il Presidente potrebbe adottare. Un rinvio certamente superabile da un nuovo voto del Parlamento, che non vale cioè come veto assoluto, ma come atto costituzionalmente rilevante per segnalare al Paese eventuali abusi della maggioranza e per porre la stessa di fronte alle proprie responsabilità.

Possiamo vedere, oggi, quali gravi conseguenze è stata in grado di determinare quella scellerata violazione costituzionale, peraltro compiuta con il consenso generale di tutta l'opposizione.
Il Presidente della Repubblica è oggettivamente divenuto parte attiva delle decisioni del Governo: la sua firma sui decreti legge vale ora non più come mera verifica delle  procedure adottate per emettere i decreti legge, secondo quanto richiesto dalla Costituzione, bensì come "bollino di garanzia" che può permettere al Governo di affermare di non aver compiuto alcun abuso, altrimenti il Presidente non avrebbe firmato nel caso avesse ritenuto il decreto legge non costituzionalmente corretto in relazione alle questioni di necessità, urgenza e, soprattutto, contenuto.
Una sorta di lascia passare in grado di legittimare il Governo e porre così in uno stato di soggezione quei giudici chiamati ad applicare quello che è un tentativo Golpe a tutti gli effetti, visto che parliamo di un intervento legislativo di urgenza che serve soltanto per consentire al partito del Presidente del Consiglio di non rispettare le leggi e di poter lo stesso essere ammesso alla competizione elettorale.

Non a caso, quindi, il costituente si guardò bene dall'affidare al Presidente della Repubblica un simile potere legittimante dell'operato di urgenza del governo.

Fatta questa premessa, non si può però non indagare, visto che parliamo del medesimo Presidente della Repubblica, sui motivi che hanno determinato un comportamento completamente opposto rispetto al passato.
Come per il caso Englaro, l'intervento del Governo va ad intervenire su questioni attinenti la sfera dell'Organo giudiziario e per le quali vi sono già state, anche se non ancora in ultimo grado, pronunzie immediatamente applicabili.
Altresì, è quanto mai discutibile che la necessità e l'urgenza dell'interpretazione autentica della legge, tale appunto da richiedere l'adozione del decreto legge, siano dimostrabili alla luce di quanto la Corte Costituzionale ha già avuto modo di enunziare:

         "Il sindacato sulla sussistenza dei presupposti di necessità e di urgenza, nel caso di un decreto legge convertito, deve limitarsi alla “evidente mancanza”, che non può essere sanata dalla legge di conversione, configurando un vizio in procedendo della stessa. Il ricorso alla decretazione d’urgenza è giustificato, nel caso di un decreto-legge di interpretazione autentica,  in quanto dai lavori parlamentari risulta che il punto controverso ha formato oggetto di un ampio dibattito ed emerge che la funzione della norma è di evitare l’ulteriore proliferare di un contenzioso già imponente avente conseguenze nelle relazioni sindacali nel settore dell’autotrasporto (sentenza 341)." Il contenuto delle decisioni - Conferenza stampa del 2 aprile 2004, Presidente Gustavo Zagrebelsky

Poche righe ma ampiamente sufficienti per comprendere come, nel caso del Decreto Legge appena firmato dal Presidente Napolitano, non sussistano entrambe le condizioni indicate dalla Corte:
- l'interpretazione delle norme per la presentazione delle liste non è mai stata controversa: c'è solo da ottemperare a degli obblighi ben precisi, allo stesso modo di un deposito di un ricorso o di una domanda per un concorso pubblico;
- altresì, prima di quanto avvenuto alle liste della destra, non c'è mai stata proliferazione di contenziosi importanti da imputare alla difficile interpretazione delle norme che regolano la materia.

Insomma, ce n'è o no più d'una per interrogarsi sull'atteggiamento schizofrenico del Presidente Napolitano?

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