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Riforme.net  -  30 marzo 2010

Elezioni regionali: se bipolarismo fa rima con berlusconismo

di Franco Ragusa

I numeri della disfatta del centrosinistra alle ultime elezioni regionali sono troppo evidenti per poter essere aggirati, e non è sufficiente prendere come riferimento i dati delle ultime elezioni politiche ed europee per elaborare strampalate teorie circa le battute d'arresto del Pdl e presunti segnali di ripresa che non ci sono evidentemente stati. Tanto più tenendo conto del bassissimo livello di partecipazione al voto, in grado di falsare qualsiasi confronto basato sulle percentuali piuttosto che sui voti effettivamente conseguiti.
Più che guardare ai problemi in casa degli altri, quindi, il centrosinistra farebbe bene a pensare ai propri.
In primo luogo, il voto di protesta e l'aumento dell'astensione hanno danneggiato in misura maggiore, ancora una volta, il centrosinistra. Si pensi  solo al risultato del Piemonte. Ma anche del Lazio, visto il largo margine di vantaggio infine conseguito dalla Polverini, e questo nonostante sia rimasta priva della Lista e del simbolo più rappresentativo della coalizione.
Si è cioè nuovamente dimostrato che non c'è tecnica o forzatura di voto in grado di costringere un buon numero di elettori, che non si sente rappresentato dallo schema bipolare e tendenzialmente orientato a sinistra, a turarsi il naso.
Una sorta di zoccolo duro che non è disposto a subire il ricatto del meno peggio e per il quale la logica bipolare, fortemente sostenuta da buona parte del centrosinistra, fa sì che la destra sia mediamente destinata a vincere 5 tornate elettorali su 6. Un meccanismo di scelta del Governo dove è peraltro sufficiente vincere per poche migliaia di voti per ottenere il massimo dei poteri.
Proprio per quest'ultima possibilità, al di là del fatto che nei parlamenti regionali riusciranno ad entrare partiti al di fuori dei due schieramenti maggiori, il risultato delle elezioni regionali non ha sancito in alcun modo la fine del bipolarismo.
Ha semplicemente confermato che, tranne poche eccezioni, grazie al bipolarismo un fenomeno come il berlusconismo può tenere inchiodato un paese per decenni.
Un "tutti di qua" o "tutti di là" che ha via via semplificato ed imbarbarito il confronto politico e dove la partecipazione dei cittadini è ridotta a mero affidamento della sovranità popolare a questo o quel "salvatore della Patria" del momento.
il 99% dei simboli elettorali è ormai contrassegnato dal nome di un leader. Un malcostume dei giorni nostri che parte da Berlusconi e che finisce, va sottolineato, con le liste che fanno riferimento a Beppe Grillo. In un simile contesto, nulla di più normale che Berlusconi proponga l'elezione diretta del Presidente della Repubblica o che trasformi ogni tornata elettorale in un referendum sulla sua persona.
Un'ultima considerazione, infine, sui risultati del Lazio.
Certamente, il "terremoto Marrazzo" ha pesato non poco. E' anche vero, però, che il caos liste e l'esclusione della Lista PdL aveva in qualche modo pareggiato i conti.
Ma la Bonino era ed è rimasta sino alla fine una scelta tanto inopportuna quanto calata dall'alto. Un candidato difficilmente digeribile per chi non ha condiviso molte delle battaglie radicali esasperatamente liberiste e contro le tutele dei lavoratori (basti ricordare il referendum per l'abrogazione dell'articolo 18), come anche in tema di riforme istituzionali e in materia di giustizia. Un candidato, inoltre, del quale c'era ben poco di cui fidarsi, vista la spregiudicatezza con la quale i radicali, sin dal primo Governo Berlusconi, hanno interpretato la logica bipolare, sempre pronti a passare da uno schieramento all'altro.

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