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Riforme.net  -  31 dicembre 2010

Contro i ricatti di Marchionne, applicare l'Art. 41 della Costituzione


di Franco Ragusa 

Di fronte al contratto capestro che i lavoratori della Fiat saranno costretti a sottoscrivere, pena la perdita del posto di lavoro, la domanda sorge spontanea: "Ma il ruolo della politica, qual è?"
Certamente, in un'economia globalizzata dove il mondo continua a girare secondo la regola che se mangiano i lavoratori tedeschi o quelli polacchi o cinesi non mangiamo noi e viceversa, parlare di tutela dei diritti può sembrare soltanto un inutile lusso.

Un concetto che il Ministro Tremonti riuscì a sintetizzare in modo efficace riferendosi alle norme europee riguardanti la sicurezza sul lavoro: "robe come la 626 sono un lusso che non possiamo permetterci. Sono l'Unione europea e l'Italia che si devono adeguare al mondo" (25 agosto 2010 - Berghem fest).
E la parola "lusso" sta riecheggiando anche in questi giorni proprio in occasione degli accordi proposti dalla Fiat. L'invito che infatti giunge anche dalla maggiore forza politica di opposizione è quello di accettare le nuove regole, in quanto, oggi, la prima esigenza da soddisfare è che l'investimento non vada altrove.
Per dirla nuovamente con Tremonti, quindi , "oggi sono i numeri che fanno la politica e la politica è l'arte di adeguarsi ai numeri".
Vista la sostanziale convergenza, possiamo ben parlare di un pensiero unico che di fronte alle sfide imposte dalla globalizzazione non sa rispondere in altro modo che riducendo i diritti. Un'ideologia che non ammette modelli alternativi di convivenza e che sta facendo del "realismo ragionieristico" il proprio agire quotidiano.
In tal senso, risultano di più facile comprensione i continui attacchi del Governo Berlusconi al contenuto dell'art. 41 della Costituzione. Un articolo dove "si parla molto di lavoro e quasi mai di impresa" e dove "non è mai citata la parola mercato", questo il giudizio severo di Berlusconi.
Ma cosa dice di così tanto sconvolgente l'art. 41, al punto di essere divenuto una sorta di cancro da rimuovere anche per il Presidente della Confindustria Marcegaglia?
Art. 41. Cost.
L'iniziativa economica privata è libera.
Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.

A ben vedere, l'art. 41 dice semplicemente  che nulla è vietato a patto che … a patto che vengano rispettate alcune condizioni.
La domanda allora da porsi è se queste condizioni siano eccessivamente severe nei confronti della libera iniziativa economica e del libero mercato e se, quindi, debbano essere riviste.
Anche a voler considerare l'utilità sociale un inutile orpello bolscevico del quale liberarsi, le altre tre condizioni, sicurezza, libertà e dignità umana, appaiono difficilmente contestabili.
Ma un accordo come quello di Pomigliano è proprio su queste tre condizioni che va ad incidere, laddove peggiora le condizioni di lavoro e riduce fortemente la qualità della vita, le tutele sindacali e il diritto di sciopero.
Ma per il realismo da globalizzazione, come sopra ricordato, "a che serve garantire diritti che non potrebbero in ogni caso essere goduti nel caso la Fiat decidesse di non investire più in Italia?"
Ciò che però non si comprende in questo ragionamento, è la diversità di atteggiamento nei confronti della Fiat e non solo.
Se è infatti vero che nessuno potrebbe costringere un operatore privato ad investire alle condizioni imposte dalla nostra Costituzione, non si capisce bene come e perché allo stesso operatore potrebbe però essere consentito fare affari in Italia vendendo prodotti realizzati altrove proprio per sfuggire alle restrizioni della legislazione italiana.
Non si tratterebbe, anche in questo caso, di un'iniziatica economica svolta a danno degli interessi sanciti in Costituzione a tutela dei cittadini italiani?
Non si investe in Italia perché in altri Paesi non ci sono diritti dei lavoratori da dover rispettare; però poi si pretende di poter godere del massimo della libertà quando si tratta di fare profitti con le merci prodotte altrove a costi minori.
Ora, proprio perché la FIAT vende in Italia il 30% circa delle auto che produce, per "la politica" sarebbe stato quanto mai opportuno cogliere l'occasione per chiedere l'applicazione dell'art. 41 e non, piuttosto, la sua riduzione in nome delle superiori esigenze imposte dalla globalizzazione.
Ad un'impresa che costringe ad una competitività basata sulla riduzione dei diritti sanciti in Costituzione, proprio per quanto puntualizzato all'art. 41, non potrebbe e non dovrebbe essere consentito importare e commercializzare merci prodotte in regimi legislativi e/o contrattuali tali da comportare una forma di concorrenza sleale nei confronti dei lavoratori e del sistema Italia nel suo complesso.
Poche e semplici righe di legge per ribadire, non solo alla Fiat, ovviamente, che la libera circolazione delle merci non può divenire il cavallo di troia per costringere intere nazioni a violare i diritti costituzionalmente riconosciuti e a ridurre la qualità della vita dei propri cittadini per permettere ad un'impresa di fare profitti in nome di una competitività senza regole.

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